Antonio Bellusci
Cultura tradizionale a San Costantino Albanese
Ricerche sul campo 1965-1973
2021, € 28
Formato 16,8x24, con 6 foto in b/n, pp. 264
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Tra il 1965 e il 1973 il giovane papàs Antonio Bellusci, originario di Frascineto (CS), svolge il suo incarico pastorale a San Costantino Albanese (PZ), piccolo centro arbëreshë del Pollino lucano appartenente all’Eparchia cattolica di rito bizantino di Lungro. Ha così l’occasione di raccogliere una vasta documentazione sugli aspetti culturali e linguistici locali che, sfociata poi in numerose pubblicazioni, costituirà un importante banco di prova anche per la sua successiva attività di ricercatore.
I contenuti di quella ricerca, affidata per lo più a manoscritti di appunti e trascrizioni, sono ora riprodotti per la prima volta nella loro forma originaria ed offrono un repertorio di straordinario interesse sulla cultura materiale e le tradizioni orali di San Costantino Albanese in un periodo in cui le manifestazioni della vita tradizionale erano vivissime, mentre si intravvedevano le prime trasformazioni che avrebbero investito il mondo rurale dei centri arbëreshë.
Questi documenti costituiscono anche una testimonianza eloquente del modo di lavorare sul campo di Bellusci che, ad appunti e trascrizioni, affianca riprese audio e fotografiche: una modalità di intervento che estenderà poi ad altri ambiti in un’opera che, nel suo insieme, si configura come di grande rilievo per lo studio e la conoscenza della realtà albanonofa e della sua diaspora nelle sue varie e complesse sfaccettature.
A cura di Nicola Scaldaferri e Maddalena Scutari
Dall'introduzione di Nicola Scaldaferri
In questo volume vengono pubblicati i quaderni di appunti che papàs Antonio Bellusci ha compilato tra il 1965 e il 1973 durante la sua permanenza come parroco a San Costantino Albanese (Potenza). Si tratta di 9 quaderni, per un totale di 1065 pagine manoscritte, con una tipologia assai ampia di contenuti, che spazia dalle filastrocche infantili ai proverbi, dai canti religiosi agli indovinelli, dalle fiabe alle ricette di cucina, dalle descrizioni dei lavori campestri alle feste calendariali, fino ad appunti diaristici di natura più personale.
Nato nel 1934 a Frascineto (paese arbëresh della provincia di Cosenza), dopo aver trascorso alcuni anni a Santa Sofia d’Epiro, poco più che trentenne giunge nel centro lucano per ricoprire il ruolo di arciprete della parrocchia di San Costantino il Grande, in passato appartenuta alla diocesi latina di Tursi-Anglona, e passata poi sotto la giurisdizione dell’eparchia bizantina di Lungro, istituita nel 1919.
Bellusci vi arriva per la prima volta in occasione della presa di possesso della parrocchia, il 12 ottobre del 1965, accompagnato da un folto gruppo di parroci e dal vicario Giovanni Stamati, che successivamente avrebbe ricoperto il ruolo di eparca. I primi appunti dei quaderni di Bellusci recano la data del 21 ottobre 1965. Dunque pochi giorni dopo il suo arrivo in paese, il tempo di sistemarsi in un’abitazione presa in affitto[2], Bellusci inizia la sua attività di ricerca raccogliendo informazioni sulla cultura tradizionale locale. Risultano emblematiche le prime cose che si trovano annotate: si tratta dei nomi, nella locale parlata arbëreshe, degli attrezzi della vinificazione e delle misure del grano, quasi a seguire la suggestione dell’augurio per antonomasia di lunga vita: rrofshit sa buka e vera (possiate vivere per quanto esisteranno il pane e il vino). Poi a seguire vengono i toponimi, i testi di alcuni canti di nozze e il nome di un’informatrice, indicata in arbëresh con il soprannome localmente noto (Cja Llina Zotit, Adelina Salerno, p. 11).
Cogliendo gli spunti e i suggerimenti di alcuni dei suoi maestri negli anni di formazione - in primis gli illustri albanologi Ernest Koliqi e papàs Francesco Solano - Bellusci si dedica a un’intensa ricerca sulla cultura tradizionale, soffermandosi su aspetti di interesse etnografico e lessicale. Va sottolineato come la conoscenza della cultura locale costituisca per Bellusci una parte importante della sua intensa attività pastorale, capace di lasciare nella comunità un ricordo ancora vivo a distanza di quasi mezzo secolo; essa passava anche per una frequentazione assai familiare della popolazione locale e la condivisione di momenti quotidiani, come lui stesso racconta nella conversazione riportata nelle pagine seguenti. Nello stesso tempo vi è però in Bellusci la consapevolezza che tali materiali possano rivestire grande interesse dal punto di vista etnografico, storico e linguistico. Queste indagini segnano di fatto l’inizio di un percorso che lo condurrà verso un’intensa attività di ricercarore, toccando significative tappe in diverse aree della variegata realtà albanofona. Essa troverà poi ampia diffusione grazie a un sostanzioso gruppo di pubblicazioni che gli varranno significativi riconoscimenti. Non ci si può esimere dal ricordare qui la creazione della rivista Vatra Jonë (Il nostro focolare) e la pubblicazione della racconta Canti sacri tradizionali albanesi, che hanno luogo proprio durante gli anni del suo soggiorno a San Costantino Albanese, comune da cui riceverà la cittadinanza onoraria nel 2009. Sul piano internazionale limitiamoci a segnalare la laurea honoris causa in Etnologia e Folklore conferitagli nel 1995 dall’Accademia delle Scienze di Albania, l’onoreficenza dell’ordine Naim Frashëri e la cittadinanza albanese, oltre alla medaglia d’oro della Lega di Prizren conferitagli dal presidente della Repubblica del Kosovo.
Bellusci impara a fare ricerca da autodidatta, direttamente sul campo, ed è proprio il soggiorno a San Costantino a rappresentare la sua principale palestra di esercizio. Questo si coglie anche dai quaderni, destinati prevalentemente ad un uso privato: essi costituiscono una sorta di deposito in cui accumulare informazioni raccolte nel contatto pressoché quotidiano con la popolazione. Inizialmente le informazioni compaiono raccolte in modo discontinuo; vanno poi acquistando maggiore sistematicità mano a mano che aumenta la familiarità con la materia e le problematiche di ricerca. Bellusci attingerà poi a questi quaderni per preparare le sue pubblicazioni, dove i dati inizialmente raccolti vengono sistemati, discussi e accostati a intuizioni e collegamenti anche di natura interdisciplinare e comparativa. Nei quaderni moltissime pagine compaiono barrate, ad indicare l’utilizzo di quelle parti nelle pubblicazioni, mentre da annotazioni manoscritte apposte successivamente si evince che parte del materiale è stata dattiloscritta al fine di essere studiata meglio e utilizzata per le pubblicazioni (p. 208).
La fruizione oggi di questi quaderni, nella loro forma originaria, grazie alla disponibilità di papàs Bellusci ad autorizzarne la pubblicazione integrale, consente l’accesso a documenti di grande importanza. Innanzitutto, si tratta di un repertorio di straordinario interesse sulla cultura materiale e le tradizioni orali di San Costantino Albanese, rispecchiando in particolare la situazione della seconda metà degli anni ’60, ovvero di un periodo assai dinamico in cui le tracce della vita tradizionale si presentano vivissime, per quanto importanti trasformazioni siano ormai in atto.
In secondo luogo, si tratta di una testimonianza eloquente del suo modo di lavorare, che va acquisendo, col passare del tempo, sistematicità e rigore via via crescenti. Se all’inizio la raccolta sembra procedere in maniera rapsodica seguendo il flusso di curiosità e contingenze temporanee, arriveranno poi dei progetti più sistematici, accompagnati da attenta pianificazione. Un passaggio fondamentale sarà anche l’uso del registratore, impiegato a iniziare dall’agosto del 1967 (p. 244), quando le raccolte vanno acquistando maggiore sistematicità; i quaderni conterranno da quel momento anche trascrizioni di testi effettuate non più sotto dettatura, ma a partire da registrazioni sonore in grado di documentare in modo appropriato anche le performance musicali[3]. Da segnalare inoltre anche l’utilizzo della macchina fotografica, che accompagnerà costantemente l’attività di Bellusci, consentendo la creazione di un importante corpus di documenti visivi.
Dal punto di vista linguistico, soprattutto nei primi tempi, gli appunti di Bellusci rivelano tracce dell’influenza della parlata arbëreshe della Calabria settentrionale, come evidenziato nella nota linguistica di Maddalena Scutari[4]. Questo dato è certamente in linea con l’uso privato di questi materiali, in cui l’interesse maggiore spesso risiede nell’attestazione di dati fenomeni e nella possibilità di successivi affinamenti e verifiche linguistiche. Tuttavia, le trascrizioni, anche grazie all’uso della registrazione, vanno poi rivelando una maggior aderenza alla parlata locale, come si va ampliando e sistematizzando l’approfondimento degli argomenti trattati. E se, nelle prime pagine, toponimi, canti e proverbi si alternano in modo discontinuo, successivamente vi sono rilievi condotti in modo sistematico. Segnaliamo ad esempio la sezione interamente dedicata ai dolci tradizionali del periodo di Natale (da p. 866), quella su forme di magia e medicina popolare (p. 1051), e soprattutto quella sulla novellistica popolare (da p. 244), che costituisce uno dei pregi maggiori di questa pubblicazione, essendo un argomento quasi totalmente sfuggito ad altre indagini condotte su questa comunità[5].
Nelle sue ricerche Bellusci viene a contatto con le più straordinarie depositarie della tradizione locale del secondo ‘900: una compagine di decine di informatrici tra cui spiccano i nomi di Rosa Scutari, Emilia Schillizzi e Maria Salerno. Si tratta di figure alle quali si rivolgeranno anche i numerosi studiosi che nel corso degli anni transitano a San Costantino in maniera più o meno occasionale: ad esempio Diego Carpitella e Ernesto De Martino, che vi arrivano nell’aprile del 1954 per un rilevamento durato una sola giornata, registrano, tra le altre, le voci di Maria Giuseppa Dottore, Celestina Ciancia, Gioacchino Schillizzi e Michelangelo Scutari, che ritroviamo anche tra i nomi di Bellusci.
Ricordiamo come San Costantino Albanese sia uno dei paesi arbëresh più studiati e documentati; questo grazie a numerosi ricercatori, anche stranieri (come Martin Camaj, Ardjan Ahmedaja o Simha Arom) che nel corso degli anni vi giungono in modo più o meno occasionale, ma soprattutto grazie all’attività assai intensa di studiosi e appassionati locali che hanno lasciato una imponente produzione scientifica documentaria, a iniziare da quella di Pasquale Scutari sugli aspetti linguistici[6]. Anche l’esperienza di Bellusci, con la sua lunga permanenza nel paese e anche grazie alla sua origine arbëresh, è assimilabile a quella di un ricercatore nativo, data anche la sua capacità di entrare, come pochi, in sintonia con le pratiche della cultura tradizionale e di coglierne le dinamiche.
I quaderni di Bellusci, ai quali vanno aggiunte le sue registrazioni sonore e il corpus fotografico, sono in grado di restituirci un quadro assai articolato della seconda metà degli anni ’60 a San Costantino Albanese, che in parte emerge anche nelle sue pubblicazioni. Va anche segnalata la sua attività a favore di valenza sociale e valorizzazione culturale, che contribuiscono a rendere il paese un centro di grande vivacità. Ricordiamo il suo impegno per l’apertura della locale scuola media e l’edificazione della casa canonica; le celebrazioni del V centenario dell’eroe albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg nel 1968 (importante occasione per gli arbëreshë di tutta Italia per riscoprire le proprie radici); la formazione del primo gruppo folkloristico come importante momento di raccordo e socializzazione tra i giovani; la fondazione della rivista annuale Vatra Jonë (Il nostro focolare) che catalizzerà le forze intellettuali più vive del piccolo centro lucano, creando anche un importante dialogo con l’estero, soprattutto con le comunità di emigranti sparse in varie parti del mondo. In questo, Bellusci prosegue l’attività intrapresa dal suo predecessore, papàs Antonio Gulemì, che aveva realizzato la sede dell’asilo parrocchiale grazie alle donazioni giunte dagli emigranti in USA.
Negli anni della sua permanenza a San Costantino, Bellusci riesce a raccogliere attorno a sé le energie migliori del paese, cercando di superare le divisioni del locale tessuto sociale, caratterizzato da contrapposizioni talvolta assai aspre, in parte ancora retaggio dei convulsi decenni precedenti, ma anche delle fratture tra un ceto benestante e intellettualmente più attivo con il resto della popolazione. Tenendo conto anche dell’articolato quadro sociale e politico, Bellusci individua con acume i collaboratori della rivista Vatra Jonë, tra i quali vanno menzionati perlomeno due nomi, la cui importanza travalica gli ambiti locali. In primo luogo, la poetessa Enza Scutari (all’anagrafe Vincenzina Cetera, 1926-2020), maestra elementare per circa quarant’anni e moglie dell’allora sindaco Alberto Scutari, che proprio su Vatra Jonë inizierà la pubblicazione delle sue prime poesie. E poi lo “zio d’America”, Giuseppe Chiaffitella (laj Pepini Shirokut 1900-1980), attivo nella promozione di pratiche tradizionali in sede locale, di iniziative di carattere sociale e di sostegno ai giovani, come la creazione del primo campo sportivo; ma soprattutto attivo nel mantenimento dei contatti con gli emigranti in USA e la cui singolare esperienza, anche grazie alla mediatizzazione delle memorie collettive, costituisce un caso di interesse internazionale[7].
[1] Appellativo dei sacerdoti della chiesa orientale, usato anche per quelli di rito bizantino presenti in Italia, appartenenti alle due eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi. I paesi arbëresh dell’Italia meridionale, fondati da popolazioni albanesi, che ancora oggi conservano il rito religioso bizantino, afferiscono a queste due eparchie. La maggior parte dei paesi arbëresh è concentrata in Calabria; in numero minore ve ne sono in altre regioni, soprattutto Sicilia e Basilicata.
[2] Non vi era ancora in quegli anni una casa canonica, costruita proprio su iniziativa di papàs Bellusci ed inaugurata alla vigilia della sua partenza da San Costantino nel 1973.
[3] Una selezione delle registrazioni di papàs Bellusci, digitalizzate presso l’università di Milano LEAV, sono accessibili sul sito http://www.archiviosonoro.org/archivio-sonoro/archivio-sonoro-basilicata/fondo-bellusci.html. Certamente una tappa successiva sarà uno studio dei manoscritti alla luce delle fonti sonore.
[4] Oltre a quanto segnalato da Maddalena Scutari, da evidenziare anche come le forme locali di termini come Kunxara, Ermunit, Dhushit, putisur, buthtua, lig, compaiono come Konxara, Ermonit, Duxhit, potisur, buftua, lik.
[5] Le uniche fiabe finora raccolte e pubblicate sono quelle che compaiono in Enza Scutari, Plaka rrëfien. Via e storia di una comunità attaverso la “voce” della sua gente. San Costantino Albanese 1987: 137-157. Più in generale sulla realtà arbëreshe sono da segnalare le raccolte della fine degli anni ’60 del secolo scorso, dunque coeve al lavoro di raccolta di Bellusci, condotte nei centri calabresi da padre Vincenzo Malaj e pubblicate in tre volumi: Racconti popolari di Falconara Albanese; Racconti popolari di Santa Caterina Albanese; Racconti popolari di Spezzano Albanese, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
[6] Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo I nomi delle piante nella comunità albanese del Pollino lucano, Università della Calabria, Cosenza 2005, e il Dizionario arbëresh di San Costantino Albanese, Università della Calabria, Cosenza 2010.
[7] Sull’attività poetica di Enza Scutari si rinvia al libro, a cura di Alexandra Nikolskaya e Nicola Scaldaferri. Lule sheshi/fiori di prato. Omaggio all’arte poetica di Enza Scutari. Roma. Squilibri 2010, con CD. Sull’attività di Chiaffitella vedi Voices across the ocean: recorder memories and diasporic identity in the archive of Giuseppe Chiaffitella, in Lorenzo Ferrarini e Nicola Scaldaferri. Sonic Etnography, Identity, heritage and creative research practice in Basilicata, southern Italy. Manchester University Press 2020: 129-151. Segnaliamo inoltre l’evento promosso su Chaffitella nell’ottobre 2018 dalla Hofstra University (NY): Music and Memory: The “Uncle From America,” A Bridge Between Rural Italy and New York (1930-1970).
Nella sua lunga attività di papàs nelle comunità arbëreshë Antonio Bellusci ha svolto un’intensa attività di ricerca etnografica e di divulgazione, promuovendo anche la realizzazione di riviste come Vatra Jonë (Il nostro focolare) e Lidhja (L’unione). Autore di numerosi pubblicazioni e insignito con prestigiosi riconoscimenti anche internazionali, Il suo operato ha trovato il proprio coronamento nella biblioteca “A. Bellusci” di Frascineto che, accanto a migliaia di volumi su temi albanologici e spiritualità greco-bizantina, raccoglie tutte le sue pubblicazioni e i documenti della sua ricerca (manoscritti, lettere, foto e registrazioni sonore).