Marco Rovelli
Bella una serpe con le spoglie d'oro
Un omaggio a Caterina Bueno
2018, € 18 formato 14x14, 64 pp. a colori, 10 foto in b/n
In offerta con il 5% di sconto
Straordinaria ricercatrice e interprete dalla voce inconfondibile, icona e protagonista della canzone popolare italiana, Caterina Bueno ha raccolto in Toscana secoli di canti e di storie. Sulla spinta di una vicinanza profonda ai valori del mondo contadino e una forte, dichiarata, ascendenza libertaria, ha condiviso e restituito una memoria universale.
Ricercatore di storie, scrittore e musicista, Marco Rovelli ne rivisita il repertorio – canti d’amore, canti del Maggio, canti del lavoro e di lotta – a partire da uno spettacolo di teatro-canzone che, attraverso un viaggio nel cuore della tradizione popolare toscana, fa rivivere appieno il fascino e la bellezza di una singolare vicenda umana e artistica.
Con un significativo corredo fotografico e un saggio di Maurizio Agamennone
Marco Rovelli, performer versatile e strepitoso talento di cantante e ricercatore, è il legittimo erede della grandissima Caterina Bueno, per la sua capacità di interprete ma anche per essersi assunto il compito di dare futuro ad uno dei più preziosi tesori della nostra cultura nazionale Moni Ovadia
Ascolta Serenata
Ho conosciuto il canto popolare toscano grazie a un cd di Caterina Bueno, Canti di Maremma e d’anarchia, che uscì allegato al settimanale “Avvenimenti”. Era il ’97, avevo ventott’anni, e fino ad allora di canto popolare toscano non sapevo nulla. Anche la Toscana, tutto sommato, mi era piuttosto sconosciuta: Massa, dove sono nato e cresciuto, è infatti toscana dal punto amministrativo ma storicamente, culturalmente e linguisticamente ha poco a che fare con la Toscana. Basti pensare che fino all’Unità d’Italia è stata un’entità statale a sé, che poco aveva a che spartire col Granducato. Epperò, quando mi capitò tra le mani quel cd, così distante da me che ero un “rocker” tout court (per quanto possa significare la parola-baule “rock”, s’intende), sentii un irresistibile richiamo e quelle tracce cominciarono a ripetersi in loop sul mio lettore, come se quella musicalità avesse qualcosa da dirmi. In qualche misura, ciò era dovuto anche al fatto che mia nonna, con la quale condivisi la camera fino all’età di quindici anni, era valdarnese e la calata toscana ce l’avevo nelle orecchie fin da sempre. “bischero”, ti diceva brontolando, “va a buttatti in Arno!”.
E poi, c’era l’espressività di quella voce profonda e così singolare di quella cantante a me sconosciuta. che scoprii solo dopo, nelle sue registrazioni precedenti, essere stata una voce diversa, prima dell’arrochimento dovuto a innumeri sigarette e innumeri bicchieri. Seguii dunque le sue tracce, e mi ci immersi, soprattutto in quelle del mio album preferito tra quelli della prima fase di Caterina, Eran tre falciatori, dove s’alternavano in maniera mirabile canti antichissimi e storie mitologiche, canti del maggio e celebrazioni di sovversivi, contrasti in ottava rima e lamenti del lavoro. Un mondo si dispiegava ai miei occhi, ed era come trovare una radice ignota, che mi precedeva.
La conobbi personalmente in un concerto al circolo Agorà di Pisa, doveva essere il 2001. Mi ci misi a parlare al bancone e si bevette un bicchiere insieme. Poi venne a trovarmi a casa, e con gli amici dell’epoca la accolsi da Giuston, un’osteria di campagna che frequentavo regolarmente, celebrando l’incontro con una solenne sbronza. E dove un vecchio avventore, il Cocco, la omaggiò con la sua versione viscerale di Maremma, dove si sentiva la verità di una vita operaia. A ripensarci, che dispiacere non averla mai registrata. Uno dei tanti crucci della mia avversione di allora alla tecnologia: del resto non ho nemmeno una foto con caterina, pur avendola frequentata poi molte volte. L’avessi fotografata quella sera, attorno al tavolo di marmo. O quando siamo andati a casa, e lei mi fece un tanto di cappello (il suo mitico cappello, da cui non si separava mai) per la mia versione di Entra la corte: avere un suo riconoscimento, allora, fu per me una gioia grande.
Se ho un cruccio, come scrittore, è quello di non aver scritto la sua biografia. Le avevo chiesto perché non la scrivesse, con tutte le storie meravigliose che raccontava. Ma lei non voleva. però aveva detto sì alla mia proposta: mi avrebbe raccontato le sue mille storie, io avrei registrato, e poi ne avrei fatto una narrazione. “Ok”, ci eravamo detti. Ma non c’è stato il tempo. L’ultima volta la vidi quando le diedero il Fiorino d’oro a Firenze. ci salutammo dicendo “a presto”. Poi passarono i mesi, io ero in giro freneticamente per presentare il libro che avevo pubblicato, e non ci sentimmo per un po’. Finché un giorno, che ero in Puglia per scrivere un reportage, lessi sul Manifesto che se n’era andata.
Non avevo saputo nulla di quella sua breve malattia. Caterina si portò via una messe prodigiosa di storie, di frammenti di un mondo che lei era riuscita a salvare. e che ho provato a restituire, in piccolissima parte, in La leggera, un’opera di teatro-canzone che ho scritto e che porto in giro, e di cui l’album che avete tra le mani è il distillato musicale: un viaggio nella cultura popolare toscana guidati da Caterina, incontrando altre due persone con cui ho avuto a che fare, l’attore Carlo Monni (che avevo coinvolto in uno spettacolo sui canti popolari) e il poeta Altamante Logli, che a loro volta erano in relazioni fraterne con Caterina.
Caterina se ne andò lasciandoci in silenzio. E quel silenzio dobbiamo continuare a riempirlo di canto.
Il CD
1 Bella una serpe con le spoglie d’oro (1:41)
2 Storia di Rodolfo Foscati (3:28)
3 E cinquecento catenelle d’oro (1:17)
4 Lamento del carbonaro (3:50)
5 La leggera (2:58)
6 Cade l’uliva (0:30)
7 Serenata (4:19)
8 Stornelli mugellani (4:04)
9 Battan l’otto (4:59)
10 Maremma (3:13)
11 Contrasto tra l’aristocratica e la plebea sulla guerra di Tripoli (1:26)
12 Il maschio di Volterra (3:59)
13 Maggio di Riolunato (0:48)
14 Maggio di Roselle (1:32)
15 Maledizioni (0:45)
16 Mamma non mi manda’ fori la sera (2:03)
17 Quando venivi a San Piero (3:08)
18 La mia mamma (1:56)
19 Entra la corte (1:54)
20 Sante Caserio (3:26)
21 Stornelli d’esilio (0:51)
Marco Rovelli voce e chitarra acustica
Rocco Marchi synth (1), chitarra elettrica (2, 4, 20), glockenspiel (3, 5), diamonica (3, 7), percussioni (4, 17), pianet (8, 16), portasound (16), pianoforte (18)
Davide Giromini fisarmonica (5, 9, 12, 14, 17), pianoforte (9), diamonica (17)
Paolo Monti chitarra elettrica (1, 7, 10)
Lara Vecoli violoncello (9, 12)
Roberto Passuti percussioni (5, 8), tubo armonico (16)
Registrato allo Spectrum studio di Bologna da Rocco Marchi e Roberto Passuti
Mixato e masterizzato da Roberto Passuti allo Spectrum studio di Bologna
Produzione artistica: Marco Rovelli, Rocco Marchi, Roberto Passuti
Arrangiamenti: Rocco Marchi
Fotogallery
Intellettuale poliedrico -scrittore, musicista, performer teatrale e docente di filosofia-, Marco Rovelli ha pubblicato narrazioni sociali su migrazioni e morti sul lavoro e romanzi e ha messo in scena alcuni spettacoli teatrali-musicali. Dopo l'esperienza con Les Anarchistes, come muscista è al suo terzo album
Un cimento rischioso, per il giudizio di tutti coloro che amano ed hanno amato Caterina Bueno e le tradizioni popolari venate d’amore e di sovversivismo della Toscana mai pacificata. E il Rovelli ci si è accostato come soleva fare Michelangelo a fronte di un blocco di marmo di Carrara, con l’arte del levare, scalpellata dopo scalpellata, fino a liberare quel che la pietra imprigionava: discrezione, delicatezza, misura. Una prova intensa con nuovi minimali arrangiamenti, come la chitarra ambient di “Maremma” che dilata leopardianamente il lamento in un canto a cifra della stessa intera umana condizione Maurizio Brotini, Left.it
Ciò che fa Marco Rovelli è una pura, semplice, perfetta filologia. Con il rigore del saggista, la passione del fan, l'attenzione dello storico (...) E la discrezione e la delicatezza di chi sa di mettere le mani su un patrimonio inestimabile Edoardo Semmola, Corriere fiorentino
Rovelli propone il repertorio della Bueno (...) con un taglio vocale molto personale, concentrato e intenso, avvalendosi dei delicati arrangiamenti di Rocco Marchi. (...) Un modo suadente per ridare smalto e forza a quei canti d’amore (che sono tema dominante del folk toscano perché cantarli è riscatto dalla fatica del lavoro), canti del Maggio, canti operai e d’anarchia che celebrano sovversivi come Sante Caserio Flaviano De Luca, Il manifesto
Il risultato di questo lavoro (grazie anche agli arrangiamenti di Rocco Marchi) è un disco affascinante, come sono affascinanti le storie raccontate in queste canzoni popolari raccolte dalla Bueno, che ci riportano ad un tempo e ad un mondo molto lontano, ma forse ancora presente. Ma soprattutto è una splendida prova da interprete di Rovelli, che sembra immedesimarsi perfettamente nei panni della grande cantante toscana, diventandone a questo punto il legittimo erede Giorgio Zito, Storia della musica
Con tutta l’anima punk della sua generazione Marco Rovelli ha riproposto – grazie al supporto fondamentale di Rocco Marchi, attrezzato di chitarra elettrica, sintetizzatori, diamonica e glockenspiel – il repertorio di Caterina, vestendolo di un sound molto particolare. Non facciamo fatica a definirlo – anche se con molta cautela – rock, almeno nell’ispirazione. (...) Perché di questi canti e di queste storie restano vive la liricità, la forza, la rabbia, il lamento, la fatica, l’allegria, la passione, il dolore, il tormento. Restano vive senza compromessi. Come è senza compromessi la straordinaria voce di Marco Rovelli Elisabetta Malantrucco, Blogfoolk
è un bellissimo omaggio, che rende onore con grande umiltà alla potenza lirica dei testi e alla meraviglia della melodia di questi brani (...). Rovelli canta con intensità, a voce piena, ma con quel giusto distacco “epico” (che era già della Bueno) che eleva questi materiali ben sopra le contingenze della loro composizione e della loro toscanità, facendone un qualcosa di più profondo, di universale Jacopo Tomatis, Il giornale della musica
Corredato da un booklet che è un autentico libro sul lavoro inestimabile della Bueno, l'album rende giustizia al piccolo gigante del folk italiano, con umiltà e devozione. Un disco necessario Fulvio Paloscia, Repubblica Firenze
Marco Rovelli ha una voce che arriva lontano senza sforzo (...) Poi ci mette un sacco di passione. Pure qui senza sforzo. Avrebbe potuto rifare pezzi come Maremma o Sante Caserio o Il Maschio Di Volterra per sola voce e chitarra acustica, persino per sola voce, e sarebbero stati ineccepibili. Invece lavora (bene) anche sui suoni. Aggiunge qua e là la fisarmonica, e questo si poteva immaginare, ma altrove inserisce chitarre elettriche e synth e si inventa un alt-folk dai toni vividi che nel Lamento Del Carbonaro, ad esempio, lascia i boschi della montagna toscana per trovare una sinistra sintonia con i disperati del sud degli Stati Uniti raccontati dai 16 Horsepower o dai Vandaveer Antonio Vivaldi, TomTomRock
La voce dolente e selvatica, sostenuta da una strumentazione scarnificata,, sembra uscita da un nastro di Lomax. Un'elettrica lancinante o un glockenspiel , nelle mani dell'ottimo Rocco Marchi, preservano da qualsiasi tentazione derivativa questo appassionato esercizio di memoria Alessandro Hellmann, Rockerilla
Il risultato è di una coerenza assoluta, fra episodi addirittura per voce sola ed altri appena più trafficati, canti lievi e dolenti e tirate sociali. Sempre con la giusta misura per rendere al meglio il testo, cuore pulsante di questo universo espressivo Alberto Bazzurro, Musica Jazz
Gli esiti convincono per il rigore, e la misura con cui Rovelli si confronta con la scaletta, avocandone a sé lo spirito in modo rispettoso e non succube. Con l’intensità controllata dell`interprete capace e lo slancio filologico del ricercatore, insomma. Anche la coloritura sonora è colorata il giusto: un modo come un altro per lasciare spazio alla parola, e all’epos quotidiano che discende dalle storie che racconta Mario Bonanno, Mescalina
È un book-cd reportage dall’intenso luccichio (...) Nell’allegato sonoro, i preziosi contributi di Rocco Marchi, tra le pagine la restituzione e l’aggiornamento di una coralità intrisa di voli sopra i tetti, di forme di vita col bagaglio leggero per spostarsi alla meglio. Perché le tradizioni sono maratone tra i sentieri del possibile Massimo Pirotta, Il mucchio selvaggio
Poetico e innamorato, Rovelli ci porta per mano, quasi a farci “vedere” quel suo spettacolo di teatro-canzone, raccontandoci e spiegandoci ogni canto, ogni verso, e lo spirito che esso incarna. Si dovrebbe ascoltare così, questo disco straordinario: immaginando di condividere la tavola con Marco e un po’ di vino, mentre la sua voce racconta e poi canta, e ancora racconta e canta e così via via per tutto lo svolgersi delle tracce Alessia Pistolini, L'isola che non c'era