Chiara Cravero
Zampogne in Aspromonte
Parentele di suoni in una comunità di musicisti
2006, € 18
Formato 14x19, pp. 176, 68 foto in b/n
Esaurito
Una ricerca sul campo in Aspromonte, nelle aree note come “grecanica” e dei campi di Sant’Agata, alla scoperta di un mondo culturale incentrato sulle musiche per zampogne che, presso le comunità locali, svolgono un ruolo importante per la salvaguardia della propria identità. Estesa ai musicisti e costruttori di Cardeto, San Sperato, Cataforìo, San Salvatore, Mosòrrofa, Gambarie, Gallina, Melito Porto Salvo, Bova, Bova Marina, Gallicianò, Roghudi, Condofuri e Staiti, la ricerca ha consentito di comprendere un complesso sistema di filiazioni stilistiche per cui ogni suonatore, basandosi su “modelli-madre”, tende a personalizzare l’eredità della tradizione per variazioni minime, spesso impercettibili all’ascolto.
Con numerose tabelle comparative, gli spartiti, lo spettrogramma dei suoni e il disegno in sezione della zampogna per ciascuno dei 33 brani contenuti nell’allegato cd, il volume propone una lettura in chiave genealogica dei legami con cui un gruppo di suonatori si riconosce in termini di comunità e discendenza, nella convinzione che la musica eseguita con la zampogna possa “viaggiare” nella memoria attraverso “filiazioni di cultura musicale”.
Ascolta il brano Tarantella
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Questo volume riguarda una ricerca[1] svolta nel versante jonico della provincia di Reggio Calabria, fra l’agosto 2001 e l’agosto 2002, su due aree geografico-culturali: quella ellenofona, nota come “grecanica”, che si estende lungo la vallata dell’Amendolea e quella dei campi di Sant’Agata, a ovest dell’Aspromonte. (…).
L’idea di identificare “genealogie musicali”, che rappresentassero non legami biologici ma “filiazioni di cultura musicale”, è scaturita nel corso della ricerca nell’incontro con i vari suonatori e, in particolare come già detto, con Pietro Cilione. Il modo con cui essi parlavano del fare musica, commentavano lo stile e le passate dei “colleghi”, la loro attenzione nell’osservare e ascoltare gli altri durante le performance ma anche la familiarità e l’intimità nei riguardi dei diversi stili musicali del presente e del passato che emergeva dai loro discorsi, lasciava intendere un legame più stretto e profondo della semplice condivisione della pratica di musicista, che potrebbe definirsi un sentimento di appartenenza parentale.
Questa impressione è stata poi confermata dall’ascolto delle registrazioni effettuate e dal confronto delle trascrizioni su pentagramma. Dalla messa in relazione dei dati è emerso un intreccio che sembrava unire le diverse esperienze musicali. Da qui l’idea di una lettura in chiave genealogica di legami musicali tramite i quali un gruppo di suonatori sparsi sul territorio si riconosce in termini di comunità e di discendenza. I musicisti incontrati, seppure non sempre imparentati attraverso linee di sangue, sembrano avvertire un profondo legame che si struttura secondo linee di discendenza musicale.
Ho cercato quindi di individuare un criterio per l’analisi delle registrazioni, partendo dalla ricorrenza delle frasi musicali esaminate che costituiscono il materiale di base su cui ciascun suonatore improvvisa. Evidenziati i diversi stili ritmici e melodici, sistematizzati nelle tabelle 1 e 2, ho delineato, nella tabella 3, una chiave di lettura in termini di “genealogia stilistica”: i quattro “alberi stilistici” evidenziano la somiglianza e la discendenza di alcune frasi musicali, le contaminazioni stilistiche e gli anelli di congiunzione tra i differenti stili.
Cercherò di descrivere il procedimento compositivo mediante il quale ciascun suonatore, basandosi su “modelli-madre” secondo l’accezione di Weis Bentzon[2] ossia modelli “base” su cui improvvisare, dilata e arricchisce la composizione mediante la propria personale idea musicale dando luogo a un complesso sistema di legami di filiazione che può essere definito come “genealogia stilistica”. Le frasi musicali che ho identificato costituiscono, come già detto, il materiale di base su cui i suonatori costruiscono la loro sonata mediante l’aggiunta di particolari elementi stilistici come note di passaggio, acciaccature, abbellimenti, esili fluttuazioni ritmiche, slittamenti delle frasi melodiche, ritmi sincopati, ma anche la scelta dell’altezza dei suoni, il timbro, la dinamica. Tutto questo insieme di elementi contribuisce a configurare l’unicità delle passate che risulteranno, pertanto, sempre diverse. Non a caso, nella nota musicologica che correda il disco Calabria 1 strumenti[3], Carlo Crivelli, riferendosi alle tarantelle e alle pastorali calabresi, parla di «forme iterative con microvarianti» fondate sulle invenzioni e improvvisazioni dei suonatori per cui sonate, che apparentemente si ripetono, in realtà “vanno avanti” all’infinito sulla base di “modelli musicali”. Con riferimento specifico alla musica per zampogna, lo stesso concetto è ribadito da Antonello Ricci e Roberta Tucci: “In realtà, trattandosi di musica di tipo formulare e modulare trasmessa oralmente, i meccanismi compositivi sono di altro tipo e privilegiano le combinazioni di formule e moduli, permettendo ugualmente una libertà espressiva attraverso l’iterazione e la microvariazione. In ciò sta l’abilità e la caratteristica dei veri musicisti popolari, quelli che non compaiono nel giro dei mass media, che suonano nelle contrade e nelle masserie più sperdute e che solo la ricerca sul campo permette di individuare[4].
L’idea della musica che si sviluppa aggiungendo e togliendo elementi, arricchendo, intervenendo e impreziosendo costantemente un modello di base è proprio anche di altri mondi musicali, per esempio quello dei raga indiani o quello del repertorio sardo per launeddas[5], che presentano all’analisi problemi e difficoltà analoghe: “La maggior difficoltà di approccio al modello deriva appunto da questo suo carattere multiforme. Non sempre, infatti, si può avere a che fare con un modello semplice, come è quello rilevabile nelle tarantelle alla zampogna calabresi, in cui opera il solo principio dell’ “iterazione microvariata” del modulo melodico-ritmico; anzi, il più delle volte, ci si trova di fronte a modelli compositi, come ad esempio quelli dei raga indiani, in cui si combinano il sistema scalare e melodico del raga e un insieme complesso di regole di composizione modale”[6].
Per la stessa configurazione e dinamica interna al modello preso in esame, con ogni probabilità, ritornando sul campo, il percorso genealogico risulterebbe diverso, segnale evidente dello stato di buona salute di un mondo musicale ricettivo e aperto a nuove suggestioni. “Modelli-madre” e “modelli di filiazione” altro non sono che il segno della dinamica sociale, colta nel fugace momento dell’indagine: non rappresentano due punti d’arrivo, ma due incognite suscettibili di alterazioni. E’ il processo musicale a presiedere questa mobilità, questa “generazione sonora” destinata, naturalmente, a subire un processo di modificazione tanto ineluttabile quanto auspicabile, secondo quanto acutamente notato da Bèla Bartok: “la musica popolare è come un essere vivente che cambia di minuto in minuto: non si può perciò dire «questa o quella melodia è come io l’ho notata», ma soltanto che essa era così nell’occasione, nel minuto in cui è stata notata”[7].
[1] La ricerca è stata avviata con Francesco Giannattasio, titolare della cattedra di Etnomusicologia dell’università “La Sapienza” di Roma, che ringrazio per i consigli e i suggerimenti, e Antonello Ricci, senza la cui paziente e illuminata collaborazione difficilmente il lavoro avrebbe visto la luce. Ringrazio anche Luca Paolini per il supporto tecnico durante le registrazioni sul campo.
[2] Weis Bentzon 1969, pp. 39-41.
[3] Roberta Tucci 1979, p.15.
[4] Antonello Ricci e Roberta Tucci 1985, p.760.
[5] Un’ampia panoramica riguardante l’improvvisazione musicale nella tradizione orale si trova in Lortat-Jacob (1987). In specifico per un tentativo di decodificazione del sistema improvvisativo della musica per zampogna in Calabria si veda Lortat-Jacob 1989. Per le analogie con le launeddas cfr. Weis Bentzon 1969.
[6] Francesco Giannattasio 1992, p.169.
[7] B. Bartok 1977, rist. 2001, p.49.
il CD
1. Tarantella 2:00
2. Tarantella 1:58
3. Tarantella 2:01
4. Tarantella 2:30
5. Tarantella 1:48
6. Tarantella 1:37
7. Tarantella 1:38
8. Tarantella 2:12
9. Tarantella 1:15
10. Tarantella 2:45
11. Tarantella 2:10
12. Tarantella 0:50
13. Tarantella 1:54
14. Tarantella 1:07
15. Tarantella 1:58
16. Tarantella 2:10
17. Tarantella 2:05
18. Tarantella 2:17
19. Tarantella 2:57
20. Tarantella 4:01
21. Tarantella 3:30
22. Tarantella 2:29
23. Tarantella 2:39
24. Tarantella 1:24
25. Tarantella 3:36
26. Tarantella 2:15
27. Tarantella 2:02
28. Pastorale 3:31
29. Tarantella 1:15
30. Tarantella 1:03
31. Tarantella 2:05
32. Tarantella 2:04
33. Tarantella 1:34
durata totale: 71:57
Fotogallery
Chiara Cravero, laureata in etnomusicologia e diplomata in pianoforte, svolge attività didattico-musicale nelle scuole.
Cravero fa emergere il complesso sistema di saperi musicali, frutto di rielaborazione e creazione, che costituisce l'essenza stessa della trasmissione orale. Ciro de Rosa, World Music