Giulia Sarno
Una storia di Tempo Reale
Carte e memorie intorno a un’esperienza fiorentina di ricerca musicale (1987-2022)
Formato 15x21, pp. 424
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Fondato nel 1987 da Luciano Berio, Tempo Reale rappresenta un importante polo per la ricerca, la produzione, la didattica e la promozione nell’ambito della musica elettronica. Impostato sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali, il Centro ha poi seguito numerosi compositori, da Berio a Battistelli e Sciarrino, da Stroppa a Guarnieri, nella creazione di opere contrassegnate dall’uso dell’elettronica, e ha fatto da incubatore per numerosi altri progetti legati alle tecnologie applicate al suono, favorendo l’affermazione di molti giovani musicisti.
Attraverso una sistematica ricognizione sui documenti d’archivio e attingendo alla viva voce di testimoni e protagonisti, il volume ripercorre la storia di questi trentacinque anni nei quali Tempo Reale ha conquistato una posizione di riguardo nel contesto internazionale della musica elettronica, esaminando anche gli scenari politici e culturali su cui si è sviluppata questa singolare esperienza fiorentina di ricerca musicale.
La Prefazione di Maurizio Agamennone
Il volume di Giulia Sarno costituisce la prima monografia sulle diverse vicende, relazioni e musiche che si sono addensate nel corso dei trenta anni di Tempo Reale (TR), prestigiosa istituzione musicale fiorentina che si autodefinisce come «centro di ricerca, produzione e didattica musicale», in una proiezione estesa che non indica esplicitamente marche stilistiche o riferimenti storico-culturali.
D’altra parte, tra i musicisti, gli operatori culturali e anche i musicofili più consapevoli, non vi è chi non allinei spontaneamente l’operato e le proposte artistiche di TR alla musica «elettronica», o «elettroacustica», oppure, ancora più genericamente, «sperimentale»: si conviene, così, di individuare, all’ingrosso, pratiche ed estetiche che sono percepite come separate dallo strumentario (e relativa liuteria), da forme, generi e stili consueti nella musica cólta euro-americana (occidentale), ivi comprese le scritture più recenti destinate prevalentemente a teatri e sale da concerto, a istituzioni sinfoniche e cameristiche, o ai teatri d’opera. Ma le vicende di TR non sono riconducibili soltanto a questo – la musica «elettroacustica» – e una «ragione sociale» molto ampia e accogliente indica l’orgogliosa intenzione di non farsi imprigionare nelle strette maglie di nicchie troppo circoscritte: lo conferma esplicitamente, mi pare, il generoso impegno di TR intorno al «paesaggio sonoro», inteso come repertorio mobile di manifestazioni acustiche peculiari, come ambiente naturale e socio-culturale da frequentare con un “orecchio di riguardo”, o come campo di relazioni da inventare ex-novo nella produzione di suoni inattesi e forse inauditi. Quindi, c’è molto altro, nelle imprese di TR, come nel volume si racconta.
Ma ricostruirne la storia non è stata un’impresa facile, a partire dall’abbrivio, per così dire, generato da una personalità sicuramente molto impegnativa: il compositore italiano Luciano Berio. Ne sono scaturite, fin dall’inizio, relazioni molto complesse e ramificate che hanno alimentato un confronto politico-culturale animato, esteso a molte personalità ed enti numerosi della città di Firenze e della Toscana, fino a coinvolgere istituzioni centrali e personalità del governo nazionale: il lungo e faticoso processo di ideazione e costituzione di TR è stato al centro di una riflessione che ha coinvolto profondamente le principali istituzioni fiorentine, dal Consiglio e altri uffici del Comune, al Teatro del Maggio Musicale, alla Regione Toscana, con tracce cospicue rimaste all’interno degli archivi e sulla stampa locale e regionale, negli atti interni agli enti citati, nella copiosa corrispondenza intercorsa tra rappresentanti di quegli enti e i numerosi attori impegnati, a titolo diverso, nel processo costitutivo di TR, nel «discorso pubblico» ospitato sugli organi di informazione; in ultimo, ma non per minore rilievo, si pone l’imponente archivio di TR sedimentatosi nel corso di trentacinque lunghi e intensi anni di assemblee e riunioni di lavoro, richieste di finanziamenti, proposte di partecipazione a bandi locali, nazionali ed europei, che hanno prodotto verbali e testi scritti multiformi, e condotto a concerti, festival, seminari, laboratori, installazioni sonore e attraversamenti dello spazio urbano, che pure hanno lasciato ulteriori tracce in partiture musicali, registrazioni magnetiche, dischi, file digitali, e nei numerosi supporti promozionali diffusi da TR, connotati da una grafica spesso originale, talvolta sorprendente (locandine, manifesti, programmi e libretti di sala, ecc.). Sono tutte queste, infatti, le fonti principali cui l’autrice attinge meticolosamente, con uno scavo profondo e incessante che consente di valutare le intenzioni, obiettivi, motivazioni e impegni assunti dai diversi attori, in rappresentanza di enti sovra-ordinati o a titolo individuale, di mettere in chiaro concordanze e divergenze, negoziati, compromessi, conflitti e attriti, di seguire le trasformazioni negli assetti istituzionali ed economici di TR, oltre che rilevare le produzioni musicali e il modificarsi delle stesse condotte produttive nel corso dei trentacinque anni di storia dell’istituto fiorentino.
Pure, l’autrice appare pienamente consapevole che i documenti scritti conservati negli archivi, immutabili e stabili nel tempo e perciò più affidabili, rappresentano soprattutto modelli e schemi interpretativi di chi quelle scritture promuove, sollecita o impone, in ottemperanza a obiettivi propri di enti e istituzioni, e a interessi o ambizioni dei singoli attori: perciò, possono oscurare o velare altre opinioni e intenzioni espresse da attori più appartati, in occasioni e contesti informali o marginali, più fluidi e mutevoli, che, tuttavia, non è detto siano necessariamente irrilevanti nel “farsi” dei processi indagati; oppure, semplicemente, possono ridursi anche a “mentire”, tralasciando o sotto-rappresentando fatti, opinioni o proposte, in ossequio ai rapporti di forza che intercorrono tra i diversi attori impegnati nel medesimo processo. Perciò, l’autrice si immerge pure in una estesa e profonda ricognizione nel flusso impetuoso animato dalle «fonti orali», le voci e opinioni dirette dei protagonisti, raccolte in occasioni molteplici di «dialogo etnografico», che consentono di “coprire” certe lacune interpretative, “accordare” testimonianze distanti, favorire l’espressione di protagonisti o testimoni riluttanti, registrare le memorie di eventuali attori risultati soccombenti. Indubbiamente, la produzione di senso intorno a fatti osservati e narrati attraverso la ricerca con le fonti orali può risultare avventurosa e anche emozionate: i protagonisti sollecitati a raccontarsi propongono la propria percezione, che è parziale e locale; le testimonianze possono apparire mutevoli e contraddittorie nel tempo, in incontri successivi; inoltre, i testimoni possono essere tentati dall’ambizione a descrivere il proprio operato in termini celebrativi; pure, al contrario, nel corso del dialogo etnografico gli interlocutori di un «osservatore» potrebbero esprimersi cercando di favorire le attese di chi li sollecita a raccontarsi, “accordandosi” con i presupposti critici e interpretativi espressi inizialmente dall’osservatore medesimo, alterando, anche inconsapevolmente, la rappresentazione delle proprie memorie. D’altra parte, attingere a queste testimonianze, informazioni e opinioni, consente pure di misurare la vitalità e profondità dei fatti e processi osservati, proprio a partire dall’investimento emozionale dei protagonisti.
Perciò, nella interpretazione storica può diventare utile o necessario “incrociare” fonti molto diverse, compensando certe asperità e incongruenze, validando le occorrenze più frequenti e convergenti, in un processo critico che alimenta pure alcuni profili di “congetturalità”.
Inevitabilmente, il responsabile della “messa in regola” di tutti i comportamenti rilevati è proprio lo studioso, alle prese con le proprie fonti e impegnato nella narrazione: è questo lo scenario in cui fatti, processi, attori, azioni, opinioni, memorie possono trovare una “ratio” possibile, nella sensibilità di chi si trova a scrivere per fornire una coerenza accettabile alla folla di testimonianze e al flusso di informazioni rilevate, e nella successiva percezione dei lettori.
E l’autrice ha sicuramente goduto di un “vantaggio competitivo”, a questo proposito, essendo stata in passato collaboratrice “non dipendente” di TR, e tuttora impegnata in attività diverse: questo le ha consentito di innescare e mantenere una «osservazione partecipante» più sicura, accettata e riconosciuta da non pochi interlocutori, e di attingere largamente all’archivio di TR, affollato di documenti, come s’è detto, e costante generatore di ipotesi interpretative. Questo scenario “privilegiato” ha pure alimentato alcuni processi critici determinanti: una efficace ricostruzione del «music making» interno a TR e proiettato all’esterno, verso i fruitori e i musicisti interessati, gli spazi e i luoghi fertilizzati; una approfondita rilevazione delle opinioni e decisioni manifestate e assunte nel tempo; una originale valutazione concernente il “farsi” dei processi produttivi. Quindi, la rilevazione condotta nel «presente etnografico», le memorie e opinioni raccolte nel dialogo con i protagonisti e testimoni, mi pare abbiano pure consentito una utile retro-proiezione storiografica di quanto osservato «sul terreno», nella interpretazione dei mutevoli rapporti interni a TR e delle trasformazioni occorse nei comportamenti dei singoli protagonisti, nelle relazioni reciproche, nelle condotte produttive.
Sul piano del metodo, perciò, il processo critico innescato da Giulia Sarno prova a combinare indagine storiografica e rilevazione etnografica, secondo il modello disciplinare della cosiddetta «etnomusicologia storica», che integra l’osservazione e analisi di pratiche performative con la rilevazione dei diversi e mutevoli costrutti di senso e “ratio” enunciati e tramandati, nella profondità di processi storico-culturali di cui si individuano i profili di conservazione, continuità e trasformazione, con il ricorso a fonti multiformi, opportunamente vagliate, integrate e incrociate: come si intende, in senso generale si tratta di una prospettiva che può contribuire alla valutazione critica di processi e comportamenti appartenenti a culture molto diverse, non esclusi testi, pratiche e personalità interni alla tradizione cólta euro-americana (occidentale).
Ancora, Giulia Sarno ci tiene a “mettere le mani avanti”, come si dice, e a sottolineare che «questo libro non è una storia di Berio e delle sue opere», e noi siamo propensi a crederle, senz’altro. D’altra parte, è pure vero che la narrazione proposta e i documenti valutati ci consegnano un profilo del grande compositore italiano come un organizzatore creativo, intraprendente e lungimirante – anche se non tutto va sempre a buon fine –, come un paziente tessitore di reti relazionali, anche con personalità apparentemente irraggiungibili, capace di suscitare interesse e attenzione sui propri progetti con una tenace determinazione a “lavorare ai fianchi” i suoi interlocutori, o a scartare disinvoltamente verso altri partner possibili, come un compositore prolifico e assai originale, costantemente alla ricerca dei modi migliori e più efficaci per animare – e trasformare - la propria scrittura musicale: qualità e attitudini che sono state già ampiamente individuate e valutate altrove, ma che in questo volume trovano una conferma clamorosa! E la lettura del volume di Giulia Sarno stimola pure, in maniera seducente mi pare, una forte curiosità verso le musiche di Luciano Berio, e il piacere di studiarle, eseguirle e ascoltarle: un buon viatico e un affettuoso omaggio al Maestro, a venti anni dalla scomparsa (2003).
Pure, dalla lettura emerge una rilevazione interessante, che non è ancora consapevolezza pienamente diffusa tra i musicisti, osservatori e fruitori, vale a dire che le multiformi pratiche annoverate nell’ampia classe della cosiddetta «musica elettronica», oppure «elettroacustica», siano ormai mature e non più “sperimentali”: nella sensibilità estetica e nella progettualità di compositori e interpreti; nella condivisione di un repertorio e nella percezione di una profondità storica ormai consolidata; nella performance, che accoglie largamente anche condotte estemporanee e improvvisative; nella “liuteria” che produce macchine e strumenti efficienti, ma anche agevoli e “amichevoli”, nel corso dell’esecuzione; nel consolidarsi di un “orecchio”, di una “manualità” e “dattilicità” specifici, risposte e tecniche del corpo applicate e adattate a oggetti e manufatti assai diversi dagli strumenti “acustici”.
Questa prospettiva è stata altresì favorita dall’introduzione progressiva di tecnologie «personali» – domestiche, pure ospitate all’interno della “bedroom” – che può emancipare compositori ed esecutori dalla dipendenza verso grandi strutture e macchine imponenti e costosissime, e facilitare la diffusione di pratiche elettro-acustiche all’interno di uno scenario socio-culturale nuovo: vi agiscono soprattutto giovani interpreti e compositori provenienti da storie personali assai diverse e da processi formativi eterogenei, inizialmente anche auto-didattici, attratti da possibili ibridazioni stilistiche e culturali, pure impegnati nella individuazione di nuovi spazi – altrimenti inusuali – per la performance musicale, e nella esplorazione dell’ambiente (urbano, rurale, forestale, ecc.) come repertorio di luoghi in cui collocare performance e testi musicali stimolanti e sorprendenti, ancorché talvolta effimeri. Peraltro, si tratta di uno scenario e di una utenza che risultano essere centrali nell’interesse manifestato da TR, e nelle attività realizzate, soprattutto negli ultimi anni.
Un altro aspetto, che si può dedurre dalla rilevazione condotta da Giulia Sarno e pure mi pare interessante, è la individuazione di una possibile “fiorentinità”, o “toscanità”, di TR. È vero, i fondatori e i criteri di ideazione originari erano orientati verso l’assimilazione – dimostratasi impossibile, nel tempo – ad altre prestigiosissime esperienze europee, ma il coinvolgimento e l’impegno delle istituzioni fiorentine e toscane nel processo costitutivo di TR, con la partecipazione di personalità rilevanti nella vita culturale cittadina e regionale, alcune insediate anche in ruoli amministrativi apicali, risultano sicuramente singolari, come già s’è detto, se si confrontano queste storie a quelle rilevabili in altre città italiane, in cui quasi nulla di simile (la costituzione di un centro permanente di ricerca musicale e un «discorso pubblico» relativo così complesso, articolato ed esposto) sembra essersi verificato. Anzi, il prevalere di una supremazia e “vocazione” cittadina e regionale ha probabilmente favorito il consolidamento e l’affermazione delle attività di TR, una volta tramontata la speranza di “fare come a Parigi”, troppo ambiziosa e, soprattutto, non misurata con una storia culturale incoercibilmente multicentrica, costruita per secoli sulle intricate vicende di numerose “capitali regionali”, e piuttosto riottosa a subire decisioni verticalmente dirigistiche. D’altra parte – e questo evidentemente è un tratto dominante nella storia cittadina recente –, è opportuno ricordare come, a Firenze, maggioranze, giunte e sindaci siano caduti e si siano dispersi più di una volta proprio a causa delle vicende interne di un’altra grande istituzione culturale cittadina, il Teatro Comunale (Sperenzi 1990; Pinzauti 1994): un esito politico-amministrativo che non sembra avere uguali in altre città italiane. Tuttavia, la prevalenza di una “vocazione” cittadina e regionale non ha determinato, mi pare, un arroccamento localistico, periferico e provinciale: lo dimostrano le numerose proiezioni internazionali delle imprese di TR, con presenze crescenti e prestigiose in Europa, a partire dal remoto supporto iniziale alla esecuzione delle musiche del fondatore, Luciano Berio.
Infine, questo volume, costituisce la terza proposta editoriale di una nuova collana di studi promossa dal Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS) dell’Università di Firenze, denominata Come suona la Toscana: si avvale di risorse e condizioni operative mobilitate da un Programma di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN) del Ministero dell’Università e Ricerca (MUR). Il primo volume della collana è dedicato alle imprese di Piero Farulli, prestigioso concertista e personalità centrale nella recente storia culturale della Toscana (Agamennone 2022); il secondo raccoglie gli esiti di un convegno internazionale di studi, Sounds of the Pandemic, tenutosi “a distanza” nel dicembre 2020, in piena pandemia da COVID-19 (Dicuonzo, Giomi e Peroni 2022).
Etnomusicologa e storica dello spettacolo, Giulia Sarno si occupa di pratiche contemporanee, dalla musica elettronica ai cori da stadio, nonché di archivi musicali, paesaggio sonoro e patrimoni locali. Insegna “Forme e pratiche della popular music” all’Università di Firenze e “Storia della musica elettroacustica” alla Scuola di musica di Fiesole e da diversi anni collabora con Tempo Reale.
Sarno ne narra con puntiglio l'intera vicenda (,,,) Il volume delinea in profondità, dal passato al presente, i vari campi d'azione di TR (...) Ha inoltre il merito di contestualizzarne la portata in senso ampio e non solo all'interno del dibattito di casa nostra Piercarlo Poggio, Blow Up
Se già di per sé l’idea di fare la storia di un’istituzione di questo genere – peraltro una storia tutto sommato “recente”, almeno per gli standard della musicologia – è originale, ancora più rilevante è che a condurre il tutto sia una etnomusicologa di formazione. Giulia Sarno mette dunque insieme osservazione partecipante (svolta negli anni nel ruolo di collaboratrice del centro), lavoro di archivio e storia orale, mostrando che un approccio diverso a certi soggetti è possibile Jacopo Tomatis, Il giornale della musica
Giulia Sarno, etnomusicologa e storica dello spettacolo, ha ricostruito con rigoroso scandaglio di documentazione d'archivio la creatura di Berio, che ha saputo tessere reti di rapporti che intersecavano e facevano reagire i saperi, ri-lanciandoli nella contemporaneità più stringente Guido Festinese, Alias-Il manifesto
Giulia Sarno ci fa entrare in questo mondo musicale dedito alla ricerca e alla sperimentazione di suoni “altri” che potessero essere di uso quotidiano per comprendere il mondo circostante, e con il suo stile chiaro e scorrevole ci mostra le varie fasi e i vari momenti della prassi musicale che si relaziona con il contesto sociale e politico che si avvicenda nel corso degli anni, rendendo bene la complessità di stratificazione tra l’aspirazione alla creazione e la “quotidianità” amministrativa della gestione di Tempo Reale. Per concludere sicuramente un testo consigliato per chi ama la musica elettronica, e non solo quella, e vuole conoscere una delle storie sulla sua evoluzione e diffusione Marco Paolucci, Kathodik