S.Pilosu, Tenore Supramonte di Orgosolo
(a cura di)
Il canto a tenore di Orgosolo
Le registrazioni del CNSMP (1955-1961)
2018, II edizione, € 25
Formato 14x19, 8 foto in b/n, pp. 208
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Cantare a tenore ad Orgosolo è un pratica musicale complessa e vivace nei contenuti, nei comportamenti esecutivi e nei significati anche simbolici, di cui gli attori locali possiedono una piena consapevolezza: una pratica conosciuta ed ammirata da tutti i cantori della Sardegna, rinomata fra gli ‘appassionati ascoltatori’ anche al di fuori dell’isola e variamente documentata a partire dal secondo dopoguerra. Le registrazioni realizzate per il CNSMP, dal 1955 al 1961, da studiosi e ricercatori come Diego Carpitella, Franco Cagnetta, Giorgio Nataletti e Antonio Santoni Rugiu, confluite poi nelle raccolte 26, 31 e 56, documentano le voci dei grandi protagonisti della tradizione e offrono un’ampia rappresentazione della varietà di stili e modalità esecutive del tempo.
Esito di una singolare esperienza di ricerca e dialogo, l’edizione è a cura di uno studioso esterno al paese e di un gruppo di cantori locali che insieme hanno svolto un meticoloso lavoro di contestualizzazione storica, ricorrendo caso per caso anche alla memoria degli anziani cantori del paese, alcuni dei quali testimoni o diretti protagonisti delle registrazioni. Una documentazione di straordinario interesse storico, indispensabile per comprendere il canto a tenore di Orgosolo e apprezzarne la raffinatezza di pensiero musicale che ad esso si accompagna.
Secondo volume della sezione sarda della collana aEM, dedicata alla pubblicazione dei documenti relativi alla Sardegna conservati presso gli Archivi di Etnomusicologia dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con uno specifico Comitato scientifico coordinato da Ignazio Macchiarella.
Ascolta il brano Tenore a boghe 'e ballu
dall'introduzione di Ignazio Macchiarella
(...) Si tratta infatti di un lavoro prezioso e irripetibile (al pari di una qualsiasi performance musicale), imperniato su uno specifico approccio dialogico derivante dall’interazione di un gruppo di performer e cultori locali, riunito nell’Associazione Supramonte, con Sebastiano Pilosu, originale figura di studioso che unisce la conoscenza dell’etnomusicologia scientifica alla pratica esecutiva de su tenore nel contesto del proprio paese di provenienza5. Un lavoro che contestualizza il corpus delle registrazioni realizzate per il CNSMP dal 1955 al 1961, entro una storia negoziata della pratica musicale orgolese, costruita a partire dalle memorie di anziani cantori, alcuni dei quali diretti protagonisti di quelle stesse registrazioni.
Quella realizzata nelle pagine seguenti, infatti, è un’operazione differente e più ampia rispetto alle consuete “interviste agli anziani”, testimoni di un evento musicale del passato, realizzate da uno studioso esterno. In questo caso non solo le interviste sono state realizzate in stretta collaborazione fra i membri dell’associazione e Pilosu, ma i contenuti di ciascuna testimonianza sono stati poi discussi e inquadrati all’interno della generale narrazione condivisa da esecutori e appassionati locali, che rappresenta una componente del far musica particolarmente sviluppata ad Orgosolo.
Nel paese, infatti, si discute molto di canto a tenore, della sua realtà odierna e del suo passato, almeno fino a quando si possono far risalire le memorie dirette e indirette: un discorso colto e articolato, decisamente riservato, al quale si può essere ammessi solo dopo lunga frequentazione e nel rispetto di certe regole locali (requisiti entrambi propri di Sebastiano Pilosu). il concetto di traju è il cuore di tale discorrere, esercitando un’influenza determinante sulla concreta pratica musicale. In generale, tale termine (con i suoi sinonimi trazzu, tràgiu, moda eccetera: cfr. Pilosu 2012) ricorre sovente in associazione con la trasmissione orale della musica in Sardegna (concetti analoghi sono attivi anche in Sicilia, Corsica, Catalogna, Cantabria e altrove: cfr. Macchiarella 2013), ed appartiene ad una tipologia di concetti parzialmente indefinibili. Traju, da un lato, rappresenta il tracciato sonoro che va a costruirsi nel quadro temporale limitato della performance: designa così, globalmente, i percorsi dell’emissione vocale, nel loro intrecciarsi insieme e nella specificità del singolo esecutore e del reciproco combinarsi in un quartetto comprendendo altresì le minime sfumature nella condotta musicale (ritardi, anticipazioni, glissando eccetera) intesi come manifestazione della personalità musicale di ciascun cantore. Nel contempo traju definisce lo stile di una concreta esecuzione, la singolarità del mescolamento fra colori e timbri vocali, ciò che comunemente, con un termine piuttosto vago (benché alquanto ricorrente) in ambito musicologico, si usa chiamare amalgama. Ogni risultato sonoro manifesta un proprio peculiare traju il quale non è semplicemente una faccenda di mera sovrapposizione di suoni o di estetica del suono, ma deriva dall’unicità dell’incontro fra i cantori in azione, rappresentazione delle loro reciproche relazioni e intenzionalità. Esecutori e ascoltatori competenti discorrono della qualità del risultato sonoro di una concreta esecuzione in virtù dell’identità delle persone che vi prendono parte e delle condizioni in cui tale incontro collettivo avviene: per dirla in altro modo, il fatto che il signor X canti con i signori Y, Z e H determina di per sé uno speciale traju, potremmo definirlo uno standard (esso, infatti, sarebbe diverso se solo uno dei partecipanti cambiasse) e questo acquisisce una concreta realtà uditiva in base all’unicità della situazione esecutiva, per esempio in riferimento a chi sta ascoltando, oppure allo stato dei rapporti interpersonali, alla pertinenza dell’esecuzione con una certa situazione di incontro collettivo e via dicendo. Si individua così un’ulteriore estensione del termine traju all’ambito dei comportamenti sociali e morali (avere un bonu traju, in senso lato, significa del resto comportarsi bene).
Così, nel caso orgolese, il fatto che Giovanni Lovicu Bicoca, Giuseppe Munari Monàriu e Antonio Nicolò Musina Mutzina preferissero cantare insieme (vedi oltre) non costituisce un mero dato cronachistico ma è indicativo di uno specifico standard, ossia di una sorta di “modello sonoro” virtuale: tale modello viene identificato dai nomi (o meglio i soprannomi in sardo orgolese, sos zistros) e distinto rispetto ad altri standard dello stesso tipo, rappresentati da altre preferenze e ricorrenze nel combinarsi fra loro dei cantori. in molti casi l’identificazione di un modello può far riferimento all’ascolto di registrazioni sonore. Ciascuno di tali modelli viene qualificato attraverso aggettivi o espressioni idiomatiche che riguardano non solo il suono ma anche i comportamenti sociali delle persone chiamate in causa, come previsto dal traju. Viene così a crearsi una mappa di differenti standard del canto orgolese che ovviamente non ha (perché non può avere) nessuna oggettività: del resto l’oggettività ha in genere ben poco a che fare con la pratica musicale, tanto più nel caso delle pratiche trasmesse oralmente, affidate al flatus vocis. Una mappa che, pur nella sua virtualità, ha dirette ripercussioni sulla pratica esecutiva dal momento che obiettivo primario di chi canta a tenore, ad Orgosolo come in altri paesi della Sardegna, è la personalizzazione dell’esecuzione, la definizione di un proprio traju (individuale e del quartetto) riconoscibile come tale da chi ascolta e diverso dagli altri. Al di là dunque dei contenuti specifici (e quindi dei profili biografici dei cantori citati) l’aspetto qualificante dell’ampio lavoro del gruppo Supramonte e di Pilosu risiede nella capacità di rendere l’estensione e la vivezza dei meccanismi di interazione fra i corpi sonori, dei processi di creatività personalizzata del far musica orgolese.
Si potrebbe dunque affermare che le (magnifiche!) tracce sonore registrate da Giorgio Nataletti e dagli altri ricercatori del CNSMP vengano oggi “restituite” ad uno scenario di consapevolezze quanto mai articolato, rappresentando un prezioso contributo al discorrere sul tenore degli orgolesi, alla mappatura dei diversi modelli in atto cinquanta e più anni fa. Nella lunga fase di gestazione del volume, gli autori hanno organizzato diverse occasioni di ascolto riservate, fra cantori anziani e non. Ogni traccia è stata discussa e ogni indicazione riportata nelle schede di campo (e negli altri pochi materiali documentari) è stata verificata, compresi i nomi degli esecutori o delle tipologie del canto che in qualche caso hanno creato qualche dubbio. Un lavoro sistematico, per molti versi unico, capace di rendere la speciale importanza che ad Orgosolo viene data al canto a tenore.
(…) L’ampia guida delle pagine di questo volume è certamente fondamentale per comprendere altresì l’essenza delle tracce sonore dei CD acclusi. Queste, infatti, non vanno considerate delle astratte esemplificazioni del canto a tenore di Orgosolo ma come attestazioni dell’intrecciarsi di differenti corpi sonori appartenenti ad un momento storico del fare e del discorre di musica del paese. Non si tratta dunque di brani da considerare in termini di combinazioni di note e accordi, dal momento che nel canto a tenore di “note”, come le si intende nelle accademie, ve ne sono davvero poche e di “accordi” uno solo. Si tratta piuttosto di un polifonia di timbri (Lortat-Jacob 1993: 77) e quindi, in ultima analisi, di una polifonia di gesti sonori realizzati dall’interagire di uomini in carne ed ossa. In questa prospettiva, le trentaquattro tracce dei CD allegati costituiscono ben altro che una semplice testimonianza/esemplificazione di un repertorio musicale immateriale. Il loro ascolto attento può rivelare quella estrema varietà e ricercatezza espressiva che sa offrire solo una grande tradizione (parafrasando la celebre definizione di Robert Redfield) dell’oralità musicale (Burke 1978). Un ascolto che certamente richiede uno sforzo: ma del resto qualunque espressione musicale, se la si voglia comprendere a fondo, richiede impegno
i 2 CD
CD 1 Acudie a sa pratha (venite in piazza)
1. Tenore a moda de gotzos 9.55
2. Tenore a mutos 8.14
3. Tenore a boghe sèria 2.02
4. Tenore a boghe sèria 2.01
5. Tenore a boghe sèria 3.53
6. Tenore a gotzos 16.22
7. Su tenore a moda de tataju meu 7.27
8. Tenore a sa sèria 2.57
9. Gotzos de sa candelaria 1.07
10. Tenore a mutos 6.23
11. Atitu 4.26
12. Tenore a boghe ‘e ballu 4.19
13. Tenore a sa lestra 7.13
durata totale: 76.52
CD 2 A sa zente orgolesa (Per gli orgolesi)
1. Tenore a boghe sèria 5.00
2. Tenore a sa sèria 1.39
3. Tenore a sa sèria 1.50
4. Tenore a boghe sèria 1.50
5. Tenore a boghe sèria 2.12
6. Tenore a boghe sèria 2.03
7. Tenore a mutos 5.03
8. Tenore a boghe ‘e ballu 1.34
9. Tenore a boghe sèria 1.56
10. Mutos a tenore 3.10
11. Dialoghi tra pastori e canto a tenore a poesia 6.42
12. Boghe ‘e ballu a passu torrau 16.33
13. Tataju meu 2.34
14. Ballu sardu 2.02
15. Sos gotzos in onore de sa Madonna 2.02
16. Gotzos de sa candelaria 1.24
17. A sa sèria 3.09
18. A sa sèria 2.48
19. A mutos 4.35
20. Su bassu, sa contra e sa mesu boghe 0.26
21. A sa sèria, su Mibelli 2.07
durata totale 71.30
Fotogallery
Etnomusicologo e cantore a tenore, già docente presso il Conservatorio “Da Palestrina” di Cagliari, è stato presidente, ed è tuttora dirigente, dell’associazione regionale “Sòtziu Tenores Sardigna” (Associazione Tenores Sardegna). Ha pubbilcato numerosi studi tra i quali due volumi sul canto a tenore e un altro sulla poesia improvvisata per l’Enciclopedia della Musica Sarda e, assieme a Ignazio Macchiarella, “Bortigali, un paese e le sue pratiche musicali” (NOTA, 2015).
Associazione nata con l’intento di promuovere il canto a tenore e di ravvivare la memoria dei grandi cantori della tradizione, si richiama all’omonimo gruppo di canto nato nei primi anni Sessanta del secolo scorso, con legami di discendenza parentale con alcuni dei suoi fondatori. (Nella foto, il gruppo di canto in una recente esibizione: Franco Davoli, Giuseppe Paulis, Antonio Garippa e Gaetano Bassu).
Esperienza sonora notevole ed unica, naturalmente, l’ascolto dei due magnifici CD (il primo, intitolato “Acudie a sa pratha”, ossia “Venite in piazza”, il secondo, “A sa zente orogolesa”, vale a dire “Per gli orgolesi”), contenenti 34 tracce, su per giù pari a 147 minuti di canto, che ci riportano nel mondo sonoro della metà del secolo scorso. (...) Una documentazione storica e musicale di grande interesse, imprescindibile per gli appassionati della cultura musicale sarda Ciro De Rosa, Blogfoolk
L'ispezione è approfondita e minuziosa ma sono proprio i dettagli a rendere avvincente il volume, prezioso nello svelare in maniera appassionata e insieme scientifica una delle realtà più autentiche della nostra tradizione musicale Piercarlo Poggio, Blow Up