Roberto Valota
(a cura di)
Musiche tradizionali in Brianza
In offerta a 14 euro invece di 35
Le registrazioni di Antonino Uccello (1959, 1961)
2011, € 35
Formato 14x19, 12 foto in b/n, pp. 484
Nel 1959 e nel 1961 Antonino Uccello realizzò due campagne di ricerca in Lombardia che, toccando marginalmente il territorio bergamasco, interessarono in particolare le province di Como, Lecco e Monza Brianza, con 265 brani rilevati a Cantù, Caslino d'Erba, Ceriano Laghetto, Figino Serenza, Lurago d'Erba, Mariano Comense, Montevecchia, Rovagnate, Seveso e Seregno.
Confluiti nelle raccolte 49 e 61 del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, i brani raccolti da Uccello costituiscono la prima documentazione di ampio respiro di musiche tradizionali lombarde, realizzata a pochi anni di distanza dalle esigue registrazioni di Alan Lomax e Diego Carpitella e dalle più consistenti rilevazioni di Roberto Leydi, circoscritte però al mondo dei cantastorie di area settentrionale. Ninne nanne e filastrocche, favole e proverbi, canti rituali e d'osteria, satirici e di lavoro, ballate e brani strumentali per flauto di Pan delineano nella sua integrità il panorama musicale di un'area non ancora travolta dai processi di modernizzazione che stavano investendo il resto della regione.
Con saggi di Giorgio Foti, Febo Guizzi, Gaetano Pennino, Massimo Pirovano, Roberto Valota e una testimonianza di Alberto Mario Cirese, la trascrizione e la traduzione dei testi nonché gli esempi dei canti contenuti nei tre cd allegati, il volume restituisce a studiosi e appassionati una documentazione sonora finora inedita, di fondamentale importanza per una piena valorizzazione delle tradizioni musicali lombarde.
Ascolta il brano El mè murùs l'è bèl dumà a la fèsta
Leggi l'introduzione
Nel 1959 e nel 1961 il siciliano Antonino Uccello, maestro elementare in servizio dal 1947 in alcune scuole della Brianza, realizzò, nei paesi di Cantù (Co), Seveso (MB), Ceriano Laghetto (MB), Mariano Comense (CO), Lurago d’Erba (CO), Caslino d’Erba (CO), Seregno (MB), Figino Serenza (CO), Rovagnate (LC) e Montevecchia LC), due campagne di registrazione di canti popolari che permisero la raccolta complessiva di 300 brani tra canti, filastrocche e musiche strumentali. Le ricerca di Antonino Uccello fu sostenuta dal Centro Nazionale Studi di Musica Popolare di Roma (CNSMP), ora Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e fu la prima vera raccolta di canti popolari in Lombardia realizzata con attrezzature professionali: la parte tecnica fu gestita, infatti, dalla RAI, che per l’occasione mise a disposizione di Uccello l’automobile, con la scritta RAI, come ricorda Anna Caligiore, moglie di Antonino Uccello[1], e l’equipaggiamento necessario per effettuare le registrazioni. Una tale opera di documentazione, di per sé straordinaria, e non solo perché opera di un siciliano, acquisisce ancora più rilievo se vista all’interno dell’interesse e della considerazione dell’epoca per la musica e la cultura popolare.
(…) Il repertorio tradizionale contadino, quello che Roberto Leydi definì il “materiale tradizionale di base”[2] è largamente attestato. Sono ben documentati, infatti, il repertorio infantile in molte sue forme, il canto rituale e il canto narrativo tradizionale.
Circa l’abbondanza del materiale propriamente infantile è facile immaginarne il motivo: senza alcuna difficoltà il maestro Antonino Uccello poteva reperire i suoi alunni come informatori. Nella prima registrazione della raccolta 49, Gh’era una tuśa, registrata a Cantù il 16 novembre 1959, l' annotazione relativa gli esecutori è, infatti, la seguente:“Gruppo di bambini di 10 anni: Molteni, Rizzi, Marelli ed altri”. Uccello, secondo l’uso scolastico, annotò gli esecutori utilizzando i soli cognomi: doveva chiaramente conoscere molto bene i componenti di quel gruppo di bambini. La facilità nel trovare informatori, però, non significava affatto l’immediata disponibilità dei materiali formalizzati tradizionali. Fu lo stesso Antonino Uccello, infatti, a sottolineare, riflettendo sul linguaggio e sulla composizione della società canturina del tempo, la oramai avvenuta dismissione di questo repertorio.
(…) Nelle raccolte brianzole di Uccello il repertorio infantile è presente in molteplici forme. Troviamo filastrocche e canzoncine che articolano il ritmo infantile legate a giochi motori eseguiti da bambini, ad esempio il già citato Passano le signorine, ma anche Lunga lunghéra, Andarèm in guèra; scioglilingua cantati, ad es. Mi son quèlla che impasta i gnòcchi, canzoncina con una vicenda precisa che unisce a questa anche la difficoltà dell’articolazione vocale: il brano realizza quindi un difficile esercizio di precisione fonetica; le conte, cioè le filastrocche atte a sorteggiare un ruolo preciso per un giocatore, ad esempio Pim pum d’òr, La Madòna de la név; filastrocche dal senso oscuro, La vègia tuntùna, Vittori memori, Pizzìga munìga, Lìrum lìrum lanza, Lìrum lìrum catelèt, ma che può essere svelato relazionando i contenuti al mondo delle feste calendariali tradizionali e alle figure e alle attività che in esse erano previste[3], oppure, ma solo apparentemente, senza senso, come nel caso di Gh'era 'na wölta 'n òm e 'n umèt, dato che la funzione educativa delle filastrocche non viene mai meno: in questo caso il testo offre un argomento, o un campo di argomenti, su cui è possibile ironizzare e ridere senza alcuna riprovazione. Ci sono anche filastrocche enciclopediche, ad esempio la molto nota “filastrocca della berretta” (Trenta quaranta), in cui trova rappresentazione l’intiera filiera produttiva contadina; filastrocche recitate in presenza di un animale (lumaca, maggiolino, grillo, falchetto): in questo caso l’elemento magico, retaggio di antiche concezioni del mondo, totemiche secondo Mario Alinei, è la ragione d’esistenza della filastrocca[4].
(…) Anche il canto rituale occupa molto spazio nel repertorio di Uccello: stupisce la ricchezza di riti che ancora all’inizio degli anni Sessanta erano praticati o erano stati da poco dimessi. Uccello, infatti, documentò a Seveso la questua cantata della legna da ardere per il falò di Sant’Antonio (il 17 gennaio)[5], il rituale della cacciata di gennaio a Montevecchia, già conosciuto e studiato a Premana e in Valtellina[6], ma probabilmente diffuso anche in pianura[7] e infine il rituale della Giübiana ancora presente a Cantù e in altre località. Dai materiali presentati da Uccello, relativi a Cantù, a Seveso e a Mariano Comense, si coglie la parte pubblica di quest'ultimo rituale caratterizzato da strepito per le vie del paese con latte, tamburi, oltre che da musiche per firlinfö(flauti di Pan), bruciamento di un fantoccio e consumo di alimenti grassi (la lügànega, cioè la salsiccia). Il riferimento ai moscerini – in La Giübiana di muschì – è in relazione al consumo di risotto, cibo apotropaico nei loro confronti in questa circostanza rituale. Accanto a tutto ciò poteva essere presente anche una parte del copione festivo, che Uccello non rilevò, che si svolgeva nelle case private. A Bovisio Masciago, ad esempio, oltre al consumo del risotto in funzione profilattica, in famiglia avveniva una drammatizzazione: una persona si vestiva da Giübiana, gli abiti utilizzati erano vecchi, trasandati e bizzarri, si tingeva il viso di nero e rincorreva i bambini che impauriti andavano a nascondersi. La Giübiana era impersonata dalle donne di mezza età, le mamme o le zie. In quel giorno si andava anche al cimitero a trovare i morti[8].
Troviamo anche due canti, Al venticinque di questo mese e Mangi un piatto di pastasüccia, entrambi registrati a Seveso, che si riferiscono alla coscrizione, e che, probabilmente, in mancanza di note esplicative, facevano parte di feste di coscrizione, i cui protagonisti erano, appunto, i coscritti, cioè coloro che nell’anno in corso dovevano recarsi alla visita di leva. Altrove, a Schignano (Como) – ma verosimilmente in molti paesi della Brianza tra cui Verano Brianza e Bovisio Masciago di cui abbiamo testimonianze[9] – tali canti, unitamente ai gesti legati all’insieme delle azioni festive di circostanza, mediano o mediavano significati di forza, di bravura, di potenza sessuale e di resistenza attingendo al repertorio di caserma (non importa se militarista o di protesta), a quello da osteria e a ogni altro idoneo allo scopo, lasciando trasparire una finalità iniziatica, e cioè l’ingresso ritualizzato dei giovani nella vita pubblica[10].
(…) Tra le ballate – ovviamente presenti e in genere riccamente documentate in tutto in nord Italia con pochissime differenze dall’una all’altra – ne segnalo, a fianco delle conosciutissime Il giorno di carnevale ho fatto la morosa, E la bela la va al fosso, Donna lombarda, ecc., due di cui complessivamente ci sono poche testimonianze e che la recente ricerca di Massimo Pirovano nell’alta Brianza non ha messo in luce perché probabilmente oramai uscite dall’uso: Monti in carózza oi bèlla ‘rnestina (Tentazione, Nigra 78) e Leva sü oi bèlla che l'è dì (L’uccello fuori di gabbia, Nigra 63).
(…) Ciò che chiaramente emerge dall'ingente opera di documentazione del canto popolare realizzata da Antonino Uccello, è che, per numerosi canti registrati, il mondo contadino arcaico, a cui ingenuamente, o ideologicamente, troppo spesso si rimanda, era oramai lontano.
Se la lavorazione del merletto al tombolo è antica – pare risalga al sec. XVI – ed è molto viva e praticata, certo chi ha rinnovato l’economia locale, chi ha dato impulso a un’attività divenuta frenetica è l’industria del mobile. Sorta nell’Ottocento, scalzò via via l’antichissimo artigianato del ferro battuto fino a divenire una delle attività più rinomate dell’artigianato nazionale, coi suoi 700 laboratori, che impiegano più di duemila operai, con otto edifici destinati alla esposizione permanente dei mobili, con un cospicuo volume di vendite in Italia e all’estero, con mostre internazionali e un Istituto d’Arte con corsi aggregati per maestranze (serali, domenicali e diurni) [11].
In questo modo Uccello descriveva Cantù: la realtà era decisamente quella artigianale-operaia nella quale convivevano forme antiche e recenti di canti popolari. L’aggiornamento del repertorio, che comunque avvenne, è immediatamente evidente nei testi verbali di alcuni canti amorosi: interessante quanto si afferma nella canzone El mè murùs.
El mè murùs
sì l'è 'n bèl tùs
gh'à lunch ul nas
ma a mé 'l mé piàs
e dè mesté
‘l fa 'l legnamé
fa i taparèl ai tuśàn bèi
Trad.: Il mio moroso / è un bel ragazzo / ha il naso lungo / ma a me piace / e di mestiere / fa il falegname / fa le tapparelle / alle belle ragazze.
Così come altrettanto degno di nota è il testo della seguente conta infantile:
Tàvula
ul mè pà la fà una cà
quanti ciùd l'à ‘duperà
vòt
vün dü tri quàter cinch sés sèt vòt föra e sòta
Trad.: Tavola, il mio papà ha fatto una casa / quanti chiodi ha adoperato? / Otto / Uno due tre…
Il dettaglio relativo al lavoro dell’amato o del padre - rispettivamente falegname e carpentiere - indica, insieme ad altri canti, la nuova realtà sociale che si è costituita e che il canto riflette. Un altro esempio: O mamma la mia mamma (17-49) sulla melodia de Lo spazzacamino:
O mamma la mia mamma
stasera non si scéna
polenta non si mena
teàter non si va
Questo è solo un frammento, ma il dettaglio del teatro indica il richiamo della città, e una vita che non è più quella contadina mezzadrile, così come estraneo al mondo mezzadrile era il possesso di una casa:
A cà mia fu mè möd
a la matina e pìzi 'l föch
trapulìn de ciapà i rat
e la serva de lavà i piàt
Trad.: A casa mia faccio a modo mio / alla mattina accendo il fuoco / trappolina per prendere i topi / e la serva per lavare i piatti.
Domàn l’è festa non si lavora
ho la morosa d’andà a trovàr…
Un’altra idea estranea al mondo tradizionale era quella del tempo festivo come al tempo del non lavoro o come al tempo da dedicare a se stessi andando a fare visita all’amata. Ma si va anche oltre: Lunedì poi, brano conosciuto come La settimana della lingéra, registrato a Mariano Comense, mostra l’atteggiamento verso il lavoro della classe della lingéra, i primi sottoproletari migranti, inabili a gestire il denaro e incuranti della rigidità degli obblighi lavorativi.
Come si vede, si tratta di strofe con inserti nuovi – l’oralità tradizionale ha spesso proceduto nell’adeguamento delle forme della comunicazione agendo sui materiali a disposizione con lievi modifiche[12] –, frammenti di canti che altrove sono documentati con i testi verbali tradizionali: questi minimi mutamenti affermano, laddove sono utilizzati, una nuova rappresentatività sociale. (…)
[1] Ringrazio Massimo Pirovano per avermi permesso di utilizzare l’intervista da lui realizzata con Anna Caligiore registrata a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 13 novembre 2009.
[2] Cfr. R. Leydi, Le trasformazioni socio economiche e la comunicazione orale-tradizionale, in R. Leydi (a cura), Le trasformazioni socio-economiche e la cultura tradizionale in Lombardia, Milano QDR 5-6 Regione Lombardia, Cultura tradizionale in Lombardia, 1972.
[3] Si vedano i lavori di M. Anesa e M. Rondi, Filastrocche popolari bergamasche, Bergamo, Sistema Bibliotecario Urbano, 1991 e S. Goi, Il segreto delle filastrocche, Milano, Xenia, 1991.
[4] Cfr. M. Alinei, Dal totemismo al cristianesimo popolare. Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed europei, Alessandria, Edizioni Dell’Orso, 1984.
[5] Circa gli usi per Sant’Antonio in Brianza cfr. I. Sordi, Il ciclo dell’anno nelle tradizioni, in M. Pirovano (a cura), Storia della Brianza vol. V, Le culture popolari, Oggiono-Lecco, Cattaneo Editore, 2010, pp. 63-111. Tale canto era conosciuto e utilizzato anche a Bovisio Masciago, ma era rivolto ai fiori delle robinie per la produzione di legna da consumarsi nel corso dell’anno. Ricavo questa informazione dall’intervista a Severina Veronesi registrata da chi scrive nell’abitazione dell’informatrice nel luglio del 2004.
[6] Cfr. I. Sordi, Le feste tradizionali, i loro protagonisti, il loro pubblico, in AA.VV., Premana. Ricerca su una comunità artigiana, Milano, Silvana Editoriale, 1976, pp. 601-617; per la Valtellina faccio riferimento alla testimonianza di Elisa Pezzini e Nino Morelli registarata a Sacco in Val Gerola da chi scrive il 31 luglio 2002 e a G. Marchesi, In Valtellina. Costumi, leggende, tradizioni, “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, XVII, 1898, pag. 417.
[7] Faccio riferimento a una testimonianza di Amelia Colombo di Parabiago, resa a chi scrive alcuni anni fa, secondo la quale un gioco praticato dai bambini, riferito agli anni dell’immediato dopoguerra, consisteva, in occasione dell’ultimo giorno del mese di gennaio, febbraio e marzo, nel percuotere i coperchi delle pentole e nello scandire la filastrocca Föra genàr dént febràr (fuori gennaio dentro febbraio), il mese successivo Föra febràr dént mars (fuori febbraio dentro marzo), ecc.
[8] Tali usi erano praticati a Bovisio Masciago nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale. Le informazioni mi vengono da Severina Veronesi nell’intervista sopra citata. Sulla ritualità popolare del mese di gennaio in Brianza, in particolare sulle feste della Giubiàna e del Ginée cfr. I. Sordi, Il ciclo dell’anno…, cit. pp. 79-86.
[9] Cfr. R. Valota, Vedo le ruote che girano. I canti dei coscritti di Schignano (Como), Bologna, Ut Orpheus, 1996. Per quanto riguarda Verano Brianza e Bovisio Masciago il riferimento è alla testimonianze di Alessandro Brenna e di Severina Veronesi registrate rispettivamente a Verano Brianza il 19 aprile 1993 e a Bovisio Masciago nel luglio 2004 da chi scrive. In quest’ultima intervista Severina, che si riferiva al periodo precedente la seconda Guerra Mondiale, è apparsa censoria circa i canti in uso, probabilmente per le oscenità che li caratterizzavano.
[10] Ved. I. Sordi, Il carnevale di Schignano e le sue maschere, in Leydi R. e Sanga G. (a cura), Como e il suo territorio, Milano, Silvana Editoriale, 1978, pp. 201-273.
[11] A. Uccello, Canti popolari di Cantù. Registrazione effettuata il 16 novembre 1959, dattiloscritto rilegato in cartoncino custodito nei faldoni degli Archivi (Racc. 49).
[12] Ma anche con radicali innovazioni individuali, come nel caso dei canti di cantastorie, diretti al mercato. Sia nell’uno come nell’altro caso l’accoglimento comunitario sancisce l’approvazione della novità introdotta. Cfr. B. Pianta, Cultura orale: memoria, creazione e mercato, “La ricerca folklorica”, n. 15, 1987, pp. 11-15.
i 3 CD
CD 1 Cantù, Seveso e Ceriano Laghetto
1. Gh’era una tus´a 1.21
2. Ciricicèlli 0.20
3. Lunga lunghéra 0.13
4. Pim pum d’òr 0.30
5. Spùs´a linùs´a 0.13
6. Lümaghìna 0.10
7. San Tiudòr 0.11
8. O papà végn a cà 0.14
9. Piöf piöf 0.11
10. Teresa burghés´a 0.13
11. Gril gril 0.12
12. El mè murùs 0.19
13. O mamma la mia mamma 0.33
14. Cara mè Péder 2.54
15. Giuvanìn l’è andà a Milàn 0.28
16. E qui de Còm 0.40
17. A cà mia fu mè möd 0.16
18. In sü la riva dèl mar 0.50
19. Leva sü oi bèlla che l’è dì 3.03
20. Giübiana ‘na quarta de lügàniga 0.30
21. Ò quèl üs´elìn del busch 2.54
22. La Mariettina 1.07
23. E lé la va in filanda 0.40
24. Ciàpa un sasso 0.54
25. Trapulìn 0.53
26. Mamma mia mi sun stüfa 0.44
27. Alla mattina bonóra 0.57
28. O giovinòtti 1.14
29. Pulirö 1.01
30. Andèm in giò 1.00
31. La bèlla Richettina 0.53
32. La bùgia peràda 0.33
33. El mè murùs l’è bèl dumà a la fèsta 0.29
34. Nava nel mio giardino 0.38
35. E la mia mamma 0.49
36. La scigàda 0.50
37. E picchia picchia 0.56
38. L’è ‘rivà ‘l trenìn 0.33
39. E canta la scigàda 0.37
40. Tus´àn de la Valassina 0.46
41. Lé l’andava e mi vegnéva 0.56
42. La pulenta quan l’è cotta 0.21
43. Duè te vét o Mariettina 0.35
44. Mi sun chi a fa ‘nà la cüna 0.41
45. L’è ‘rivà de Muntis´èl 0.22
46. Bionda bèla bionda 0.39
47. Gh’era una dòna 0.41
48. Dàghen un tài 0.23
49. Mamma la mia mamma 0.42
50. Finché avevo tólleri 0.42
51. Angelo bèll’angelo 1.11
52. Mangi un piatto di pastasüccia 0.40
53. Andarèm a Trìpuli 0.53
54. Mi sun quèla che impasta i gnòcchi 0.44
55. Quando avevo quindic’anni 1.11
56. Forse vurì o che canti 0.34
57. Tòni Tòni 0.28
58. Sant’Antòni dèl purcèl 0.26
59. Torna il marito dalla bottega 3.28
60. Mariètta strascètta 0.21
61. Ul mè pà l’à fà ‘na cà 0.11
62. San Giuàn 0.11
63. La vègia tuntùna 0.12
64. Aièmblèn 0.19
65. La Giübiana dèi muschì 0.17
66. Gh’era ‘na wölta ‘n òm e ‘n umèt 0.15
67. Gh’era ‘na wölta un òm 0.21
68. Ul tulìn 0.18
69. Giuanìn pipèta 0.15
70. Pim pam dòla 0.10
71. Io sono quèl bèl gobètto 0.50
72. ‘Na vòlta un muntagné 0.37
73. A la Casìna Növa 0.39
74. Fà ninìn popó de cüna 0.27
75. Vittori memori 0.17
76. Ninìn pupò de cüna 0.33
77. Un due trè 0.23
78. Pizzìga munìga 0.21
79. ‘Ndué se sta Martìn 1.04
80. A mez´anòt quan nas el Bambìn 0.26
81. Al venticinque di questo mese 0.28
82. Dona curóna 0.45
83. La vita ‘d zant’Aléssi 0.38
84. Sèn Giüsèp varginèl 0.15
85. El vapurìn de Còrsich 1.33
86. Aveva gli occhi neri neri neri 3.08
87. Guarda quella barchètta 1.06
88. Mè pàder l’era göp 0.40
89. Chi l’ha mangiato il becco dell’anitra 2.20
90. E la bella la va al fosso 3.45
91. Magnano 0.35
92. O dòn gh’è chi ‘l mulèta 0.55
93. Mè ricordi quan ‘navi a scöla 0.40
94. L’ho tocàta la si svegliava 3.49
durata totale: 77.23
CD 2 Cantù, Mariano Comense e Vighizzolo di Cantù
1. Tutti i giorni andavo alla posta 1.57
2. Quel cacciator va al bosco 2.20
3. In campagna non mi vado 0.53
4. Trentasei mesi che sono carcerato 1.29
5. La bella Isolina 1.18
6. Sì l’è ‘riva Pangràzi 0.36
7. Tìres in ment Ninètta 0.23
8. Oi mamma maridém 0.25
9. Domàn l’è fèsta non si lavora 1.30
10. E mi s’eri in stalla 0.33
11. Liga la vacca 0.42
12. E l’anima perduta 1.28
13. Lavùra pòver òm 0.32
14. Passégian per la sala 0.31
15. Gin gin 0.46
16. I tus´àn dal Belvedè 0.19
17. Fiòcca fiòcca la muntàgna 0.26
18. O Madòna santa Clara 0.36
19. Piscinìn piscinìn chi l’era 0.45
20. San Giüs´èp al ‘nava via 1.42
21. Fa ninìn pupò 0.24
22. Al vèn Natàl 1.00
23. Andarèm in guèra 0.22
24. Io son quèl tal gobètto 1.22
25. La mia mam la va al mercà 1.20
26. Che ha creato il mondo 1.46
27. In mès del mar 1.26
28. Lunedì poi 2.15
29. Ven chi Ninètta 0.22
30. Guarda la luna come la cammina 0.47
31. Picchia picchia la porticèlla 2.17
32. Mamma mia dammi cento lire 2.06
33. Guarda là quella barchètta 0.48
34. Lìrum lìrum Francia 0.25
35. Ul mé gal 0.13
36. La Madòna de la név 0.09
37. Lümaga 0.11
38. Z´èla z´èla 0.16
39. Trenta quaranta 0.58
40. Noi siamo ‘n quatro 1.32
41. O mamma la mia i mamma 0.36
42. O mamma il mio ben 0.50
43. Stamatina u ‘mparà 2.34
44. Ven chi Ninètta 0.58
45. Vorrei baciar Ros´ètta 1.17
46. Sciùr Giuanìn in sül canapè 2.08
47. La domenica andando alla messa 1.37
48. Eravamo in tre sorelle 1.04
49. E picchia picchia la porticèlla 1.54
50. O mamma maridém 0.34
51. Stamattina mi sono alzata 3.00
52. Dove sei che non ti vedo 1.27
53. Monti in carózza ói bèlla ‘rnestina 1.29
54. O cielo cielo sta pur sereno 1.38
55. O donne belle gh’è chi ‘l magnano 3.19
56. Mi sun bèl 1.42
57. Ö che bèl facìn che la gh’à 0.35
58. Te regòrdet Marianna 1.01
59. L’è ‘rivà de Muntis´èl 0.45
60. Sis´ìn de sìpria 0.48
61. Il ventinove luglio 2.29
62. El mè murùs se l’è de Barlassina 0.53
63. Se l’acqua mi fa male 0.53
64. Dai che te rut el véder 0.41
65. Metti giù quel cestolino 1.40
66. Pellegrin che vén de Ròma 2.28
67. A dai a dai che l’è dré catài 0.36
durata totale: 78.35
CD 3 Lurago d’Erba, Caslino d’Erba, Seregno, Figino Serenza, Rovagnate e Montevecchia
1. Lìrum lìrum catelèt 0.32
2. Mi sun chi in filanda 0.36
3. O la bionda di Vughéra 1.21
4. Richiami e incitamenti per il cavallo 0.16
5. Brus´é la cà del puiàn 0.16
6. Lümaga lümaga 0.12
7. Pütòst che tö la dòna 0.36
8. Mamma mia la spùs´a l’é chi 0.38
9. O donna donna donna lombarda 2.03
10. Il giorno di carnevale 1.33
11. Ul mé pà l’è ‘ndà al mercà 2.15
12. Per chiamare i pulcini e la chioccia 0.15
13. Per chiamare le galline 0.27
14. O Giuanìn càscia fö la cràpa 0.10
15. Vön dü tri quàtar cinch sés sèt la Madóna da Lurèt 0.15
16. O lümàga lümaghén 0.14
17. O donne donne gh’é chi ‘l magnano 1.36
18. Gh’é ché ‘l battèl che vén de Còm 1.04
19. Un giovin de muntagna 1.13
20. Se io fossi una regina 1.27
21. La figlia d’un fittavolo 1.44
22. La vita dè san Lèssi 3.55
23. Santa Lucia 4.16
24. Buonasera miei signori 0.52
25. Andiam andiam andiam noi tutti 1.36
26. Son qui sotto la tua finestra 1.23
27. Dammi la man biondina 1.24
28. Vanne vanne 2.36
29. O pais´àn 2.53
30. È la figlia di un fittavolo 2.28
31. Pin pin cavalìn 0.09
32. E ‘ndarèm in guèra 0.13
33. La Maddalena la va sui monti 2.40
34. E santa Caterina 2.34
35. La mama e la fiöla 1.45
36. Pian pian pian che la rump i véder 2.04
37. Passano le signorine 1.23
38. Evviva la spùs´a 0.53
39. O mamma maridém 0.53
40. Tövel no 1.20
41. Sun vegnü de la muntagna 1.15
42. O tus´àn sì béi sì béi 1.16
43. Conosco una ragazza di nome Valentina 0.50
44. Gh’eva ‘n fiö d’on conte 3.10
45. Sono le sètte 3.06
46. El brüs´a ginée 0.20
47. E da Verona 3.41
durata totale: 68.04
Fotogallery
Roberto Valota si occupa di tradizioni musicali dell'area lombarda con all'attivo diverse pubblicazioni e collaborazioni con riviste del settore.
La ricerca di Uccello possedeva tratti di sistematicità, laddove le precedenti indagini di Alan Lomax e Roberto Leydi si erano limitate a presentare solo alcuni aspetti del mondo popolare locale. Le registrazioni di Uccello sono confluite nelle raccolte numero 49 e 61 degli Archivi di Santa Cecilia. I materiali che ascoltiamo sono ninne nanne, filastrocche, favole, proverbi, canti rituali, d’osteria, satirici e di lavoro, ballate e strumentali suonati con il flauto di Pan. Ad eccezione delle filastrocche, i canti sono eseguiti secondo le modalità della polivocalità padana-alpina: per terze parallele, con apertura solistica e conclusione, talvolta con una sola voce. Siamo di fronte ad uno scrigno della memoria, una documentazione inedita che nella pubblicazione di Squilibri si compone di ben tre dischi che accompagnano il volume, per un totale di 208 tracce, che equivalgono a più di tre ore e mezza di ascolto. Ciro De Rosa BlogFoolk