M. Balma, G. d'Angiolini
(a cura di)
Musiche tradizionali del Ponente Ligure
Le registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer (1962, 1965, 1966)
2007, € 22
Formato 14x19, 10 foto in b/n, pp. 132
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Nel 1962, 1965 e 1966 Giorgio Nataletti, affiancato nell'ultima rilevazione da Paul Collaer, condusse, per conto del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, tre campagne di ricerca nella Liguria di Ponente, con uno sconfinamento in Francia e una digressione a Genova. Per quanto riguarda l'area dell'Imperiese, le ricerche interessarono le località di Imperia Oneglia (Borgo Peri), Taggia, Triora, Realdo, Ceriana, Seborga, Dolceacqua, Isolabona, Apricale, Pigna e Briga, documentando un ventaglio molto ampio di espressioni musicali, dal canto liturgico a quello rituale, dal canto monovocale a quello polivocale dei pastori, dal canto solistico accompagnato da una chitarra ritmica a quello di piccoli insiemi con chitarra e mandolino.
Questi documenti sonori, confluiti poi nelle raccolte 67, 91 e 101 del CNSMP, oggi Archivi di Etnomusicologia, sono una straordinaria testimonianza delle trasformazioni che le musiche di tradizione hanno subito nella tumultuosa fase di industrializzazione della società italiana dove, accanto all'ancora solida persistenza del repertorio più antico, si registrano anche significativi fenomeni di erosione della prassi musicale originaria.
La documentazione sonora, finora del tutto inedita e pubblicata nei due cd come una sorta di viaggio da Levante a Ponente, risulta pertanto di imprescindibile importanza per l'azione di recupero e valorizzazione del patrimonio musicale ligure.
Ascolta il brano U mese du granu
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Questa raccolta, che riassume le ricerche etnomusicologiche di Giorgio Nataletti nella Liguria di Ponente, può generare, ad un primo approccio, l'impressione di una certa omogeneità. Il canto è, tipicamente, polivocale; il contenuto testuale è perlopiù di tipo narrativo, le forme musicali sono spesso quelle, strofiche, della ballata o ad essa simili, le leggi armoniche che guidano la condotta delle parti vocali sono ricorrenti e ben identificabili. Tuttavia ad uno sguardo più attento è possibile scorgervi diverse direttrici stilistiche. Ne propongo qui alcune derivanti da criteri di analisi non omogenei, ma a mio avviso significativi.
Da un lato è d'uopo distinguere il repertorio formalmente più antico, più legato alla continuità della tradizione orale, da quegli oggetti che tradiscono influenze diverse. Esse, come nel caso dei "cori degli alpini", tendono a manifestarsi nell'ambito di corali organizzate spesso orientate a promuovere un'immagine ufficiale, edulcorata, oleografica, del folclore. In questi contesti, la tradizione subisce rimaneggiamenti le cui soluzioni derivano dalla grammatica della musica culta anche attraverso la mediazione di certa canzone d'autore a carattere popolaresco. Queste trasformazioni si manifestano allora a tutti i livelli stilistici, da quelli grammaticali a quelli sonori che vedono anche l'introduzione della chitarra e del mandolino con funzione di accompagnamento. La chitarra era uno strumento molto presente in questa regione e veniva impiegata sopratutto nell'esecuzione di canzoni solistiche di varia natura. Ma finiva per accompagnare anche il canto corale in ritmo misurato. Talvolta si trattava di versioni più recenti di antiche ballate (La figlia del capitano, La funtanèlla[1] di Ceriana), ma perlopiù l'adozione di questo strumento comportava l'introduzione di un nuovo repertorio e serviva allo scopo di aggiungere un tocco bozzettistico a prodotti musicali già assai artefatti. Esemplare in questo senso è il caso della canzone I müratei, registrata a Isolabona o quello di Sun trèi dì o di Angerina eseguite a Ceriana da cori diversi da quello della Compagnia Sacco. Più tardi verrà adottata perfino la canzonetta commerciale quando essa poteva vantare qualche rapporto con la tradizione e da questa venire a sua volta recuperata.
Il lettore mi perdonerà questa messa in valore, da parte mia, degli aspetti e degli oggetti dal maggiore spessore storico rispetto a quelli più moderni e più lontani dai moduli tradizionali. Non si tratta di un atteggiamento passéiste, conservatore, perché si conviene che innovazioni hanno luogo in ogni realtà culturale e possono risultare costruttive. Si tratta invece della constatazione che questi nuovi apporti si sono svolti a discapito del repertorio più autentico e sopratutto che i risultati, sebbene da prendersi in considerazione dal punto di vista storico, sono, da quello compositivo ed estetico, scarsamente significativi. È quest'ultima una riflessione che richiederebbe uno specifico saggio dimostrativo; invito però il lettore a porre attenzione almeno ai fatti estetici più rilevanti che contraddistinguono lo stile antico: la complessità variopinta dei timbri vocali, il lirismo dei testi e i modi della loro messa in musica, le soluzioni melodiche o quelle armoniche: semplici magari, ma non banali.
Si dà in questa pubblicazione la possibilità non comune di confrontare una stessa composizione, En te stu carlevà, eseguita nello stesso paese e negli stessi anni, in due modi completamente diversi. Quello della Compagnia Sacco è quello della tradizione; il Coro della Valle ne propone una versione alterata da ogni sorta di manipolazioni che finiscono per banalizzare la musica, senza peraltro riuscire a cancellarne completamente il fascino originario.
(…) Si consideri ancora il grado di finezza espressiva e di elaborazione con le quali è concepita l'aria di U mese du granu. Il suo disegno, nella fase corale, si profila come una parabola costituita a sua volta da tre grandi archi dalla curva via via meno accentuata: una forma che, in perfetto accordo con l'argomento letterario, prende avvio da uno slancio lirico a cui progressivamente fanno difetto le forze; un impeto che si riduce in intensità in un movimento di ripiegamento e rassegnazione. E sembra dire, prima ancora delle parole, che, da parte di quell'oggetto di passione amorosa di cui si racconta, bisognerà d'ora in poi accettare il tradimento e il definitivo distacco[2].
(…) Se abbiamo posto l'accento sulle dinamiche della tensione e della gestualità espressiva nei disegni melodici, è necessario ricordare che ognuna di queste movenze avviene nell'ambito di un sistema modale che possiede i suoi specifici effetti sensibili. La "sensibile", appunto, porta bene il suo nome: la sua vicinanza con la tonica e il movimento d'attrazione che ne risulta, la rende tesa. "Sensibile" è anche l'intervallo di semitono discendente che dal quarto grado fa scivolare la melodia sul terzo; plorant semiton veniva detto già nel Medioevo[3], ben prima che, in epoca barocca, fosse formulata una vera e propria "teoria degli affetti".
U mese du granu può definirsi come un canto lirico costituito da strambotti concatenati per mezzo di agganci tematici, da riprese di parole o frasi e dunque procede per accumulazioni di immagini piuttosto che per una conseguenzialità logica stretta. Ma in questi repertori è raro rinvenire una poesia lirica "pura", come è il caso degli stornelli dell'Italia centrale e meridionale. I testi possiedono comunque un sapore e degli intenti narrativi. Quello di questa canzone, che esprime una delusione amorosa, è molto poetico e alcune evocazioni sono particolarmente suggestive[4].
(…) Guardando ancora al corpus dei canti raccolti da Nataletti, ci sembra necessario distinguere la situazione musicale del paese di Ceriana da quella degli altri paesi repertoriati. E questo sia per le differenze che riguardano lo stile, che per ciò che attiene alla performance. Nella sua foggia più caratteristica, il canto a Ceriana è dato da una polifonia a tre parti, due delle quali, più acute, sono solistiche e mobili mentre l'altra è formata da un bordone fisso realizzato da un numero consistente di esecutori. Se il modello di riferimento, per quel che riguarda le relazioni tra le due voci superiori, è perlopiù (ma non solo) quella di un'armonia per terze parallele, questo viene continuamente rielaborato nell'atto esecutivo. Nello stile più autentico una più grande variabilità delle relazioni armoniche può essere suscitata dall' insorgere di varianti diverse tra i cantori; al punto che si potrebbe parlare in questi casi di una sorta di "eterofonia per terze". Nelle forme polifoniche raccolte negli altri villaggi tale rapporto di terza è invece di pressoché totale parallelismo[5].
La polifonia cerianasca è altamente formalizzata. Al contrario, un relativo "disordine" nell'organizzazione delle entrate, nella condotta delle parti, nei ruoli melodico-armonici assegnati a taluno o talaltro interprete è una prerogativa dello stile che contraddistingue gli altri paesi dell'entroterra. In questo ambito non vi è sempre una divisione rigida dei ruoli, non due solisti e un coro all'unisono, ma vari protagonisti che entrano in scena secondo un criterio che tende al riempimento armonico. Se le leggi che regolano la condotta vocale sono semplici e chiare, è anche vero che vi si trovano momenti di esitazione, vi si può riscontrare una relativa informalità nella realizzazione del tessuto polifonico che tollera interventi non sempre univocamente determinati, scelte intraprese e abbandonate, raddoppi estemporanei all'ottava di parti più gravi, perlopiù effettuati dalle voci femminili, eccetera. Sia il principio che vuole la sovrapposizione di un gran numero di interventi individuali tesi a riempire lo spazio armonico, sia il fatto che i cori possano essere liberamente misti, avvicina questo stile a molti altri dell'arco alpino[6]. Un esempio tipico ci viene dalla registrazione effettuata a Dolceacqua (La bèla l'é andàita a Roma). Lo stile di Apricale, di Triora, di Pigna e di Realdo vi partecipa pienamente.
Della voce che intona la ballata Laggiù in fondo in quel boschetto vanno sottolineate le somiglianze timbriche e prima di tutto la leggerezza, che intrattiene con quella del solista che nella Compagnia Sacco di Ceriana assicurava la linea più acuta (Giacomo Onda "Giâ Brüjù"). È questo uno dei vari timbri maschili possibili, ma forse il più caratteristico della regione e tale impostazione vocale ricorre anche nell'elocuzione, nella lingua parlata.
(…) Le forme musicali in uso a Ceriana possono anch'esse essere inserite nell'insieme più largo delle polifonie che contraddistinguono il nord dell'Italia, non solo per quel che riguarda l'andamento delle voci soliste, ma anche per il profilo generale e per i contenuti melodici i cui stilemi appartengono a questa grande famiglia.
[1] La bevanda sonnifera, Nigra 77.
[2] La conclusione, tinta di fatalismo, è data in un'ultima strofa non cantata qui. Eccola: Se se marida saverà chi a prende /uè ma queste son rose e fior che non son da rende.
[3] Cf.: A. Pirro, Idee sulla musica nella società medievale in Musica e storia tra Medio Evo e età moderna, a cura di F.A. Gallo, Il Mulino, Bologna, 1986, pag. 54.
[4] Era detta "Stella Diana", già dall'antichità, la stella del mattino che appare in Oriente e metaforicamente una donna dalla bellezza luminosa e purissima (l'è naitu cu ina rosa in mano). Questo senso traslato si applica inoltre, anche nella letteratura religiosa, alla Madonna; ciò che spiega la frase: O Diana stella faimene ina grasia. Nella raccolta del Nigra è riportato uno strambotto piemontese di identico contenuto: Stella Diana, fammi 'n po' na grasia/ Fammi veder l'amur quandu che 'l passa/ Quandu che 'l passa, passerà cantandu/ Gli occhi bassi e nel core suspirando. C. Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino, 1888, pag. 704 ed. 1974. Il verso l'è nata in Francia e batesà in Sardegna potrebbe riferirsi al passaggio, nel 1815, di Ceriana dal Regno di Francia a quello di Sardegna: la protagonista di quella nascita miracolosa vede la luce negli ultimi giorni del Regno di Francia in Liguria. Questo componimento dà l'impressione di essersi strutturato come assemblaggio di strambotti originariamente indipendenti. Non è mio compito indagare sulla sua origine storica, ma si vedano le notevoli somiglianze di stile con una canzone come "O rosa bella" molto popolare alla fine del Quattrocento. Cf. al proposito la nota 12.
[5] È questo un tratto che si ritrova ovunque nelle polifonie dell'Italia settentrionale. La condotta delle voci più gravi, pur seguendo i dettami di una grammatica armonica di tipo "tonale", può invece variare notevolmente. Le forme "a discanto" (canto a vattoccu, a pera, mantignade, ecc.) vanno considerate diversamente: esse si presentano a noi come la perpetuazione di una diafonia arcaica.
[6] A Ceriana, se l'inserimento occasionale di una donna come solista nel coro maschile era possibile, le polifonie restano tuttavia l'appannaggio specifico della parte maschile della comunità. Nel 1969 si è venuto a costituire in quel paese un coro esclusivamente femminile ("Le mamme canterine") che in buona misura si impegna anch'esso come interprete fedele della tradizione. Cf. CD: Liguria Ceriana canti polivocali, "A vita l'è bela", Le mamme canterine, Geos, Nota, cd 342, 2000, a cura di Mauro Balma.
i 2 CD
CD 1 Registrazioni di Giorgio Nataletti e Paul Collaer
(1962,1965,1966)
1. O ciü bèla ti séi marotta 1:15
2. Sciù ghe n’éa dui ujelìn 5:17
3. Canto del “Ballo della Morte” 2:58
4. Te Deum 1:38
5. Magnificat 1:03
6. Benedictus 2:13
7. Tabiae splendor 0:59
8. Dove ne vai o bèla brunéta 2:22
9. Sedicianni soltanto aveva 2:50
10. E su ghe n’éra tréi ucelìn 2:30
11. Tuta la note penso 2:04
12. Ut queant laxis 2:27
13. E siamo giunti compagni alla casa 1:41
14. La pulayéra 3:18
15. E ri sun tréi fiyéte (Re tréi brünète) 2:20
16. Il mio amore l’è ’n bel moro 6:42
17. Ye n’éran tréi bèi giuvu 0:58
18. Laggiù in fondo in quel boscheto 2:48
19. Mamma io voglio andare sul monte Zémolo 3:19
20. Stamattina mi sono alzato 4:39
durata totale: 53:29
CD 2 Registrazioni di Giorgio Nataletti
(1962,1965)
1. Angerina 4:15
2. La figlia del capitano 4:06
3. La funtanèla 4:53
4. U mes΄e du granu 3:20
5. En te sˇtu carlevà 3:30
6. Maria Ma(d)daléna 2:35
7. Sun tréi dì 3:15
8. En te sˇtu carlevà 4:23
9. Antò de Mastr’Antò 2:48
10. La bèla l’é andàita a Roma 3:59
11. I müratèi 2:29
12. Pigliàivene bèl tèmpu 2:56
13. Ai Canséli 3:15
14. Se la mia màire l’è rica e bèla 2:41
15. Gardian del monte 3:17
16. La condanna di Cristo 4:56
17. Recordare Domine 4:48
18. Stanco di pascolar le pecorelle 5:25
19. Artemisia 2:11
20. Or vèn ar méis΄ de mars [I pasˇtùu] 2:36
durata totale: 71:45
Fotogallery
Mauro Balma si occupa da oltre trentacinque anni delle tradizioni orali della Liguria e delle aree appenniniche confinanti. Ha realizzato numerosi saggi, monografie e produzioni discografiche di carattere etnomusicologo.
Compositore e musicologo, Giuliano d'Angiolini si è occupato di musiche della tradizione orale nonché di musiche contemporanee e medievali. Oltre a numerosi saggi, ha pubblicato una monografia sulla musica dell'isola di Karpathos.
Les disques sont accompagnés d'une série de textes qui présentent à la fois le contexte de l'enquete. Mauro Balma est retourné sur le terrain pour comprendre comment s'est organisée la collecte tandis que Giuliano d'Angiolini nous propose une analyse musicologique d'une partie des oeuvres. (...) Ce petit ouvrage est une belle réussite de valorisation d'un fonds sonore qui dormait dans les archives d'ethnomusicologie de l'Accademia di Santa Cecilia à Rome. Bulletin des adhérents de l'AFAS
Mauro Balma e Giuliano d'Angiolini ripropongono, analizzano, trascrivono qui un range assai ampio di espressioni musicali, spesso travolte o anestetizzate dall'avanzare del boom economico degli anni Sessanta, dalla fine del relativo isolamento dei paesi. Si tratta di canti monovocali e polivocali, di canti solistici con accompagnamento di chitarra e di grupi che includevano anche il mandolino, di brani liturgici e di interessantissimi "adattamenti" popolari della musica coltaGuido Festinese, Alias