Vincenzo Santoro
Il ritorno della taranta
Storia della rinascita della musica popolare salentina
2009, € 18
Formato 14x19, pp. 272
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Dalle pionieristiche esperienze degli anni Settanta fino all'esplosione degli ultimi anni, la ricostruzione del lungo processo di recupero e riuso dei materiali tradizionali giunto nel Salento a una sorprendente esposizione mediatica le cui ricadute vanno bene oltre i confini regionali. Una storia iniziata poco meno di quarant'anni fa ad opera di una variegata congerie di personaggi locali, spesso singolari e in qualche caso anche stravaganti che, coadiuvati a volte da personalità più blasonate provenienti dall'esterno, sono riusciti a produrre uno dei fenomeni musicali più sorprendenti e clamorosi degli ultimi anni: il "rinascimento della pizzica".
In un avvincente racconto corale, una vicenda senza riscontri sul piano nazionale è ripercorsa dalla "viva voce" dei suoi protagonisti, da Rina Durante a Giovanna Marini, dal Canzoniere Grecanico Salentino ad Officina Zoé, da Eugenio Barba a Edoardo Winspeare, dal Canzoniere di Terra d'Otranto agli Aramirè, da Eugenio Bennato a Georges Lapassade fino all'attuale dilagare di tarante a tutte le latitudini e nelle più svariate combinazioni.
Nel cd allegato al volume una significativa selezione di brani musicali che, con diversi inediti, offre un'efficace rappresentazione sonora del movimento che, prima ancora dell'intervento delle istituzioni, ha reso possibile il "miracoloso", anche se non privo di contraddizioni, recupero di una tradizione.
Ascolta il brano Jomoso, un inedito degli Aramiré
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Questo libro racconta una storia che comincia poco meno di quarant’anni fa. La storia del tentativo, messo in campo nel Salento, di trattenere almeno una parte della cultura dei contadini e delle classi povere, che inesorabilmente stava scomparendo, insieme al mondo di cui era stata parte fondamentale, sotto i colpi di quello che Pier Paolo Pasolini chiamava “genocidio culturale”, della violenta “modernizzazione”, dell’omologazione dei costumi e dei comportamenti, dell’emigrazione di massa che negli anni avevano investito anche questa parte estrema d’Italia. I protagonisti sono una variegata congerie di personaggi locali, spesso singolari e in qualche caso stravaganti, coadiuvati a volte da personalità più blasonate, provenienti anche “da fuori”. Un insieme eterogeneo e litigioso che però è riuscito a produrre uno dei fenomeni musicali più sorprendenti e clamorosi degli ultimi anni: “il rinascimento della pizzica”.
Il tentativo di rivitalizzare la musica tradizionale nel Salento comincia più o meno quando la tradizione viva – documentata nelle campagne di ricerca sul campo condotte dai tanti studiosi, a partire da Alan Lomax, Diego Carpitella ed Ernesto de Martino – aveva già cominciato a declinare. Quando in campagna si cantava sempre meno, i tamburelli rimanevano appesi al muro, le ultime tarantate avevano smesso di andare a Galatina e nessuno ballava più la pizzica-pizzica, comincia un lavoro collettivo di lunga durata, per lungo tempo minoritario, nel tentativo, a tratti disperato, di salvare il salvabile per tenere viva questa cultura.
Siamo nel pieno degli anni Settanta e questo primo movimento talentino era una derivazione provinciale del più vasto e solido folk revival nazionale, di cui riproponeva le marcate motivazioni politiche, accentuando il valore antagonista della cultura contadina. In seguito,
con l’arrivo dei terribili anni Ottanta, in cui prevalgono altri interessi musicali e culturali, la partita sembra definitivamente persa: i gruppi attivi nel Salento, in mancanza di committenze ed attenzione, si sciolgono o cambiano decisamente direzione.
A partire dalla fine degli anni Ottanta la nostra storia, però, comincia a svilupparsi in modo del tutto imprevedibile ed originale. Quando in Italia gli esponenti del folk revival nazionale, anche quelli più schierati, stentano a trovare spazio persino nel circuito delle feste de l’Unità, nel Salento si avvia un sotterraneo ma esteso lavorìo finalizzato alla ripresa delle culture musicali tradizionali, con particolare riferimento alla “pizzica” carica di ancestrali suggestioni. Partito dal basso, per iniziativa di operatori locali e gruppi di base molto determinati, questa azione, rispondendo evidentemente ad esigenze diffuse sul territorio, incontra un consenso sempre più crescente, travalicando anche i confini regionali, grazie ai circuiti “alternativi” dei centri sociali e alle comunità di studenti salentini disseminati per l’intera Penisola. Recependo in parte le istanze delle generazioni precedenti, nasce così un nuovo “movimento”, solido e vitale, che coinvolge migliaia di appassionati e che, salvo rare eccezioni, si muove in sostanziale autonomia dalle istituzioni (università ed enti locali), fino ad allora assenti da questo straordinario fermento culturale ed artistico che movimenta la scena salentina. L’intervento massiccio, sia economico che gestionale, delle amministrazioni pubbliche arriverà solo verso la fine degli anni Novanta, facendo letteralmente esplodere il “movimento della pizzica”, non senza averne modificato alcune connotazioni fondamentali.
In questo libro ho cercato di ricostruire questa storia “locale” (ma a mio parere emblematica di come si possano attivare con successo processi di riappropriazione e riuso dei materiali tradizionali) attraverso la “viva voce” dei suoi protagonisti, i cui racconti costituiscono l’architrave portante di una narrazione corale. Una ricostruzione, vista la natura delle fonti utilizzate, per forza di cose parziale, e forse in qualche caso non del tutto precisa, ma che pone in risalto motivazioni e obiettivi di coloro che, ben prima dell’intervento delle istituzioni, hanno reso possibile questo “miracoloso” recupero di una tradizione ormai prossima a scomparire, per quanto non privo di contraddizioni e, in alcuni casi, di pericolose derive. In particolare, mi sono soffermato sull’analisi delle modalità con cui il movimento ha lentamente ricostruito una “memoria musicale” condivisa, combinando alla proposta musicale anche un faticoso lavoro “sul campo”, alla ricerca delle possibili fonti documentarie capaci di congiungere il presente al passato al quale si richiamava.
A differenza di quanto in molti pensano, il movimento musicale salentino non è un’eredità “naturale” e diretta di un passato ricco e vitale ma il risultato di un’operazione di ri-costruzione, in cui una parte della “tradizione” è stata ripresa, modificata e adattata a un “consumo culturale” del tutto contemporaneo. Sul modo con cui condurre questa operazione, il movimento salentino negli anni ha dibattuto vivacemente, si è diviso, ha litigato, tentando strade molto diverse, spesso commettendo dei grossi errori e rasentando il falso storico, anche per la mancanza di documentazione e di strumenti critici adeguati: gli operatori locali si sono dovuti praticamente “inventare” competenze e modalità di intervento, in quanto la comunità scientifica, a parte pochi casi, si è sempre ben guardata dal fornire un sopporto adeguato, tranne stigmatizzare poi gli errori inevitabili emersi all’interno del movimento, pontificando con sufficienza sulle sue contraddizioni.
Chi scrive è stato fortemente coinvolto in questa vicenda, almeno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Anzi, il mio percorso credo sia in qualche modo emblematico dell’esperienza comune a un’intera generazione. Pur essendo la mia famiglia di origini “popolari”, io ho ignorato a lungo l’esistenza stessa di una tradizione musicale salentina. Nonostante accompagnassi spesso mio padre, che per lavoro frequentava assiduamente le campagne e i contadini, non ho ricordo di canti o pratiche musicali “tradizionali” di alcun tipo. La scoperta del mondo popolare l’ho fatta all’Università, a Pisa, negli ambienti della “Pantera”, movimento studentesco a cui partecipai attivamente nel ’90. In quel contesto pieno di stimoli e di suggestioni, i preziosi consigli di alcuni amici mi fecero accostare a questo mondo fino ad allora sconosciuto.
Ricordo con emozione la prima volta di un concerto dal vivo: all’Istituto “Ernesto de Martino” di Sesto Fiorentino si esibì il poeta sindacalista Peppino Marotto con i Tenores di Orgosolo. Fu un’esperienza intensa e indimenticabile. In parallelo ci fu la scoperta dei Sud Sound System, con il loro travolgente raggamuffin in dialetto salentino, che con mia grande sorpresa piaceva a tutti i miei compagni. Leggendo su “il manifesto” le cronache delle infuocate dance-hall che i SSS organizzavano nelle lunghe notti dell’estate salentina, incontrai questo termine bizzarro tarantamuffin, che rimandava a un fenomeno affascinante e misterioso, a me del tutto sconosciuto: il tarantismo. Anche la prima volta della musica popolare salentina dal vivo fu, per tante ragioni, una grande emozione. Nel ’93, in un momento molto triste della mia vita – avevo perso mio padre da pochi mesi – una carissima amica mi portò ad una festa di matrimonio,
in un locale all’aperto sulla rocciosa costa adriatica, che mi parve estremamente bizzarra, per gli ospiti e per l’accompagnamento musicale. Si esibivano tre vispi signori, già anziani ma incontenibili, che si facevano chiamare “gli Ucci”. Lo sposo era un giovane politico di Melpignano, destinato a una luminosa carriera: Sergio Blasi.
Il mio percorso di “formazione” è proseguito negli anni, e parallelamente sono stato sempre più attivamente coinvolto nel movimento salentino, come operatore culturale (anche nel ruolo di amministratore del comune di Alessano) e organizzatore di eventi e spettacoli. Fino a questo libro, che vuole essere, oltre che un modesto contributo alla ricostruzione della storia culturale salentina degli ultimi anni, un ringraziamento alla mia terra per tutte le emozioni che mi ha regalato.
Il CD
1. Nuovo Canzoniere del Salento, “Moretto” 1:28
2. Nuovo Canzoniere del Salento, “Ntunucciu” 2:25
3. Giovanna Marini, “Fimmini cu fimmini” 1:13
4. Giovanna Marini, “Giulia di Fornovo” (trad.) 3:55
5. Canzoniere Grecanico salentino, “Pizzica” 2:52
6. Radici, “Caru Patrunu” 4:12
7. Radici, “Santu Paulu” 4:58
8. Canzoniere di Terra d’Otranto, “Vita Maria” 3:36
9. Canzoniere di Terra d’Otranto, “La turtura” 3:28
10. Officina Zoè, “Sale” 9:04
11. Officina Zoè, “Allu sciardinu” 4:48
12. Aramirè, “Opillopillopì” 6:49
13. Aramiré, “Jomoso” 3:22
14. Aramiré, “Mazzate Pesanti” 3:52
15. Orchextra Terrestre, “Klama” 4:36
16. Ensemble Terra d’Otranto, “Tarantella tonum
phrigium” 3:23
17. Massimiliano Morabito, “Pizzica Pizzica
di Ostuni” 3:54
18. Anna Cinzia Villani, “Pizzica di Nardò” 3:54
19. Le donne belle, “Luna Otrantina”
(testo Rina Durante) 3:22
durata totale: 75:22
Responsabile dell'Ufficio Cultura dell'A.N.C.I., impegnato da anni nell'organizzazione di iniziative ed eventi sulle musiche e culture popolari del Mezzogiorno, Vincenzo Santoro ha pubblicato numerosi saggi e volumi sulle tradizioni musicali del Salento.
Quello di Santoro non è un libro come i tanti altri che in questi anni hanno alimentato la pletorica saggistica sulla pizzica: la sua è invece una controstoria filologicamente puntuale e sociologicamente raffinata del tormentone pugliese per antonomasia. (...) Santoro utilizza una mole incredibile di documenti -dai vecchi articoli di giornale alle interviste ai vari musicisti- dimostrando di avere un po' dello storico contemporaneo e un po' dell'antropologo culturale. (...) Un volume bello e originale (...) che si rivela agevole mezzo d'orientamento per i confusi neofiti vacanzieri alla scoperta della terra del rimorso, oltre che manuale d'uso scientifico per studiosi e cultori di scienze sociali. Gino Di Mitri, La gazzetta del mezzogiorno
Un lungo processo di recupero e riuso dei materiali tradizionali, dagli anni Settanta fino ad oggi, ha intessuto il Salento rendendolo un'isola musicale unica in Italia. Una storia da ricostruire, raccontare e sistemare nel suo divenere, come ha fatto Vincenzo Santoro nel libro con cd allegato. Antonella Gaeta, La repubblica
Nel farlo, nel narrare di vicende, fatti e personaggi, Santoro "usa" tanti ricordi dei protagonisti, quelli raccolti direttamente da lui o riportati in altri libri editati in questi ultimi anni. Nessuno però è mai riuscito a rendere uno spaccato globale, schematico e chiaro come questo. "Il ritorno della taranta" ha come ulteriore punto di forza quello di fornire una serie di input al lettore che volesse approfondire i tanti "rivoli", affluenti o emissari, di quel grande fiume in piena che è stato, o forse lo è ancora, la musica di tradizione e più in generale la cultura popolare del Salento.Dario Quarta, Qui Salento
Un viaggio a tratti illuminante nel caleidoscopico universo del movimento della pizzica, che delinea percorsi, stimola riflessioni e ulteriori approfondimenti, consegnando al lettore una narrazione polifonica in cui il punto di vista di Santoro (che pure è una delle voci più apertamente critiche in seno al movimento stesso) non sovrasta mai il pluralismo delle voci che da sempre caratterizza il revival salentino. Sergio Torsello, Il quotidiano di Lecce
Una storia (...) che racconta qualcosa di più di un fenomeno locale. In un racconto corale i migliori nomi della nostra musica popolare ricordano come la cultura della terra abbia drenato un possibile genocidio culturale nel nostro sud, dovuto alla massificazione del gusto. (...) Leggendo questa storia si comprende perché centinaia di migliaia di giovani partecipino ogni anno a feste e concerti di musica tradizionale. Riccardo Piaggio, Il Sole 24Ore
Correte a comprare un libro bello e importante, uscito di recente, che alle pagine scritte con grazia leggera da Vincenzo Santoro (grazia che nasconde una documentazione imponente) affianca uno splendido cd con diciannove tracce. Viatico necessario per che vuole conoscere i misteri della "musica del ragno". (...) La prefazione è di Alessandro Portelli, altro grande della ricerca su questi temi. Abballati! Guido Festinese, Modus Vivendi
Dando voce ai protagonisti del revival, l'indagine fa luce sull'articolato processo di risignificazione di una parte della tradizione musicale di terra d'Otranto come espressione di appartenenza locale e per l'uso e il consumo contemporanei, segnalando, al contempo, contraddizioni e, in qualche misura, derive azzardate. Lettura utile agli studiosi e appassionati delle musiche di tradizione orale, ai cronisti ancora convinti che quello della "Notte della taranta" sia un rituale arcaico. Ciro De Rosa, Il giornale della musica
Il merito del libro di Santoro non sta soltanto nella ricca documentazione storica (e antropologica) del passaggio del fenomeno dal letargo locale (...) al successo internazionale, ma nella sua capacità di non chiudere gli occhi sulla degenerazione che a volte ha preso molti interessati riscopritori. E giova ricordare, altro merito del libro, che la riscoperta di tante cose nel nostro Sud (...) è stata opera dal basso, le istituzioni sono giunte in ritardo a porvi un cappello, spesso più dannoso che proficuo. (...) Con la chicca di Luna otrantina appositamente realizzata per questo disco su un testo di Rina Durante. Michele Fumagallo, Il manifesto