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Canio Loguercio e Alessandro D'Alessandro  

Canti, ballate e ipocondrie d'ammore

contiene cd

Targa Tenco Album in dialetto 2017

2018, € 15 ,  formato 14x14, 48 pp, con 20 foto a colori

 

€15.00
€14.25

Trasposizione quasi fedele di un concerto live che Canio Loguercio e Alessandro D’Alessandro portano in giro da circa quattro anni, Canti, ballate e ipocondrie d’ammore è un disco di canzoni a fil’e voce, chitarra e organetto in cui c’è tanta Napoli: innanzi tutto quella della sua lingua patrimonio dell’umanità e poi Napoli come luogo dell’anima in cui il confronto con la tradizione si manifesta attraverso la suggestione esercitata dalla canzone napoletana che qui irrompe con la forza della sua irresistibile seduzione.

Con la Targa Tenco, per il miglior album in dialetto del 2017, ed altri prestigiosi riconoscimenti è stata premiata la cura meticolosa degli arrangiamenti e la lunga ricerca condotta in tanti anni intorno alla “canzone d’ammore”: una conferma della possibilità di forme musicali, popolari e d’autore, capaci di porsi in un ambito espressivo al di fuori dei generi consolidati e, appunto per questo, difficili da etichettare.

E’ un lavoro in cui gli autori si sono mossi in punta di piedi cercando di togliere piuttosto che aggiungere, di badare più al senso che alle forme, con un passo artigianale basato su pochi elementi, quelli che reputavano essenziali. Ecco, l’essenzialità forse è la chiave di questo disco, in cui prevale la parola rispetto al canto, il respiro rispetto alla parola, in cui si susseguono canzoni di un amore viscerale e profondo come il rumore del mantice dell’organetto.

 (Le fotografie su Napoli sono di Natalino Russo)

 

  

 

 

Musicista, poeta e performer, lucano di nascita ma napoletano d’adozione, Canio Loguercio è autore di progetti “crossover”, all’incrocio tra canzone d’autore, poesia e teatro. Già finalista in tre diverse edizioni del Premio Recanati e candidato alla Targa Tenco nel 2014, per Squilibri ha pubblicato Miserere

 

 

 

Con un’intesa attività concertistica e collaborazioni con numerosi musicisti italiani e stranieri, Alessandro D'Alessandro è organetto solista e coordinatore artistico dell’Orchestra Bottoni, il cui disco d’esordio è stato finalista al Premio Tenco 2015 e secondo miglior disco al Premio Loano 2014 

 

 

Loguercio appartiene alla specie protetta dei musicisti su cui aleggia il benefico soffio della poesia (...) Il fatto è che, con voce sussurata, un repertorio dolente e al tempo stesso insolente di requiem pagani (...) il nostro ha reinventato il teatro-canzone. Senza proclami, fidando nel potere del gioco e dell'ironia Alberto Dentice, L'Espresso

 Sull'onda delle versioni live accompagnate dall'organetto di Alessandro D'Alessandro, (...) Loguercio sfodera il suo salmodiare pallido e assorto e trasforma il suo recitar-cantando che assomigliava a un pre-rap dei vicoli dove non entra mai il sole in una 'impepatella cosmica' che denuda e riveste e traveste la canzone napoletana classica per inverarla e rifiutarla e preservarla Federico Vacalebre, Il Mattino

un album intensamente innovativo, con radici profonde, un evento singolare, un gustoso impasto di riti, tradizione, modernità reso ancora più potente (e quasi pop) dal video di Antonello Matarazzo (...) Loguercio ha preso in affidamento quel sentimento partenopeo che rappresenta il vero segreto della creatività: portare la tradizione nel mondo in cui viviamo e connettere tra loro con un approccio alchemico, espressioni diverse, dalla poesia alla canzone, al teatro. Fino alla ricerca sociale Riccardo Piaggio, Il Sole 24 ore

idioma di corpo e cuore, carne e passione, turbamento e amore (anzi con due “m”); lingua cantata, sussurrata, recitar-cantando sommesso, spoken music in forma di giaculatorie, litanie, lamenti e serenate scabre, ironiche e surreali che mescolano i registri, pescando nei canoni dell’arte classica canora napoletana e, alimentandosi nell’oralità, scavano nel pozzo delle formule popolari, tra pulsioni funk e in levare, tra blues, ruvidezze, slanci manouche, solenni aperture di zampogna Ciro De Rosa, Blogfoolk 

Canzoni 'a fil ’e voce' che ascoltate una volta nella vita non si dimenticano più. Può svanire qualche parola, ovvio, ma non quell’impasto roco che viene dal profondo o dall’antico che nel caso di Canio Loguercio sono la stessa cosa. Eppure modernissima appare ed è l’ultima sua opera, realizzata con l’organettista Alessandro D’Alessandro, che ha un titolo-manifesto poetico Natascia Festa, Corriere del Mezzogiorno 

In questo nuovo progetto multimediale, lo spleen salmodiante di Canio Loguercio indossa una nuova veste, cucita a misura da Alessandro D'Alessandro con un tessuto d'organetto e chitarra, arpa e tammorre, tromba e cavaquinho, legato da un filo sottile di loop elettronici (...) Una lingua che è al tempo stesso frutto del lavoro atavico di ingranaggi popolari e invenzione estemporanea, puro suono, stralunato mantra laico Alessandro Hellmann, Rockerilla 

 Alessandro D'Alessandro è un musicista ispirato che suona l'organetto con levità e maestria e Canio Loguercio è un genio. Insieme sono una forza della natura (...) un sound potente e moderno, che entra nelle viscere come le passioni non corrisposte, come gli amori sfortunati. (...) Se non fossimo all'inizio, diremmo il disco dell'anno Elisabetta Malantrucco, Vinile

L'incontro artistico fra Canio Loguercio, cantautore di origine lucana e di adozione napoletana, e Alessandro D'Alessandro, organettista eccelso, nativo di Gaeta. La musica popolare del secondo si sposa idealmente con gli aspetti più popolari e tradizionali del repertorio del primo (...) Opera di grandi contenuti è prodotta e presentata in una eccellente confezione dalle edizioni Squilibri Sergio Spada, Jazz Convention 

Colpisce la capacità di immaginare una canzone in dialetto sintonizzata sull’oggi, capace di parlare una lingua personale e intima tanto nelle parole quanto nei suoni. Non che sia una novità nella canzone italiana, naturalmente: ma la distanza siderale – tanto nei testi, quanto nelle musiche, quanto nella “confezione” complessiva del progetto – da ogni cliché “tradizionale”, mediterraneo o terzomondista è davvero un valore aggiunto, se si guarda a quello che succede intorno Jacopo Tomatis, Il giornale della musica

l’ultimo disco di questo artista lucano che canta in napoletano, mette in combutta organetto e suoni elettronici, intreccia citazioni colte e linguaggi popolari; costruisce un’orchestra anarchica di tammorre, piano, chitarre, trombe, voci sussurrate e roche, canti dolenti, recitativi di antica appartenenza Luciano Del Sette, Il Manifesto 

La forza espressiva di brani che ruotano con molte sfumature sul tema dell'amore: malato, amaro, indifferente se non tragico.  La napoletanità linguistica di Loguercio è di grana fine, lascia da parte l'ovvio e il consunto e ripropone l'essenzialità perduta della mitica figura del cantastorie Piercarlo Poggio, Blow up  

Canio Loguercio canta il Sud che non affaccia sul mare, quel Sud che parte da Napoli e sbuca tra le montagne lucane, conosce i tratturi, le stradine della transumanza, il pianoro pugliese. (...) Loguercio è cantore di rara raffinatezza, i suoi concertini sono perle preziose che bisogna ogni volta saper cercare e poi assaggiare. Lentamente, come fosse vino d’annata Antonello Caporale, Il Fatto quotidiano 

suona come una cupa, brunita, notturna ballata per tutti i Sud del mondo. Anche quelli dell'anima. (...) in un napoletano che fruscia, allude, sfreccia nelle orecchie senza trovare altri riferimenti possibili, forse solo certa tellurica corposità di Raiz ai tempi dei primi Almamegretta. (...) Procuratevelo: in Italia non tutti i giorni arrivano ventate di freschezza corroboranti in musica come questa Guido Festinese, Disco Club 65 

un fitto intrico di umori popolari, antichi quindi, ma da un'ottica per così dire post-moderna, spezzoni di vita profondamente intrisi di humus (...)  in un'opera trasudante umori e sostanza da ogni poro Alberto Bazzurro Musica Jazz 

È un album lunare, riassunto esemplarmente dal suo titolo. (...)  un tripudio di fantasie visive deliranti innescate da un supposto complotto all’eroe. In questo senso è determinante il video che accompagna la canzone (...) che è quanto di più lontano da “un accessorio” quanto piuttosto un “canale espanso di fruizione”. (...) Il risultato è irresistibile, vischioso, una specie di surreale musical, tra claustrofobia e paganesimo, distopia e processione, in cui perdersi tra ritualità ossessive e allitterazioni vertiginose Vincenzo Bellini, Unadimille.it 

Targa meritatissima quella assegnata a Canio Loguercio e Alessandro D'Alessandro per il loro disco in dialetto. La coppia, con solo organetto, chitarra e voce, colpisce nel segno, proponendo un breve stralcio di un concerto che meriterebbe di essere ascoltato per intero  Giorgio Zito, MusicaDalPalco.it 

una proposta musicale che sembra rinnovare la tradizione della canzone napoletana mentre la tradisce, portandola altrove tra suoni e linguaggi imprevedibili Felice Liperi, La Repubblica-Roma 

Facendo dialogare tradizione e contemporaneità in un corto circuito di turbamenti, litanie d'amore e giaculatorie, nelle ballate convivono sole e chiasso di Napoli e paesaggi desolati dell'entroterra lucano  Simona Orlando, Il Messaggero 

Il loro progetto spazia tra pop e folk, ballate struggenti in un dialetto che diventa sintesi delle diverse anime del meridione, elevando la tradizione del canto popolare in una forma di cantautorato profonda e struggente  Gi.Pu., TrovaRoma-La Repubblica 

Loguercio si accomoda appena fuori dal solco della tradizione napoletana e del teatro-canzone, appena fuori dal rock, a un passo dal tango, appena dentro il folk nella sua accezione meno rassicurante, con un animo fondamentalmente punk. Questa musica così ispirata raggiunge lo splendore massimo grazie all'organetto di Alessandro D'Alessandro, capace di trasformare uno strumento popolare in una sentenza, un dettame ritmico, sintattico, sintetico. È l'elemento primario, l'organon, lo ‘strumento’, o più praticamente un arnese che si nutre di vento, o di soffio, per ritornare allo spirito. D'Alessandro impera sia quando è sul fondo del complesso sia quando diventa primo violino, ed è capace di aggiungere quel pizzico, sempre sorprendente, di psichedelìa. Una psichedelìa popolare  Daniele Sidonio, L'isola che non c'era

Una delle più belle produzioni del 2017. Sicuramente la più completa, originale, vissuta. Canio e Alessandro hanno portato in giro il loro spettacolo un po’ ovunque, in una specie di work in progress cominciato molto prima dell’uscita del cd Elisabetta Malantrucco, Blogfoolk 

 Il catalogo non appartiene al cantautore, attore e perfomer lucano-partenopeo. Peggio l'essere incasellato in un genere. Le sue canzoni trasalgono la lingua napoletana, disfacendola in un idioma tanto antico quanto a noi contemporaneo. La sua musica poi agisce in una terra che comprende il popolare come l'elettronica  Fabio Francione, Il cittadino di Lodi 

Un'essenzialità sonora che fa rifulgere ancora di più il lessico, le espressioni e la lingua di matrice napoletana, questo calderone appassionato e bollente dedicato all'amore, inventato tra assonanze e locuzioni creative, echi di canzoni amate, morsi di frasi ascoltate, pezzi di oralità diffusa, seppelliti nella nostra memoria, nel fondo del nostro io antico Flaviano De Luca, Il Manifesto 

Un disco perfetto (...) Cercatelo e troverete anche la vostra isola, all’incrocio delle coordinate che passano dalla voce di Canio e arrivano alle note dell’organetto di Alessandro. Altro che Itaca  Giorgio Olmoti, L'isola che non c'era

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