Giorgio Adamo
Il canto popolare nel Lazio
Il canto popolare nel Lazio
2003, € 15
Formato 16.5x24, pp. 240
Nato all’interno del progetto “L’arte della canzone popolare”, promosso dal Centro Europeo di Toscolano, il volume mette a disposizione dei lettori numerosi esempi musicali, con un apparato critico che ne facilita la collocazione storica, geografica e sociale.
Attraverso un’ampia varietà di canti, ciascuno con la propria forma musicale e il proprio testo letterario, si evidenzia la ricchezza e diversità di ambienti e tradizioni culturali presenti in una regione complessa come il Lazio. In particolare sono affrontati i canti del mondo contadino e della vita del paese, dalle ninne nanne ai canti religiosi, dalle canzoni narrative alle espressioni poetico-musicali legate al lavoro e alle situazioni sociali e politiche. Particolare attenzione è rivolta alle tante tipologie di stornelli presenti nella regione e alla tradizione della canzone romana, dall’Ottocento ai giorni nostri.
Gli interventi di studiosi e musicisti (Monica Sanfilippo, Grazia Tuzi, Giuseppina Colicci, Alessandro Portelli, Antonello Ricci, Ambrogio Sparagna ed Erasmo Treglia) mettono in luce vicende e trasformazioni degli ultimi decenni fornendo utili informazioni sulla situazione attuale delle attività musicali regionali.
Leggi l'introduzione
I canti del mondo contadino e pastorale rappresentano lo strato più profondo, più consolidato, più antico, delle tradizioni musicali popolari in Italia. Oltre ai canti propriamente legati alla vita di campagna, affondano le radici in questo mondo una quantità di modi e stili di canto che talvolta è difficile identificare con un ambiente socio-economico preciso, sia perché largamente diffusi, sia perché lo stesso concetto di mondo contadino, in una società complessa come quella italiana, non sempre presenta confini netti. Il territorio del ‘paese’, in particolare, rappresenta spesso un luogo particolarmente complesso, ancorché di dimensioni limitate, in cui da sempre si sovrappongono – e talvolta si incontrano – il mondo agro-pastorale, ambienti artigiano-urbanizzati (la bottega del barbiere, il fabbro, il ciabattino, etc.), piccola e media borghesia, aristocrazia locale, e, particolarmente importante da questo punto di vista, la chiesa. L’osteria, la cerimonia religiosa, la processione, la festa del paese, divengono luoghi di incontro in cui si affiancano e qualche volta si intrecciano i diversi ambienti.
Spesso è il modo di cantare, il tipo di voce, a denunciare l’appartenenza e l’identità culturale, oltre che la forma musicale, e sicuramente più del testo verbale. A volte può essere decisiva la presenza di uno strumento musicale: la zampogna e l’organetto chiari connotati agropastorali, la chitarra e la fisarmonica tipici elementi artigiani. Ma se è facile identificare socialmente un canto di mietitura o una romanza alla chitarra da bottega di barbiere o da osteria, assai più problematico può risultare il caso di una ninna-nanna o di un canto religioso. Si cercherà quindi di presentare qui una serie di repertori che per lo più affondano le radici nella cultura contadina e pastorale, ma che complessivamente formano un patrimonio di tradizione ‘popolare’ in senso più ampio e più complesso.
Una delle caratteristiche tipiche dei canti diffusi nel mondo popolare è quello di essere legati alle modalità stesse della vita tradizionale e quindi a determinate occasioni. Ciò fa assumere loro di frequente anche una funzione specifica, oltre a quelle più generiche e consuete come il godimento estetico, l’intrattenimento, l’espressione di emozioni, etc. E’ il caso dei canti legati al cosiddetto ciclo della vita, quali le ninne-nanne, i canti di nozze, i lamenti funebri. Questi repertori non sono stati in realtà molto studiati, nel caso della regione Lazio, forse anche perché non spiccano in modo particolare nel ricco panorama di registrazioni sonore disponibile presso gli archivi o pubblicato su disco. Altre regioni italiane, che pure presentano minore varietà complessiva di generi musicali e una inferiore quantità di documentazione raccolta, offrono una tipologia più ricca e interessante di canti di questo tipo. E’ difficile dare una spiegazione di questo stato di fatto; da una parte, vi è stata forse una certa mancanza di ricerche specificamente rivolte a questo genere di repertori, dall’altra, può essere che in questa regione vi sia stata una più precoce decadenza dei repertori tradizionalmente più arcaici. Probabilmente la situazione era diversa fino alla prima metà del Novecento, prima cioè dell’inizio delle ricerche etnomusicologiche basate sull’uso del registratore.
Gli esempi più interessanti citati nei lavori degli studiosi non a caso risalgono agli anni Trenta. Tra questi, la ninna nanna annotata da Colacicchi ad Anagni nel 1931 (esempio musicale 1): da rilevare alcuni tipici contrassegni delle ninne nanna, come il profilo ‘ad arco’ che parte e torna sulla stessa nota, l’oscillazione delle note cadenzali, cioè in conclusione di verso, nell’ambito di una terza minore (sol – sib), la salita – o portamento – verso l’acuto in conclusione di verso, la lunga sosta finale sulla sillaba /oh/. Si confronti anche la ninna nanna di Gallicano nel Lazio trascritta da Nataletti proprio in quegli anni (esempio musicale 2), dove l’oscillazione finale tra sol e sib assume una vera e propria forma di dondolamento, traduzione in musica del movimento corporeo del cullare.
Il lavoro nei campi, e le modalità di vita all’aperto ad esso legate, rappresentano il contesto di riferimento per le tradizioni musicali contadine e pastorali. Il cantare all’aperto condiziona in modo assolutamente decisivo il tipo di emissione della voce, l’andamento melodico, le dinamiche. In genere in queste condizioni si definisce un modo di cantare, tipico in una certa area, che si applica a forme musicali talvolta diverse tra loro e a varie situazioni, ad esempio durante il lavoro, o nelle pause, o lungo la strada mentre ci si reca insieme sul posto di lavoro o si ritorna la sera a casa, o in occasione di momenti di riposo o di festa legati comunque al ciclo delle messi, della vendemmia, etc. E’ un cantare all’aria aperta che si riconosce immediatamente nel tipo di “aria” che viene cantata.
Nei documenti più antichi si trova un interessante Canto alla boara (esempio musicale 3) rilevato da Nataletti a Gallicano nel Lazio. L’impianto in due endecasillabi con la ripetizione del terzo rimanda alla forma stornello ABB (vedi saggio di Monica Sanfilippo in questo volume). Musicalmente è costituito da tre linee melodiche (ABC), caratteristica piuttosto inconsueta in questo tipo di repertorio, così come l’attacco V-I e il profilo ad arco. Assai più tipici sono infatti, soprattutto in Italia meridionale, i profili discendenti, in cui la voce attacca forte sull’acuto e scende lentamente verso la nota finale; spesso l’ambito non supera l’intervallo di una quinta (come nel classico esempio di stornello al modo dei mietitori fornito da Italia Ranaldi, v. esempio 7 del saggio di Sanfilippo) o di una sesta. Ma da questo punto di vista il Lazio mostra una interessante varietà.
Interessanti esempi di canti di mietitura per voce femminile sono stati documentati a Maranola (LT), vicino Formia, all’estremo meridionale della regione. Qui si riconoscono due modelli melodici diversi. Il primo (esempio musicale 4) è ancora una volta ternario, e nelle prime due linee melodiche appare chiaramente la quarta aumentata, caratteristica assai diffusa nella regione. Il secondo (esempio musicale 5) mostra una interessante struttura ABA’B’, basata su un distico di endecasillabi, seguito dalla ripetizione della seconda parte (emistichio) del primo verso, e quindi dalla ripetizione del secondo verso:
‘Orria addeventa’ ‘nu fior de spina
mezzo la piazza me vorrei piantare
un fior de spina
mezzo la piazza me vorrei piantare
Può considerarsi una sorta di evoluzione del modello base AB, caratterizzato dalle cadenze finali sul II grado (A) e sul I (B), diffuso in tutta l’area centro-meridionale.
La caratteristica forse più interessante della regione è la varietà degli stili di canto a due voci. Quasi sempre si tratta di semplici strutture basate su due endecasillabi, talvolta con la ripetizione del secondo. Una voce intona il canto, in un secondo momento subentra una seconda voce e quindi si prosegue a due secondo varie tecniche di sovrapposizione polivocale fino all’incontro-unisono finale.
Un significativo esempio è già nelle citate trascrizioni di Colacicchi, sotto il nome di Accordo, e con la notazione «canto di lavoro per la vendemmia», rilevato ad Anagni nel 1931 (esempio musicale 6). Qui il primo verso è intonato dalla prima voce, quindi la seconda esegue la prima parte del secondo verso, che viene concluso a due con lunghi melismi su terze parallele.
Molto ricca e variata è la presenza di canti a due voci in Sabina. Qui si possono rilevare interessanti differenze tra paese e paese; è questa una importante conferma di come proprio il paese costituisca la comunità di riferimento in termini di identità culturale. La denominazione stessa del “modo” di cantare vi fa riferimento: è il caso dei canti alla montasolina, dal paese di Montasola (RI), o alla cottanellotta, dal vicino paese di Cottanello (RI). A Montasola, in realtà, si può cantare in vari “modi”: nel modo alla montasolina le due voci cantano praticamente insieme i distici di endecasillabi, in modo sillabico, senza melismi, e senza ripetizioni di versi (la seconda voce entra un po’ in ritardo, in genere sulla quarta sillaba del primo verso):
Le nuvolette che vanno per cielo
so li sospiri dell’amore mio
Se li sospiri miei fossero foco
tutto lo mondo si sarìa bruciato
Nel modo alla mietitora, invece, i due endecasillabi sono enunciati dalla prima voce e solo sulla ripresa del secondo verso entra la seconda voce, secondo il modello seguente (esempio musicale 7):
I voce A Montasola c’è di piante un fiore
I voce Montasolina è l’amore mio
I e II voce Montasolina è l’amore mio
L’emissione vocale è qui più sforzata, specialmente nella parte a due voci, in cui le linee melodiche procedono con intervalli armonici soprattutto di quinta e di terza, ma con la presenza di quarte e seconde, fino a raggiungere l’unisono finale attraverso prolungati melismi.
Una sorta di via di mezzo è il canto all’asprese (secondo Sandro Portelli non è chiaro se la denominazione derivi da “aspro”, riferito al modo di cantare, o dal paese di Casperia) che viene cantato senza ripetizione di versi, ma con uno stile simile al canto alla mietitora (esempio musicale 8). A Cottanello, invece, il canto alla cottanellotta, eseguito dalle due voci insieme, salvo il consueto ritardo nell’entrata della seconda voce, vi è una quartina basata su tre endecasillabi con la ripetizione del secondo:
Chi vòle prende moglie a Cottanello
ci vonno cento scudi di corallo
ci vonno cento scudi di corallo
centocinquanta pe’ fane l’anello
che vengono cantati eseguiti con la ripetizione di due linee melodiche secondo uno schema ABAB (esempio musicale 9).
Un genere molto particolare di canti a due voci è l’ a pennese, tipico soprattutto del paese di Marcellina (RM)….
Docente di Etnomusicologia presso l'Università di Roma "Tor Vergata", Giorgio Adamo si è dedicato allo studio degli stili di canto e all'indagine audiovisiva di musica e danza. Attualmente svolge ricerche in Italia meridionale e in Africa.