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Domenico Ferraro

Roberto Leydi e il "Sentite buona gente" 

cddvd

 In promozione  a 16 euro invece di 32 

Musiche e cultura nel secondo dopoguerra
2015, € 32
Formato 17x21, 56 foto in b/n, pp. 550

 

In offerta con il 5% di sconto

€32.00
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Promosso da Roberto Leydi per la stagione 1966-’67 del Piccolo Teatro di Milano, con la consulenza di Diego Carpitella e la regia di Alberto Negrin, il Sentite buona gente intendeva attestare l’esistenza di una cultura musicale ‘altra’ attraverso la viva voce dei suoi protagonisti: i musici terapeuti del Salento, le sorelle Bettinelli di Ripalta Cremasca, i cantori di Carpino, la Compagnia Sacco di Ceriana, i suonatori di Maracalagonis, gli spadonari di Venaus, i musicisti e danzatori di San Giorgio di Resia e i tenores di Orgosolo accompagnati da Peppino Marotto.

Concepito in polemica con il Ci ragiono e canto di Dario Fo e del Nuovo Canzoniere Italiano, lo spettacolo costituiva in realtà un provvisorio punto di arrivo nella straordinaria carriera di un autore che attraversa da protagonista gran parte della cultura italiana del secondo Novecento, in una straripante ricchezza di relazioni intellettuali, da Elio Vittorini a Paolo Grassi, da Giorgio Strehler a Enzo Paci, da Tullio Kezich a Oreste Del Buono, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, e in una ininterrotta solidarietà di intenti con Luciano Berio e Umberto Eco, gli amici di tutta una vita. L’inedito ritratto dell’autore del Sentite buona gente accompagna così la ricostruzione di un frastagliato ambiente culturale, contrassegnato dall’insofferenza verso rigide ripartizioni di ambiti disciplinari e dall’avversione verso tendenze e ideologie affermatesi nel frattempo a Roma, all’interno del principale partito della sinistra, quando la “realtà effettiva” del mondo popolare animava una pluralità di posizioni teoriche, da De Martino a Pasolini, da Calvino a Fortini, prima di essere riassorbita nelle intenzioni militanti di un “teatro politico” e di una “canzone di lotta e di protesta”. 

Con le fotografie di Luigi Ciminaghi e di Alberto Negrin e testi inediti di Carpitella e Negrin; nel DVD la riduzione televisiva dello spettacolo e, nel CD, una selezione dei brani musicali registrati nel corso delle ricognizioni sul campo anche in Abruzzo e Toscana, con brani delle cantatrici di Cerqueto di Fano Adriano, dei Cardellini del Fontanino e dei poeti improvvisatori di Arezzo che non presero poi parte allo spettacolo. 

 Ascolta il brano El me murùs delle sorelle Bettinelli

 

 


Docente di Storia della filosofia moderna all'Università di Roma-Tor Vergata, Domenico Ferraro si occupa anche di cultura italiana del Novecento. Direttore della Rete degli archivi sonori, per Squilibri ha curato, assieme ad Arnaldo Bonzi, Giacomo Pozzi Bellini. Viaggio in Sicilia (estate 1940). 

 

 

 

una biografia non convenzionale, ravvivata da una forte adesione emotiva e affettiva. Soprattutto, è un'indagine sul significato reale non mitico dell'etnomusicologia: disciplina sul cui oggetto fioriscono innumerevoli equivoci. (...) E' indubbio che il libro di Domenico Ferraro sia la più bella indagine sull'etnomusicologia italiana che sia apparsa dopo la morte di Leydi: la più generosa, la più esauriente, la più linguisticamente meritevole. Sia benvenuto, finalmente, il raffronto tra due spettacoli tra loro in polemica il Ci ragiono e canto di Dario Fo e il Sentite buona gente promosso da Leydi Quirino Principe, Il Sole 24 ore

Non mi aspettavo un ritorno in forze di un blocco di memoria e di documento così potente come l'arrivo, in un'Italia deformata e dispersa, di Roberto Leydi e di una poderosa e profonda ricostruzione di ciò che è stato e di ciò che ha fatto in un momento fondamentale della sua vita (...) Leydi chi era? Questo libro ci dice che era un intellettuale acuto, arguto, colto nel senso di Eco (sapere, cercare, elaborare e rifare) con due insoliti e rarissimi talenti: la vastità della esplorazione. E un lavorio creativo senza sosta. Allo stesso tempo era infaticabile, pacioso e allegro. E si teneva di fianco ai grandi eventi, come se non avesse contribuito a scoprire il percorso, trovare l'idea e organizzarla, mobilitando sempre, come se fosse un capo (che non voleva essere) o un docente (l'altra sua grande allergia). (...) Per fortuna non solo si legge, si impara, si ricorda e si rimpiange, con questo libro. Si ascolta. Ci sono, infatti, i cd. Furio Colombo, Il fatto quotidiano

la lettura di questo ampio lavoro, un volume di più di cinquecento pagine, è molto appassionante: la passione dell'autore si comunica di parola in parola (...) Un filone, quello della musica popolare, che non va dimenticato ma va tenuto vivo e recuperato e per farlo c'è una maniera, tra le varie maniere, quella di ascoltare e di meditare anche sulle considerazioni che fa Domenico Ferraro in questo libro Francesco Antonioni, Radio Tre Suite

una ricostruzione magistrale non solo dell'affascinante biografia intellettuale dello studioso milanese ma anche di un periodo cruciale della vita culturale italiana, dalla nascita dell'etnomusicologia al dibattito sul folk revival. (...) Un libro oltremodo prezioso, sorretto da una vastissima documentazione, anche inedita, e da un ricco apparato fotografico (...) al quale ci si può accostare da diverse angolazioni: saggio sul folk revival degli anni Sessanta, ricostruzione di una pagina poco conosciuta di vita culturale del dopoguerra, ritratto di un 'maestro' ancora oggi insuperato Sergio Torsello, Il Nuovo Quotidiano della Puglia

la mostra multimediale “Roberto Leydi e il Sentite buona gente” è un MUST TO VISIT, ci fa viaggiare indietro nel tempo, ci fa conoscere un patrimonio di musica popolare che rischia di finire dell’oblio e ci fa rivivere attraverso le registrazioni dell’epoca, la flagranza di un sentimento popolare minacciato sempre più dall’estinzione Roberto Vigliotti, Amadeus

Un libro destinato a restare. (…) Forse è un bene che vicissitudini editoriali abbiano condotto un filosofo come Domenico Ferraro (…), che si dichiara “analfamusico”, piuttosto che musicologi a intraprendere questa enorme, faticosissima indagine rivelatrice (...). L’opera di Ferraro assume la fisionomia di una densa discussione sulla storia delle idee nel nostro Paese, messa in moto attraverso la lente di osservazione di chi è al di fuori di eredità disciplinari o di scuole accademiche riconducibili agli indirizzi di studio etnomusicologico. Ciro de Rosa, Blogfoolk

una preziosa monografia sul meno ortodosso dei nostri musicologi (...), il manifesto di una ossessione puntuale per la restituzione tout court delle culture musicali minoritarie, che qui si rivelano nella loro cruda e delicata bellezza, spogliata degli abiti simbolici e ideologici. Il volume è anche il memoir di un evento che conserva l'urgenza della passione. Di questo ricercatore laico, atipico osservatore del contemporaneo, studioso di culture popolari, cabaret, fumetti e storia sociale, Umberto Eco scrisse parole semplici e definitive: "trovava sempre nuovi territori da esplorare" Riccardo Piaggio, Il Sole 24 ore

"Sentite buona gente" è una delle formule più usate dai cantastorie per iniziare il loro “treppo”, insieme a “Signori se mi assiste la memoria” o “Ascoltate in silenzio la storia",ed è con queste esortazioni che invitiamo a leggere il libro di Domenico Ferraro, a vedere lo spettacolo in DVD ed ad ascoltare i brani del CD, documenti di grande valore culturale e storico. Tiziana Oppizzi e Claudio Piccoli, Il Cantastorie on line

Un bellissimo libro, con un corposo saggio che ricostruisce la genesi e l'impatto di un evento che fece epoca nel 1967 (...) Domenico Ferraro è un filosofo, non un musicologo o un critico musicale, quindi ha anche una certa indipendenza di giudizio su temi che poi si prestarono a molte polemiche. Il suo libro è però un ritratto ragionato dell'etnomusicologia italiana vista attraverso il pensiero e l'opera di Roberto Leydi  Attilio Scarpellini, Qui comincia Rai Radio3

un libro di oltre cinquecento pagine in cui viene ricostruito, oltre alla biografia intellettuale di Roberto Leydi, un'intera stagione di riscoperta della cultura popolare, tra spedizioni sul campo e accesi confronti. (...) Ciò che salta agli occhi rivedendo le nitide immagini del Sentite buona gente è soprattutto la grande consapevolezza da parte degli interpreti (...) che non sono 'oggetto' di una riscoperta. Sono 'soggetti' che provengono da una tradizione antichissima ma, allo stesso tempo, sanno reinterpretarla in maniera fluida. (...) Oggi che il rapporto con la riscoperta della cultura popolare è radicalmente mutato, l'opera di Leydi e di Carpitella costituisce ancora un termine di paragone imprescindibile Alessandro Leogrande Corriere del mezzogiorno

Uno splendido volume ci ricorda Roberto Leydi e il lavoro di ricerca confluito nello spettacolo Sentite buona gente (...) un documento eccezionale, che possiede un grande fascino, quale documentazione di un'impresa che ha lasciato tracce fondamentali nell'etnomusicologia e nell'etnografia italiane Alessandro Zanoli, Azione-Canton Ticino

Attraverso un'impressionante profusione di documenti e una meditata critica dei testi -insomma, una storiografia rigorosa che però non rinuncia alle prerogative della bella scrittura- Ferraro ritrae un intellettuale, Leydi, in grado di coniugare pensiero e azione civile. (...) Uomo di città", Leydi ci è presentato come da subito impegnato a sondare tutte le manifestazioni della musica popolare, comprese quelle che la nascente etnomusicologia italiana avrebbe presto marginalizzato perché compromesse da mass-media e società dei consumi. L'ampio respiro del volume consente di mettere in prospettiva le polarizzazioni ideologiche che hanno segnato il dibattito etnomusicologico, specialmente in relazione al "sodalizio imperfetto" con Gianni Bosio Maurizio Corbella, Amadeus

Il valore intrinseco del documento, proposto in audio e in video attraverso una riduzione televisiva, è amplificato dalla cura dell'edizione, comprendente un ricco apparato storico-critico e fotografico. Resta il rimpianto per una stagione irripetibile di fermento e vivacità intellettuale, che pare lontana anni luce, non solo cinquant'anni  Alessandro Hellmann, Rockerilla

In Usa c’erano personaggi leggendari come John Lomax, che registravano sul campo il vero folklore, qui c’era Leydi e questo libro è una parte della sua lunga storia Antonio Lodetti, Il giornale

Una biografia intellettuale (…) con una vastissima e, in parte, inedita documentazione, (…) dalla quale emerge non solo il ruolo di Leydi quale padre fondatore, assieme a Diego Carpitella, dell’etnomusicologia italiana, ma anche la sua fondamentale presenza negli ambienti intellettuali più fecondi della Milano, e dell’Italia, del dopoguerra. Giulia Giannini, Musica/Realtà

lo spettacolo rappresenta un momento decisivo del dibattito intorno alla natura della musica e della cultura popolare in Italia. Domenico Ferraro da lì parte per ricostruire quel contesto culturale e intellettuale, con la curiosità di un appassionato di quelle musiche, e la competenza "scientifica" di storico della filosofia, che lo portano a formulare domande in modo diverso, e a seguire sentieri non ancora percorsi dagli esperti della materia. È una storia che non riguarda, allora, solo lo spettacolo, o solo quelle musiche, ma in blocco gli ultimi cinquant'anni di storia intellettuale italiana. (…) Un libro, allora, importante e destinato a durare, e a generare ragionamenti e discussioni Jacopo Tomatis, Il giornale della musica

Uno spettacolo che si contrappose a Ci ragiono e canto di Dario Fo, che nello stesso periodo propose musiche popolari ma realizzate da artisti come lo stesso Fo o Paolo Ciarchi, mentre Leydi dava voce a musicisti dilettanti. Un dibattito culturale altissimo e adesso quasi incomprensibile. Per fortuna a riassumerlo ci pensa il libro di Domenico Ferraro Luigi Bolognini, La repubblica

Ci sono figure, nella storia della musica, della ricerca, della cultura in generale, in ogni senso possibile, che sembrano attraversare lo spazio di tempo loro concesso dal fato con una sorta di trionfante, gargantuesca voluttà di assorbire tutto, tutto conoscere e restituire agli altri in nuove combinazioni che aprono infiniti altri punti di vista e prospettive. Un gigante così è stato Roberto Leydi che, nei poco più settant’anni di vita assegnati, ha fatto in tempo a mettere in moto tante ‘macchine della cultura’, musicale e non, che ci vorrebbero tre vite per valutarle correttamente. (…) il tutto lo ritrovate negli splendidi scatti raccolti da Scianna, nel volume In viaggio con Roberto Leydi, necessario pendant al recente e corposissimo libro di Ferraro, Roberto Leydi e il Sentite buona gente.  Guido Festinese, Alias-Il Manifesto

Intorno alla varietà di interessi e all’impareggiabile caapcità mediatica e organizzativa di Leydi, figura centrale del movimento culturale milanese della seconda parte del secolo scorso, viene tracciato un significativo quadro della Milano colta del secondo dopoguerra (…) con intelligenti osservazioni sull’illuminismo padano, e un accenno particolare sulla scuola di Ferdinando Ballo, sul ruolo anche sociale del Piccolo Teatro di Grassi e Strehler. E il libro intreccia sempre le vicende culturali con il ruolo di volta in volta assunto dalla sinistra italiana soprattutto in relazione al mondo della musica popolare legata alle cosiddette classi subalterne (…), toccando altresì un argomento che l’ambiente musicale ufficiale ha sempre evitato di approfondire, cioè le differenze di impostazione tra Leydi e Diego Carpitella (…) Sono di eccezionale interesse anche il CD e il DVD (…) Meraviglioso è pure il corredo di fotografie di Luigi Ciminaghi e di Alberto Negrin.  Massimo Franco, Musica Jazz

Ponderoso (oltre 500 pagine), denso, documentatissimo e ricco di parentesi e rimandi cronologici (…) Un caleidoscopio di relazioni, che oltre a rendere omaggio alla straordinaria curiosità intellettuale di Leydi, fa del libro di Ferraro una risorsa preziosa per chiunque intenda indagare sulla vivace scena culturale milanese del secondo Novecento Siel Agugliaro, Rivista di Musicologia

Il testo ponderoso, puntuale, veramente interessante di Ferraro (“è stato un lavoro lungo e appassionante”) ci racconta una pagina importante della formazione italiana degli anni sessanta, un momento storico di partecipazione sociale e culturale irripetibile, quando una performance da palcoscenico diventava un riferimento essenziale per una riflessione nazionale Elisabetta Randaccio, Cinemecum

Un articolato e approfondito ritratto del secondo Novecento (...) Il nome di Vittorini va e viene in queste pagine come il tema fondamentale di un rondò (...) L'onda dell'informazione supera la possibilità della recensione (...) A voler conoscere urge un impegno bibliografico di cui i romani Squilibri sono raro esemplare Piero Mioli, Nuova Informazione Bibliografica 

Si tratta di un poderoso e avvincente affresco del dibattito musicale, letterario e politico italiano, a partire dall’immediato dopoguerra; un racconto – informatissimo e ben calibrato – di un’avventura intellettuale che culminò in uno spettacolo – il Sentite buona gente, del 1967, appunto – che (...) segnò e rappresentò profondamente il dibattito culturale e artistico di quegli anni, costituendo, probabilmente, il punto più avanzato di un dialogo fitto, quanto necessario, tra ricerca sul campo e sua traduzione teatrale Lello Voce, Il fatto quotidiano 

Un affresco corposo e avvincente, la figura poliedrica dell'etnomusicologo Roberto Leydi, l'epoca complessa del post guerra italiano, una Milano in pieno fermento culturale e il Salento di Stifani che debutta su un palcoscenico nazionale. Non un poderoso volume di studi etnomusicologici, ma molto di più  Giuseppina Casciaro, Qui Salento

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