Tamara Mykhaylyak
Lucente policroma Ucraina
Fonti visive e ricerca etnografica, fine '700-inizi '900
2023, € 24
Formato 20x20, 181 foto a colori, pp. 180
In offerta con il 5% di sconto
Tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘900 letterati, storici, archeologi e folkloristi, assieme a viaggiatori ed esploratori, locali e stranieri, si dedicano alla rappresentazione della cromatica varietà delle popolazioni dell’Ucraina in un’articolata etnografia che mette in risalto la ricchezza del patrimonio culturale tradizionale, assai ricco ed esteriormente molto vistoso.
A richiamare la loro attenzione è la coloritura accesa dei manufatti, in primis degli abiti e dei copricapi, ma pure dei monili, dei tessuti e delle icone, alla quale le popolazioni ucraine affidavano in significativa parte la propria riconoscibilità identitaria. I ricercatori della prima ora, antropologi in pectore, tendono a valorizzare il reperto etnografico in relazione alla sua cifra estetica, ravvisandovi un elemento di eccellenza per le culture delle zone visitate.
Sul piano delle metodiche e delle tecniche di rilevazione la vivace raffigurazione di queste genti e dei loro manufatti è affidata inizialmente al pennello, in dipinti di grande impatto, per poi passare alla fotografia così che, in album, mostre ed esposizioni anche internazionali, con la giustapposizione di fonti visive diverse, si determina un’immersione tridimensionale nella complessa realtà del Paese.
Attraverso una selezione di 181 immagini a colori e in bianco e nero il volume ricostruisce il progressivo affermarsi di un’Ucraina “lucente e policroma” negli occhi meravigliati di quanti la vollero rappresentare negli anni a cavallo di due secoli.
L'Introduzione e la Dedica
Introduzione
Ucraina terra di antiche e vivide tradizioni che ancora nella seconda metà dell’Ottocento, dopo molteplici tormentate vicende che più volte avevano ridisegnato i confini del Paese, continuavano a imporsi per la loro varietà, valorizzando l’intrinseca policromia di ambienti naturali, villaggi, abitazioni, in special modo l’appariscenza di vesti, ornamenti e copricapi degli abiti popolari, lavorativi e festivi, che si facevano segno di una vistosa affermazione culturale e identitaria.
Tradizioni che suscitarono l’interesse di viaggiatori, artisti ed etnografi che si premurarono di documentare l’ampio affresco di espressioni del popolo ucraino non soltanto mediante descrizioni variamente accurate, ma pure con i mezzi di riproduzione visiva più consoni a restituire una simile variopinta complessità.
I disegni, soprattutto acquerelli nelle mani di ricercatori più o meno adusi all’impiego dei pennelli ma convinti della necessità di serbare traccia più fedele e congrua di tali eloquenti manifestazioni, divennero una pratica etnografica esercitata sia sul terreno sia a posteriori. Con l’avvento della fotografia, ben accolta ovunque per la sua incontestabile, presunta obiettività, se il bianco e nero mortificava la summenzionata policromia, la riproduzione istantanea consentiva tuttavia di ampliare il raggio d’azione del ricercatore, velocizzando le procedure ritrattistiche e incrementando significativamente i temi documentabili. Singolarmente, in certi casi, foto e acquerello tornarono a incontrarsi, fondendosi per realizzare delle testimonianze ancor più attendibili e realistiche: a volte le stampe, spesso derivate da negativi al collodio, venivano colorate a mano acquisendo in tal modo ancora maggiore “veridicità”.
In una prospettiva metodologica si registrarono tentativi di formalizzare l’uso della fotografia non solo nella ricerca etnografica ma anche in seno all’antropologia fisica, secondo dettami e accorgimenti suggeriti da alcuni studiosi con pregresse esperienze di terreno. Questi tentativi evidenziano dunque l’attenzione riservata alla fotografia, che per rendersi maggiormente cogente doveva essere guidata da vademecum e da istruzioni di ordine tecnico e tematico.
In linea con quanto restituito dalla mole di materiale documentario si diffusero parallelamente dei “veicoli” che tenessero conto di disegni, acquerelli e fotografie, in grado di divulgare gli esiti delle indagini antropologiche e parimenti visuali. Non soltanto saggistica, articoli scientifici, memorie pubblicate su riviste di settore, monografie, ma anche numerosi album con strette relazioni tra testi e immagini, tra commentari, apparati didascalici, tempere e foto, queste ultime frequentemente organizzate in sezioni autonome e più pertinenti: fu di certo una gran novità, ma soprattutto una scelta rispettosa delle differenti nature, testuali e visive, di quanto documentato sul campo.
In chiave sapientemente divulgativa si affiancano inoltre mostre, esposizioni e musei di impostazione variamente etnografica, dove all’unione già sancita tra immagini e testi partecipano anche i manufatti reali, potenti attrattori immediatamente intellegibili nella loro concretezza da qualunque visitatore.
L’etnografia ucraina nel periodo considerato, ovvero dall’inizio dell’Ottocento ai primi del Novecento, coglie quindi prontamente le opportunità che l’immagine può garantire sia alle ricerche di terreno sia alla restituzione dei loro esiti. Nei fatti siamo al cospetto dei prodromi di quella che oggi correntemente definiamo come antropologia visuale. All’epoca, in Ucraina studiosi e professionisti di varia estrazione si dedicavano a replicare e perpetuare la multiforme galassia delle tradizioni popolari autoctone radicate nel mondo contadino ma parimenti amate da esponenti dei ceti più abbienti, da un’intellighenzia locale che benediceva sul piano politico il connotato rurale, quale segno palese di un’identità nazionale tante volte messa in discussione e vilipesa.
Si è dunque innanzi a un’intrigante rappresentazione dell’Ucraina che risponde a determinate istanze. Osservando, analizzando, distinguendo e riproponendo in questa sede una selezione articolata della documentazione iconografica appare piuttosto evidente una sottostante esigenza attentamente definitoria, fin quasi “promozionale”, dell’universo rurale ucraino, spesso vissuto dall’interno da parte di ricercatori che ne compongono un quadro se si vuole anche “ameno”, ma fatto di gente operosa che al lavoro alterna il momento festivo vissuto come esperienza corale, partecipata e condivisa. Tali testimonianze possono apparire venate da certe ingenuità espressive, da un tratto talora estetizzante e lezioso, ma in definitiva sono ispirate da un’istanza calligrafica tesa a valorizzare la ricchezza culturale di un popolo intenzionato a ribadire la propria dignità, la dignità di un Paese la cui identità, la cui pacifica coesistenza, la cui stessa esistenza fisica purtroppo ancora oggi viene brutalmente minacciate dal tragico, sanguinoso conflitto in corso.
Dedica
A coloro che hanno dato la propria vita per difendere la libertà del popolo ucraino
Ho iniziato la stesura di questo volume subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Vedendo quotidianamente le immagini di città e villaggi distrutti, sapendo che i miei parenti e amici rischiavano, come tuttora rischiano, di perdere la vita durante i bombardamenti e ascoltando le testimonianze di coloro che sono fuggiti da un simile orrore non è stato facile trovare la concentrazione per proseguire nel mio lavoro. Più andavo avanti più avvertivo, però, la necessità di mostrare un’Ucraina antica di cui ho cercato di mettere in risalto la ricca e policroma cultura, espressa da un variegato patrimonio etnografico raccolto, difeso e promosso attraverso ricerche antropologiche, rappresentazioni pittoriche, documentazioni fotografiche, esposizioni e musei.
Alcune immagini del libro
Docente di Antropologia culturale e di Antropologia della comunicazione nell’Università “Federico II” di Napoli e ricercatrice presso l’Istituto di Etnologia dell’Accademia Nazionale delle Scienze di Leopoli, in Ucraina, Tamara Mykhaylyak ha all’attivo diverse pubblicazioni sulla storia dell’antropologia in Ucraina e Russia; per Squilibri, assieme ad Alberto Baldi, ha pubblicato L’Impero allo specchio. Antropologia, etnografia e folklore nella costruzione di un’identità culturale nazionale ai tempi della Russia zarista. 1700-1900.
è un libro curato nei contenuti ma anche nella “confezione”; non è, insomma, il classico volume scientifico, ma uno scrigno patinato, altrettanto elegante anche nella grafica. Fondamentalmente è un atto d’amore, di chi l’ha scritto e di chi l’ha pubblicato, per una nazione che oggi difende non solo i suoi confini, ma anche la sua dignità, identità e policromia Giancarlo Menna, Mondo agricolo