Antonello Ricci
Turuzzu Cariati
Ritratto di un uomo-museo
2006, € 18
Formato 14x19, 96 foto a colori e in b/n, pp. 176
In offerta con il 5% di sconto
Cirò, paese collinare sulla costa jonica a nord di Crotone, fino agli anni ’60 dello scorso secolo ha mantenuto modi e forme di vita contadina rappresentate in musica dal suono della chitarra battente e dai canti che venivano eseguiti con lo strumento.
Oggi questo universo contadino non c’è più, ma vive una nuova esistenza attraverso i racconti, i proverbi, i canti, le esecuzioni strumentali alla chitarra battente, gli oggetti del passato che tutti insieme costituiscono la “stanza delle meraviglie” di Turuzzu Cariati. Il volume si dipana come un multiforme e appassionante racconto all’indietro nel tempo, attraverso un arco di trent’anni entro cui si è svolta la ricerca che qui si presenta.
Con un ampio e denso apparato di immagini, 44 brani raccolti in cd, alcuni apparati critici di lettura, vengono restituiti i differenti aspetti della molteplice attività di promozione della cultura popolare di Cirò messa in atto da Turuzzu Cariati.
Ascolta il brano Ballo della cozzupara
Leggi l'introduzione
Salvatore Cariati, detto Turuzzu, è nato a Cirò[1] nel 1935 in una famiglia contadina. È un profondo conoscitore della cultura locale, dalla musica tradizionale - di cui è un esponente in quanto abile suonatore di chitarra battente - all’espressività orale, alle tecniche lavorative connesse all’agricoltura e all’allevamento, al territorio nella sua accezione più ampia, ai comportamenti cerimoniali connessi alla religiosità e al ciclo dell’anno e della vita, alla memoria storica. All’età di circa quarant’anni ha cominciato a costituire una raccolta di oggetti del mondo contadino affiancando questa attività con una costante opera di rivitalizzazione e rappresentazione delle forme di vita locali, assumendo un rilevante ruolo di mediatore culturale fra il passato contadino, che ha caratterizzato ampia parte del tessuto sociale cirotano, e l’attuale bisogno di ridefinire un’identità locale fondata sulle radici popolari.
Ho pensato di organizzare questo volume come un viaggio nel tempo, all’indietro, verso il passato, non con un intento nostalgico, ma nel tentativo di “decostruire” il personaggio di Turuzzu Cariati oggi, cercando di rappresentare, mediante le sue stesse parole, i gesti, le azioni, le sue autorappresentazioni, le decisioni da lui assunte, il percorso esistenziale che giunge alla definizione della sua attuale dimensione identitaria. Ne ho parlato con Turuzzu il quale ha apprezzato questa idea che, a suo avviso, restituisce spessore cronologico alla sua vicenda odierna: infatti ciò che egli rappresenta oggi per Cirò è frutto di un lungo processo di plasmazione e riplasmazione della propria identità individuale e sociale da lui stesso attivato. In tal senso, i materiali sonori presenti nel cd e le fotografie sono stati ordinati a coprire un arco temporale di trent’anni, dal 2006 indietro fino al 1976; le storie da lui narrate, pur seguendo tale impostazione, sono disposte secondo un più complesso schema rappresentativo, derivante direttamente dal flusso del suo racconto, nel quale si intrecciano i piani del tempo in un continuo richiamo di passato e presente.
È un viaggio all’indietro anche nel mio tempo, nel tentativo di ripercorrere uno degli itinerari che hanno condotto alla mia attuale situazione esistenziale. Infatti, l’incontro e la successiva duratura amicizia con Turuzzu sono stati continuo motivo di sollecitazione verso la pratica della chitarra battente e verso l’approfondimento di temi di ricerca antropologica e musicale relativa soprattutto al territorio regionale della Calabria. Da Turuzzu ho imparato la tecnica con cui si traggono tutti gli effetti sonori sullo strumento – la rotuliata in primo luogo – e anche lo stile oscillante e vagamente blues che caratterizza il suo modo di accompagnare le cantate alla lonnuvucchisa[2]. Il padre, zu Basile, nel 1975, comprò per me e per il figlio due chitarre battenti alla fiera della Madonna del Rosario: la fiera di ottobre a Cirò Marina. Quello, che ancora posseggo, è stato il mio primo strumento, con cui ho suonato durante le tournée con il gruppo Musica Nova di Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò fra il 1977 e il 1979, e che si può ascoltare nel disco omonimo in accompagnamento al brano Riturnella[3].
Un dato caratterizzante la figura di Turuzzu Cariati è proprio il suo rapporto con il tempo. I suoi racconti tendono costantemente a proiettarsi nel passato, ma non si tratta di un atteggiamento nostalgico per il periodo della propria giovinezza, si tratta invece di un intento propriamente didattico, una volontà di raccontare per tramandare e far conoscere lo stile di vita che ha caratterizzato e determinato gli anni della sua infanzia, adolescenza e giovinezza. Il suo modo di raccontare, di atteggiarsi durante i dialoghi stanno hanno sempre più assunto i connotati di una “visita guidata” alla propria vita e alla società locale entro cui la stessa è inserita. La ricchezza di dettagli, il preciso riferimento a persone, luoghi, contesti sociali ed economici, infine il continuo intercalare esempi tratti dalla sua vita con ciò che egli definisce le specificazioni, ossia le spiegazioni di quello che è dietro all’evidenza del racconto, sono tutti elementi che col passare del tempo stanno sempre più ridefinendo il modo di raccontare di Turuzzu Cariati, trasformandolo in una vera e propria testimonianza.
(…) Verso il 1974 Turuzzu comincia a raccogliere gli oggetti che trova, per lo più durante il lavoro di netturbino. Inizialmente, seguendo l’istinto contadino al riutilizzo e alla conservazione di qualcosa che sembra ancora in grado di funzionare, raccoglie tutto ciò che gli capita: come egli stesso afferma l’idea della collezione e del “Museo” non lo sfiorano. (…) L’idea che quegli oggetti che si andavano accumulando, per il fatto stesso di diventare sempre più numerosi, stavano assumendo un altro status, è venuta a Turuzzu proprio guardandoli tutti insieme, disposti sui tavoli e appesi alle pareti e al tetto della sua soffitta-museo[4] e anche dai suggerimenti provenienti dai sempre più numerosi appassionati e curiosi che giungevano attratti dalla novità costituita dal suo personaggio e per discutere con lui in merito ai saperi diversificati dei quali è competente depositario.
Inizia in tal modo un processo di plasmazione della propria identità come colui che sente l’urgenza di “salvare” le testimonianze del passato, cominciando da quelle tangibili, gli oggetti, le vecchie cose che pian piano la gente elimina adeguando il proprio status alla modernità ormai pervadente e qualificante lo stile di vita: gli oggetti che oggi egli definisce “i pezzi”, con lessico appropriatamente museografico, oppure, con evidente attaccamento affettivo, u trisoru, il tesoro. Pian piano Turuzzu intensifica la sua pratica di raccoglitore e collezionista allargando l’ambito del suo intervento di recupero e di attenzione alle “cose” del passato.
(…) Proseguendo in tal senso, agli oggetti Turuzzu comincia ad affiancare sempre più numerose testimonianze “immateriali”[5]: le pratiche lavorative, i saperi, le tecniche, il modo di pensare, le forme espressive della lingua e della musica, le fogge del vestire, le tecniche del corpo, il linguaggio non verbale e via dicendo[6]. Va così a costituire un formidabile e fantastico catalogo ragionato della cultura contadina di Cirò, che può essere fruito attraverso la propria diretta mediazione[7]: io pozzu specificare tuttë si cosë pecchì l’haju vissute[8].
Pur rimanendo la collezione di oggetti, per la sua evidenza materiale, il maggiore elemento di attrazione, Turuzzu diventa col tempo un punto di riferimento imprescindibile per tutto quanto riguarda gli aspetti immateriali della cultura popolare cirotana; egli stesso organizza di sua iniziativa ricostruzioni di tecniche lavorative del passato come la mietitura (foto 52-62 e 72-87)[9]. In particolare, per ciò che riguarda la musica e il canto, viene chiamato a partecipare a recite teatrali in dialetto, a organizzare animazioni nel tentativo di vivificare l’antica pratica di questua rituale della Cozzupara in occasione del sabato santo, a partecipare a serate a tema su motivi della tradizione popolare di Cirò per gli alunni delle scuole o per la pro loco e altre associazioni culturali, come ribadisce egli stesso senza falsa modestia: jè sugnu chiru chi s’interessa de cchjù ‘e si cose, pecchì ‘un ci nni su’ tanti autri[10]. Il suo “Museo” viene visitato su appuntamento da scolaresche e da singoli visitatori e la sua mediazione consiste nel contestualizzare gli oggetti mediante il racconto delle pratiche e delle tecniche lavorative, come quella dell’intrecciatura dei cesti (foto 25-51), dell’espressività verbale, come quella dei proverbi, e poetica come quella delle canzoni. Una complessa cornice entro cui la serialità e ripetitività degli oggetti del passato – da lui definiti “l’antiquariato” – assume i tratti unici e irripetibili dell’esperienza diretta fornita dai suoi racconti. Seppure non formalizzata in una stesura scritta, si tratta della medesima idea catalografica proposta da Ettore Guatelli con le “schede racconto”[11]. Quelli di Turuzzu sono “oggetti incipit” da cui ogni volta egli parte per una nuova avventura della memoria e della fantasia, andando indietro nel tempo fino a raggiungere le remote distanze temporali in cui vissero u tatarannu o u patru du nannu e ritornare in pochi secondi nella contemporaneità frammentata e godereccia per mettere a disposizione delle orecchie di chi sa ascoltare i “reperti” di un mondo perduto fatto di saggezza, di stabilità e di frugalità.
(…) Per tutto quanto detto finora Turuzzu Cariati si pone oggi per Cirò, per i suoi compaesani, per gli intellettuali locali, giornalisti e studiosi, come un uomo-museo.
Quando gli ho proposto l’idea di intitolare così questo libro, mi ha manifestato qualche dubbio: “Ma po’ i genti ‘u capìscënë?” Ho provato a fornirgli qualche spiegazione che mi è sembrato lo abbia convinto.
[1] Cirò è un paese in provincia di Crotone situato sulla fascia collinare del versante jonico della Calabria. Insieme alla limitrofa Cirò Marina costituiscono il nucleo principale del territorio di produzione dell’omonimo vino doc.
[2] Lo stile di canto che a Cirò viene chiamato alla lonnuvucchisa, vale a dire al modo di Longobucco, paese delle Sila in provincia di Cosenza, si discosta molto, per quel che riguarda la forma musicale e poetica, da ciò che con la stessa definizione si intende nell’area del fiume Trionto e della Sila Greca. Elemento comune è l’estemporaneità che caratterizza comunque questi repertori, nei quali è riconoscibile la tendenza a improvvisare, a comporre e scomporre versi e strofe e ad adeguare di volta in volta il canto alla situazione in cui ci si trova. Cfr. A. Ricci, R. Tucci, Calabria 2 strumenti. La chitarra battente, collab. di C. Ciasca, disco LP con opuscolo, “I suoni”, Cetra SU5008, 1981; Id., Il canto “alla lonnuvucchisa”. Analisi del testo verbale, in “Culture musicali”, III, 5/6, 1984, pp. 199-268; Id., I “Canti” di Raffaele Lombardi Satriani. La poesia cantata nella tradizione popolare calabrese, con 2 cd allegati, AMA Calabria, Lamezia Terme, 1997; A. Ricci, I cugini Nigro. La musica della Sila Greca, con cd allegato, Squilibri, Roma, 2006.
[3] Musica Nova, Polygram 558352-2, 1978, brano A/2 (disco lp rimasterizzato e ristampato in cd). Ho appreso questo brano nell’aprile del 1976 da Mariangela Pirìto, za Manciulina.
[4] Luigi Poscia di Latera (Vt) - contadino, collezionista di oggetti e cantore nella locale confraternita - racconta di aver analogamente avviato la sua collezione per conservare oggetti che sembravano ancora utili e di essersi accorto della loro “bellezza” soltanto dopo averli appesi alle pareti della sua cantina. A partire dalla sua collezione di oggetti del passato contadino è sorto il Museo della terra di Latera. Sulla figura di Poscia si vedano: L. Mariotti, Perché la “terra” in un Museo, in I riti dell’acqua e della terra nel folklore religioso, nel lavoro e nella tradizione orale, Atti dell’omonimo IV convegno di studi, a cura di A. Achilli, L. Galli, I vol., EDUP, Roma, 2006, pp. 285-294; F. Caruso, La collezione di Luigi Poscia: uno specchio della modernizzazione a Latera, in Id., II vol. in c.d.s.; L. Poscia, Introduzione, in Il museo della terra. Oggetti, riti, storie di una realtà contadina, guida del museo, Città di Bolsena Editore, Bolsena, 2006, pp. 14-45.
[5] La distinzione dei beni culturali demoetnoantropologici in immobili, mobili e volatili si deve ad A. M. Cirese, I beni demologici italiani e la loro museografia, in P. Clemente, Graffiti di museografia antropologica italiana, Protagon editori toscani, Siena, 1996, pp. 249-262. Il dibattito odierno sui beni immateriali è ampio e articolato: a titolo esemplificativo e riepilogativo si rimanda a G. L. Bravo, R. Tucci, I beni culturali demoetnoantropologici, Carocci, Roma, 2006; per la nozione di immateriale applicata all’ambito demoetnoantropologico si veda A. Ricci, R. Tucci, Immateriale, in “AM Antropologia museale”, IV, 14, numero speciale dedicato a Culture visive: parole chiave degli antropologi, 2006, pp. 39-41.
[6] Per esempio, egli invita le persone a porre attenzione al lavoro di intrecciatura dei cesti e alla panificazione eseguita dalla moglie Ida, ambedue normali pratiche lavorative tramutate in altrettante dimostrazioni di saperi e tecniche da mettere in mostra per chi le sappia apprezzare.
[7] Seppure orientato in un altro senso e con altri intenti, va ricordato il lavoro di riepilogo della propria memoria genealogica, lessicale e più ampiamente culturale operata da Saverio De Bartolo nei suoi due volumi dedicati a Cirò, Kakovia, Sip, Ferrara, 2004 e Famiglia De Bartolo via Kakovia n° 6 Cirò (CZ), Sip, Ferrara, 2006. Per altri tipi di approccio alla realtà storica e culturale di Cirò si vedano i volumi di E. Mezzi nella nota 00 a p. 00; Cirò e Cirò Marina. Storia e cultura, a cura di F. Mazza, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1997; I luoghi di Aleo. Antologia dei percorsi storico-culturali di Cirò e Cirò Marina, a cura di A. Capoano, Amministrazione comunale di Cirò Marina, Laruffa, Reggio Calabria, 2005.
[8] Posso spiegare tutte queste cose perché le ho vissute.
[9] Nel 1992 Turuzzu, di concerto con Roberta Tucci e con me, organizza e mette in scena la prima mietitura, documentata con riprese sonore e fotografiche (foto 72-87) e con un filmato (riprese di Luciano Blasco), una sintesi del quale è visibile in internet all’indirizzo www.dds.it/mostrevirtuali.php, all’interno del sito della Discoteca di Stato.
[10] Io sono quello che si interessa di più di questi argomenti, perché non ci sono altri.
[11] Cfr. E. Guatelli, La coda della gatta, cit.
il CD
1. Ballo della Cozzupara 3:23
2. Abballu lentu 0:51
3. Abballu cantatu 1:27
4. Abballu di san Giuseppe 4:00
5. Cozzupara 5:41
6. Lassa e pija 3:39
7. Canzone a dispreggiu 1:02
8. U cornu 1:29
9. Casatchock e Calabrisella 2:06
10. Zuchi zuchiddu chi va caminannë 1:58
11. U quagghjalo’ 2:44
12. Strofetta, A ru mparu haju acchjappat’i vurpi 0:25
13. Strofetta, Chjova chjova chjova 0:27
14. Strofetta, 0:57
Chi m’edde fare nu voju vecchju a ra verzura
15. Strofetta, Jumara chi ti sparti a dui vadduni 0:40
16. Strofetta, L’omu a sessant’anni va u si nzura 0:41
17. Strofetta, I mul’ e santu Donatu 0:30
18. Proverbio, U maluferro si nni va cu ra mola 0:30
19. Proverbio, A donna quann’è pittiridda vo ncoraggiata 0:25
20. Proverbio, A gaddina ha fattu l’ovu 0:52
21. Proverbio, Quann’ a puttana va ra ra chjanca 0:30
22. Proverbio, Chi fa sporti fa panari 0:20
23. Proverbio, L’acqua morta fa ri vermi 0:28
24. Proverbio, L’omu per ’a parola 0:18
25. Proverbio, Un t’a trovare a zita u vènnëre santu 1:17
26. Proverbio, Chin’avettë focu campà 0:42
27. Proverbio, Quannu passanu i gro 0:10
28. Proverbio, Si vo gabbar’u vicinu 0:20
29. Proverbio, U bene du patrunu 0:31
30. Proverbio, U ferramentu fa l’omu valentu 0:14
31. Scioglilingua, C’eva ra signora Caiazza 0:23
32. Scioglilingua, Subba nu muru de fravicaturë 0:23
33. Scioglilingua, U monacu e turazzu 0:16
34. Filastrocca, Na vota c’eva na vecchja 0:27
35. Alla lonnuvucchisa e Abballu, 6:38
Ocedduzzu chi vai lu mare mare
36. Alla lonnuvucchisa a dispreggiu, 2:24
Brutta ca t’haju ’n odiu mortale
37. Tardanza, E ra giunti site ca giunti site 2:26
38. Alla lonnuvucchisa, 2:44
Oi vi ed oi na tu t’ha fattu u sutta e lu iusë
39. Tardanza, E non si po’ fari no sa mala vita 2:57
40. Alla’aria nova, Gira fortuna mia mo sempu gira 2:35
41. Cozzupara 3:08
42. Abballu 1:16
43. Abballu e Tardanza, 2:08
Nesci la luna a lu terzu de l’anna
44. Alla lonnuvucchisa, 3:14
Oj strata passeggera oj mo ti lasci
durata totale: 71:46
Fotogallery
Antropologo e musicista, virtuoso di chitarra battente e zampogna, Antonello Ricci insegna all’università “La Sapienza” di Roma e si occupa di questioni antropologiche, relative ad aspetti visivi e museografici della musica e dell’ascolto.
Una figura straordinaria di musicista, artigiano, contadino, ricercatore, passato attraverso mille lavori, mille vicissitudini, per nulla nostalgico di supposte "età dell'oro"(...) un testimone consapevole del dipanarsi della vita quotidiana che, da decenni, ha saputo scegliere, raccogliere, salvare centinaia di oggetti materiali legati a una pratica del "saper fare" (e del "saper ricordare") che va scomparendo. Tant'è che chi vuole ricercare tracce fisiche di un mondo in via di scomparsa da casa sua deve passare Guido Festinese, Alias