Leonardo Alario
Cantare la festa
Il ciclo festivo in Calabria
2014, € 15
Formato 14x19,50, con 20 foto a colori, pp. 103
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Non c’è rito domestico o pubblico, individuale o collettivo, religioso o civile, ordinario o festivo, che non sia informato dal canto. Il canto si manifesta quindi nella ricorrenza dei tempi ciclici che, nel calendario festivo, scandiscono le criticità dei mutamenti stagionali, quando le forme della festa confermano la tradizione e le relazioni comunitarie.
Festa e canto si fondono, sorreggendosi e giustificandosi vicendevolmente. Si canta, perché è festa. È festa, perché si canta. La festa, che irrompe nell’ordinario, esorcizza col canto il negativo quotidiano e propizia l’attesa e la speranza del nuovo: il canto diventa così preghiera dolente e straziante per invocare protezione e grazie, oppure espressione di una gioia apotropaica e strumento di un’aspirazione catartica.
Della sterminata messe di canti, di cui risuona la festa, in questo lavoro si propone una selezione dei repertori che comprendono i tre cicli fondamentali del Natale, del Carnevale e della Pasqua così come si vivono in alcuni luoghi della Calabria. Attraverso le sedimentazioni dei tempi storici, tra liturgia e folclore, si delineano le ragioni e la varietà delle risposte locali, in un viaggio tra i suoni e i cibi, i personaggi e le memorie orali di un piccolo mondo in festa.
Ascolta il brano Oj cumparə mijə
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Non c’è rito domestico o pubblico, individuale o collettivo, religioso o civile, ordinario o festivo, che non sia informato dal canto. Il sacro rito della messa è segnato dal canto, con cui il popolo di Dio tributa lodi ed eleva preghiere al Santo. L’assordante rito, senza mito, e perciò non facilmente controllabile, della partita di calcio è informato dal canto, con cui il popolo dei tifosi sostiene la squadra del cuore. Si canta quando si attraversa una strada buia a tonificare il cuore in tumulto e quando si è in gruppo a protestare dissenso alle scelte del potere. Si allieta col canto la gita fuori porta o in luoghi lontani per confermare presenza e appartenenza, e la festa in famiglia per restaurare e consolidare i rapporti. Ma il canto manifesta tutta la sua potenza nel tempo della grande festa ciclica, con cui si scandiscono i tempi forti dell’avvento delle stagioni, quando l’intera comunità, frammentata nell’ordinario, si muove all’unisono, riconoscendosi uno nel compimento collettivo del rito. Festa e canto si fanno, allora, un tutt’uno, sorreggendosi e giustificandosi l’un l’altra. Si canta, perché è festa. È festa, perché si canta. La festa, che irrompe nell’ordinario, esorcizza col canto il negativo quotidiano e propizia il positivo sperato, facendo di esso talora preghiera dolente e straziante alla divinità per invocare protezione e grazie, talaltra esaltazione di gioia apotropaica e strumento di aspirazione allo star meglio.
Della sterminata messe di canti, di cui risuona la festa, qui si propongono solo quelli riguardanti i tre cicli fondamentali del natale, del Carnevale e della Pasqua così come si vivono in alcuni luoghi della Calabria.
La festa, che trova del resto nel mito la sua giustificazione e nel rito la sua attuazione, si dispiega in un ben definito e limitato spazio, e in un altrettanto ben definito e limitato tempo, resi entrambi sacri dalla presentificazione di ciò che è stato e che, qui e ora, di nuovo è. Le feste, sicché, del ciclo natalizio, tempo della luce trionfante, dall’Immacolata all’Epifania, non sono, per la cultura di tradizione orale, memoria, bensì ritorno reale di eventi passati. Così il tempo pasquale presentifica, per il cristiano, la passione, la morte e la resurrezione di Cristo.
Un tempo vissuto in modo corale dalla comunità, per la quale, solo imitando la passione e la morte di Cristo, è possibile ottenere la resurrezione. Il ciclo pasquale si fa, pertanto, passaggio sofferto e strenuamente voluto, dal terrore del male al trionfo sul male, dal dolore alla gioia, dalla morte alla vita. Cantare le Passioni è, per il fedele, ripercorrere la Via Crucis, condividere il dolore della Madre, contemplare i patimenti di Cristo e farli propri con la flagellazione rituale, abbandonando tutto se stesso, carico d’angoscia e di speranza, di dolore e di attesa, al suono possente della voce, con cui grida al mondo la sua presenza, e a Cristo, i cui patimenti si fanno paradigma di tutti i patimenti dell’umanità, il suo ardente desiderio di libertà e di salvezza.
Ed ecco che, assicurata la salvezza individuale e collettiva, la Cozzupara di Cirò celebra la fraternitas con il rito augurale del dono, da cui tutti si attendono prosperità e successo. Così la Strina di Capodanno, così i canti di questua di Carnevale, tempo di eliminazione e di purificazione, tempo di propiziazione dell’attesa abbondanza promessa dalla veniente primavera, tempo in cui convergono e trovano rifugio, stratificandosi e confondendosi, riti iniziatici, espiatori e purificatori prescristiani scacciati, per esser licenziosi, eccessivi, orgiastici e sregolati (ma il Carnevale le regole le ha, e ben definite), da altri tempi critici dalla Chiesa dedicati alle tappe fondamentali della vita di Gesù Cristo, il Salvatore, il Sole di Giustizia, con cui la comunità dei fedeli s’incarna, patisce, muore e risorge realmente. E siffatto drammatico vivere ciclicamente il mistero della Redenzione si concreta tutto intero, ogni giorno in ogni comunità cristiana, nella realtà della transustanziazione. I canti di Passione, dunque, in forma narrativa altamente drammatica, ripercorrono la via del dolore, aprendo il cuore dell’uomo alla speranza della salvezza, e informano il rito elevando e sostenendo, per mezzo della parola cantata, suprema espressione dell’anima dolente, la tensione del fedele verso la divinità sofferente e trionfante. I canti di natale colgono la dimensione umana di Cristo, fattosi uomo nella più assoluta umiltà, di cui gli angeli e gli uomini e gli stessi elementi della natura riconoscono e dichiarano la divinità. I canti di questua, che sono così gioiosi, e tali devono essere, poiché, per il principio della magia simpatica, quello che si fa in determinati giorni si ripercuoterà nei giorni a venire fino al prossimo ciclo festivo, nascono, in verità, da una condizione di disagio, d’incertezza, di paura per ciò che sarà, di desiderio lacerante di star meglio. Ridere, suonare, danzare, condividere, far esplodere la voce nell’esaltazione modulata del canto sono solo e sempre strumenti rituali per esorcizzare il negativo, propiziare il bene, assicurarsi la certezza della salvezza futura.
Il CD
Il ciclo natalizio:
1. Killa notti ki cchjova manna 1:38
2. Allestiti’, o cari amici 5:14
3. Li belli festi 2:54
4. La notti di Natali 1:08
5. Ninna ninna nonna 1:04
6. Vitti lu Bambinedu 3:40
7. ’A Strina 13:40
Il ciclo carnevalesco:
8. Ojimé, ke su’ mmalä:ətə 4:37
9. Ji äggi saputi 0:43
10. Oj cumparə mijə 2:43
11. Carnəluàrə vo’ lla cammisa 1:23
Il ciclo pasquale:
12. ’U Vènniri k’è cchjínə 12:42
13. Ed ammúccimi ammúccimi, mamma 3:47
14. Si parte ccu’ ddilur’oj la Madonna 4:45
15. Kuandu Giesu (Passione) 7:10
16. ’A cozzupara 5:49
durata totale:
Fotogallery
Alario parla del suo libro
Leonardo R. Alario Demologo,fondatore dell'Istituto di Ricerca e di Studi di Demologia e di Dialettologia, ha all'attivo numerose pubblicazioni sui canti di tradizione orale e sui rituali festivi.
L’analisi storico-culturale, sostenuta dall’assidua frequentazione dell’autore con le località e gli eventi festivi osservati, trova riscontro (...) nelle sedici tracce sonore, trascritte e tradotte, scelte tra le lezioni più significative della tradizione locale e indicative d’un universo sonoro complesso i cui tratti salienti si esprimono nei tempi forti della liturgia cristiana: dalle strine natalizie ai canti devozionali della Settimana Santa, interpreti locali registrati nel vivo delle esecuzioni definiscono un archivio vivente di repertori canori Salvatore Esposito, Blogfoolk