Valentino Paparelli
Alessandro Portelli
La Valnerina ternana
Un'esperienza di ricerca-intervento
2011, € 25
Formato 13.5x19, 18 foto in b/n e a colori, pp. 180, cofanetto con libro + 2 CD
In offerta con il 5% di sconto
A distanza di oltre trent'anni, un'articolata riflessione su una straordinaria esperienza in cui le forme e i contenuti dell'espressività popolare si intrecciavano creativamente con la cultura della fabbrica. Incentrata sull'attività del Gruppo della Valnerina (Dante Bartolini, Americo e Luigi Matteucci, Trento Pitotti e Pompilio Pileri) e legata ai progetti di trasformazione politica e sociale ancora così vivi negli anni '70, quell'esperienza poggiava sulla convinzione che la "ricerca", necessaria ai fini della documentazione e dello studio, fosse anche un "intervento" destinato a trasformare la soggettività dei ricercatori e dei loro interlocutori.
Un gruppo di cantori popolari, a cavallo tra la società contadina della bassa valle del Nera e il mondo operaio delle acciaierie di Terni, si ritrovò così ad esibirsi nei teatri di Roma e Francoforte, assumendo una sempre maggiore consapevolezza dell'importanza della propria cultura, capace di esprimere esigenze e istanze profonde della contemporaneità.
Oltre al disco del 1976, arricchito da materiali inediti, al volume è così allegato un secondo CD in cui alcuni di quei brani sono riproposti da artisti come Almamegretta, Piero Brega, Canzoniere del Lazio, Lucilla Galeazzi, Giovanna Marini e Sara Modigliani, a riprova di quanto quel repertorio e quelle persone abbiano lasciato il segno in una cultura musicale che va ben oltre la dimensione locale.
Ascolta il brano E io dormo tra le pecore e li cani
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Questo lavoro è la ripresa ragionata, l’approfondimento e l’aggiornamento di un progetto di “ricerca e intervento” che negli anni ’70 risultò soprattutto nell’attività dei cantori del Gruppo della Valnerina (Dante Bartolini, Americo Matteucci, Luigi Matteucci, Trento Pitotti, Pompilio Pileri) e nell’uscita del long playing La Valnerina Ternana. Una proposta di ricerca-intervento (1972-1975), pubblicato dai Dischi del Sole. L’idea di fondo, legata ai progetti di intervento politico e di trasformazione sociale ancora così vivi in quegli anni, era che la ricerca sul campo della musica e della cultura popolare non servisse solo a fini di documentazione e di studio, ma fosse anche un “intervento” destinato a trasformare la soggettività dei ricercatori e dei loro interlocutori e ad influire nel contesto sociale in cui avveniva la ricerca e da cui scaturivano le forme espressive.
Così, fare in modo che un gruppo di cantori popolari, a cavallo fra il mondo contadino della Valnerina e il mondo operaio delle acciaierie di Terni, passassero dal cantare in casa o in osteria o nelle feste a cantare nei teatri di Roma o di Francoforte era sicuramente un atto di decontestualizzazione, ma anche una sfida ai cantori stessi affinché esplicitassero la loro consapevolezza dell’importanza e del significato della loro cultura, dessero forma alle modalità espressive di cui erano in possesso e ne rendessero consapevoli ascoltatori e artisti in un contesto nazionale e internazionale, assumendosi la responsabilità e le possibilità di un diverso protagonismo – a cui comunque l’ex partigiano Dante Bartolini, l’operaio edile Amerigo Matteucci, sindaco comunista di Polino, e i loro compagni, certo non si sottraevano ma che assumevano anche come una fase nuova del loro impegno di tutta una vita, senza per questo smettere di divertirsi a cantare e a raccontare. Al tempo stesso, il fatto che il loro repertorio diventasse parte del patrimonio di artisti come Giovanna Marini, il Canzoniere del Lazio, Lucilla Galeazzi contribuiva ancora a fare di questa cultura “locale” una ricchezza e una risorsa che investiva la città e il mondo della cultura. E il racconto “sbagliato” della morte di Luigi Trastulli, registrato in treno durante uno dei viaggi col Gruppo della Valnerina, è diventato un punto di riferimento e una citazione obbligatoria in tutto il movimento internazionale della storia orale. Contributi niente male, per un gruppo di persone con poca scuola e appartenenti al mondo delle classi cosiddette “non egemoniche”.
Alla base di questo lavoro di organizzazione culturale stava la scoperta di un territorio come il circondario di Terni, e in particolare la bassa valle del Nera, in cui l’industria moderna era stata calata dall’alto già tutta armata e finita, senza quindi che il mondo rurale circostante avesse il tempo di dimenticare i suoi saperi (Dante era operaio metallurgico, partigiano, conoscitore di erbe medicinali, ammazzatore di maiali, cantore e narratore orale) e poteva quindi usarli per fare i conti con la nuova realtà. Di qui, per esempio, l’uso dei canti di mietitura per parlare della Resistenza: l’idea di tradizione che ci veniva dai compagni della Valnerina era quella di un processo di continua crescita e trasformazione. L’esempio che più ci convinceva era quello dello stornello che era quasi il marchio di fabbrica di questa cultura: io dormo fra le pecore e li cani/ pe’ fa’ magna’ l’agnellia li padroni. All’inizio era una strofa pastorale (io dormo tra le pecore e li cani/ pe’ fa’ magna’ l’agnelli a li romani), che Pompilio Pileri, pastore transumante, aveva riportato (insieme al canto di Carbognano) dal suo andare e venire per la campagna romana: un’espressione del risentimento della campagna verso la città. Nella Valnerina del bracciantato e del residuo latifondo, era diventato io dormo fra le pecore e li cani/ pe’ fa’ magna’ l’agnelli a li signori; e quando i braccianti e i contadini erano entrati in fabbrica, i romani e i signori erano diventati i padroni. Nelle osmotiche sostituzioni di una parola all’altra stava tutta la storia dalla pastorizia all’agricoltura all’industria (e naturalmente la trasformazione di quegli agnelli da dato letterale in metafora). Di conseguenza, diventava evidente il riconoscimento della tradizione come un dato della contemporaneità. Certi stornelli di Amerigo Matteucci hanno la stessa vena satirica delle contemporanee vignette (allora) di Forattini o poi di Vauro.
Il disco fu, dunque, uno dei risultati del lavoro di ricerca iniziato nella primavera del 1972 e protrattosi fino alla fine del decennio, che ha riguardato la zona della Valnerina ternana e in particolare i comuni di Arrone, Montefranco, Ferentillo, Polino, Terni. Risultato di una ricerca che non aveva fini solamente conoscitivi, ma anche di intervento e di organizzazione di base, esso voleva documentare anche queste caratteristiche del lavoro svolto ed è servito da strumento per le fasi successive dell’intervento. Il disco che facemmo era anche il risultato di queste riflessioni: anziché la “genuinità” dell’“autentico folklore delle nostre regioni”, mettevamo in evidenza i contatti, le influenze reciproche, quelle che poi si sarebbero chiamate con termine usurato le “contaminazioni”: la chitarra di Piero Brega e il Canzoniere del Lazio dietro il canto di Amerigo Matteucci (e l’effetto “normalizzatore” dello strumento sulla voce), il dialogo cantato e suonato di Dante Bartolini con Giovanna Marini, perfino il Brecht messo in musica dagli operai-attori delle Acciaierie e dal Gruteater. Per questo, quando si è presentata la possibilità della ristampa del disco, in un primo momento abbiamo pensato alla possibilità di ampliarlo, di inserire nuovi pezzi rimasti fuori (i limiti di tempo del long playing erano assai più ridotti di quelli del CD); ma alla fine abbiamo visto che era impossibile: il montaggio stretto (fra l’altro, senza separazioni di traccia, in modo da creare un dialogo fra i vari brani e le varie voci) era un discorso magari datato ma coerente; e un discorso che, anche se oggi dopo più di trent’anni noi e (se fossero ancora con noi) i cantori useremmo forse altre parole, ci pare ancora sensato.
Così, la prima parte del primo dei due CD che presentiamo (tr. 1-17) è la riproduzione integrale del disco originale. La maggiore disponibilità di spazi del CD ci permette però di arricchirlo con una serie di tracce aggiuntive che rappresentano materiali che rimasero allora fuori del disco per varie ragioni. In primo luogo, alcune canzoni narrative e rituali, un po’ sacrificate dal taglio di ricerca/intervento; poi dei brani di Dante Bartolini e Trento Pitotti che erano stati inseriti in un altro disco (La Sabina) perché si riferivano a episodi della lotta partigiana in Sabina o perché quando lo conoscemmo il grande Trento Pitotti abitava a Labro, in provincia di Rieti.
Anche se il disco originario e i materiali aggiuntivi proposti in questo CD documentano una fase specifica della storia della ricerca sulla cultura popolare in Italia e un momento specifico della cultura popolare della Valnerina – sostanzialmente, gli anni ’70, che evidentemente non furono solo “anni di piombo” – tuttavia, questa storia non si esaurisce interamente con quella fase. Certo, molte cose sono cambiate. I grandi protagonisti – Dante Bartolini, Americo Matteucci, Trento Pitotti, Pompilio Pileri – sono tutti scomparsi. È scomparso il contesto sociale e politico da cui traevano senso le loro canzoni, i loro racconti, le loro passioni, il loro linguaggio: è scomparso il Partito Comunista (e ciò che ne ha preso il posto, bene o male che sia, sembra avere comunque meno capacità di evocare passione, partecipazione e speranza). Ed è scomparso il senso del futuro: quel senso che permetteva ad Americo Matteucci di proclamare “io sono sempre alla rivoluzione”, o che permetteva a Dante Bartolini, appena ricevuta la lettera di licenziamento nel 1952, di cantare “non è lontana la grande vittoria”. Perché anche la difesa del posto di lavoro gli sembrava comunque non solo una drammatica battaglia di sopravvivenza (come in buona parte sono stati, nella sua stessa fabbrica diventata ThyssenKrupp, i grandi scioperi del 2004-2005), ma un passo verso un mondo migliore, di cui lui e la sua classe erano gli araldi e i protagonisti (“il socialismo è la nostra speranza…”).
Oggi la musica popolare è studiata e praticata in modo assai meno improvvisato di come facemmo noi allora, ed è sicuramente meno marginale sia nel mondo universitario che in quello dello spettacolo. Ma sono decisamente più marginali nel mondo della politica e della partecipazione democratica quelli che ne erano allora i portatori, ed era questo che a noi allora importava, e che ci importa ancora oggi. Se è vero che, come diceva Woody Guthrie, “folk song is big if labor is big”, la musica popolare cresce se cresce il movimento operaio, è nelle trasformazioni delle forme dei rapporti e dei conflitti sociali, in un tempo in cui ci si ricorda degli operai solo quando muoiono bruciati vivi (e non sempre), che vanno cercate le ragioni della distanza che oggi sentiamo rispetto a quell’esperienza.
E tuttavia non tutto è scomparso. Sono il risultato e la continuazione di quella ricerca in Valnerina libri di storia orale che sono diventati canonici anche sul piano internazionale e la ricerca di Valentino Paparelli documentata nel volume con quattro CD, L’Umbria cantata. Risultati diversi, ma altrettanto importanti, sono quelli che quella ricerca ha fatto sentire nel tempo anche nel mondo del teatro. Su molte nostre registrazioni era costruita infatti la colonna sonora di Sirena dei mantici di Ascanio Celestini, Lucilla Galeazzi e Marco Gatti, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria nel 2003 e approdato in molti teatri italiani (e d’altronde all’inizio della sua carriera Celestini riproponeva brani del repertorio della Valnerina che aveva appreso dal disco del Canzoniere del Lazio). E anche Avanti pop dei Têtes de Bois, andato in scena tre anni più tardi “nei luoghi scomodi che hanno visto svolgersi e consumarsi le battaglie per il lavoro, intorno alle ombre del passato e dell’omertà e della speranza di oggi”, ha usato racconti e canzoni tratte dalla nostra ricerca. Tra quei luoghi, a Terni fu scelto per la rappresentazione il piazzale del Videocentro, ultima mutazione postmoderna di una fabbrica storica della città, le Officine Bosco, insieme alle Acciaierie la più prolifica “scuola di lotta politica e sindacale”. Era proprio il 12 dicembre. E quando Lucilla Galeazzi, nel freddo siderale di quella serata, attaccò la canzone forse oggi più nota ed eseguita di Dante Bartolini (Il dodici dicembre a mattina/ brutta sorpresa le nostre famiglie…) sui licenziamenti dei primi settecento operai alle Acciaierie nel 1952 molti occhi si inumidirono e molti sguardi si scambiarono cenni d’intesa.
Al di là dei cambiamenti, tuttavia, ricercatori di una generazione più giovane, come Alessandro Toffoli ed Enrico Grammaroli (del Circolo Gianni Bosio), hanno ascoltato in Valnerina segni non trascurabili di una tradizione musicale vitale e capace di innovarsi: ventenni campanari di Arrone che usano le campane della chiesa come strumento ritmico, un uso dell’organetto a Ferentillo da parte di un musicista giovane, più virtuoso ma forse meno creativo di Pompilio Pileri. E le canzoni di Trento Pitotti sono ricordate e cantate, a quarant’anni di distanza, dalle sue figlie, e appassionatamente conservate dai suoi nipoti. Certe volte, l’idea che la tradizione popolare si sia estinta o si stia estinguendo deriva solo dal fatto che in troppi hanno smesso di andarla a cercare.
Lo stesso senso di trasformazione, continuità e impatto culturale è alla base del secondo CD, dedicato alla riproposta dei repertori della Valnerina da parte di artisti del folk revival e della scena musicale: Giovanna Marini, Lucilla Galeazzi, il Canzoniere del Lazio (in due diverse incarnazioni), Piero Brega persino con gli Almamegretta, Sara Modigliani e La Piazza. In nessun caso si tratta di riproposte “filologiche”: per questo, esistono per fortuna le registrazioni originali. Si tratta invece del modo in cui questi suoni e queste parole hanno attraversato le barriere culturali, continuando a trasformarsi e diventando patrimonio di musicisti coinvolti, come i cantori e narratori originari, nell’impegno e nella speranza di un cambiamento sociale dove artisti come Trento Pitotti, Dante Bartolini, Luigi Matteucci e i loro compagni non siano più bollati come “subalterni” ma riconosciuti come cittadini e compagni di un mondo di esseri umani che vogliono essere liberi, diversi e uguali.
i 2 CD
CD 1
1 E prima di canta’ chiedo permesso 3.33
2 C’era una vecchia minigna scattecchia 0.54
3 E da piccolo fanciullo incominciai 1.51
4 Per primo seminai a Carbugnano 5.40
5 Marcia / Inno dei lavoratori 0.51
6 Su fratelli e su compagni 2.15
7 Otto settembre 1943 1.21
8 Non ti ricordi mamma quella notte 3.30
9 La Valnerina è il centro della lotta 2.50
10 Gente de Cerivoglio e di Pineto 2.30
11 Gesù mio son preparato 2.06
12 Cosa piangi mia cara Gemma 3.31
13 E lo sole quando leva la matina / Mazurka 2.11
14 Il dodici dicembre a matina 3.24
15 Praticamente, quando s’è parlato di questo sciopero… 2.37
16 Al seguito dei briganti vengono i tribunali 1.45
17 E io dormo tra le pecore e li cani 4.44
18 Campanari di Arrone 0.37
19 Già condannato in croce 2.11
20 Questo è il gruppo de la Valnerina 1.52
21 Ce so’ venuto da ’n lungo viaggio 2.27
22 E la povera Cecilia 3.25
23 Valzer 1.50
24 C’erano du’ sorelle 3.49
25 E le grazie a migliaia 4.26
26 Oggigiorno a piglia’ moglie 2.06
27 Non ti ricordi ancor del dieci marzo 3.36
28 Il quindici di agosto 3.08
29 E di novembre cascano le foglie 1.17
DURATA TOTALE 76.31
CD 2
1 La Piazza Stornelli di questua del maggio 6.03
2 Giovanna Marini C’era nu vecchiu 1.08
3 Almamegretta E da piccolo fanciullo incominciai 3.58
4 Giovanna Marini Carbognano 1.42
5 Piero Brega Non ti ricordi mamma quella notte 4.08
6 Lucilla Galeazzi Gente di Cerivoglio e di Pineto 3.43
7 Canzoniere del Lazio So’ stato alla montagna alla Sibilla 1.03
8 Lucilla Galeazzi Cosa piangi mia cara Gemma 3.09
9 Canzoniere del Lazio Lavoro tra le pecore e li cani 1.50
10 Lucilla Galeazzi Gesù mio son preparato 2.04
11 Sara Modigliani Passione nova 3.57
12 Canzoniere del Lazio Oggigiorno a piglia’ moglie 2.13
13 Lucilla Galeazzi Che vo’ sposa’ 3.17
14 Canzoniere del Lazio Processione 5.13
15 Lucilla Galeazzi Il 12 dicembre a mattina 3.26
16 Piero Brega Vile Tanturi 2.24
DURATA TOTALE 49.26
Fotogallery
Valentino Paparelli, già docente presso l'Istituto di Etnologia e Antropologia Culturale dell'Università di Perugia, ha svolto un'intensa attività di ricerca sul campo, pubblicando numerosi saggi sulla musica popolare tra cui L'Umbria cantata. Musica e rito in una cultura popolare.
Presidente del Circolo Gianni Bosio e docente di Letteratura americana all'università "La Sapienza" di Roma, Alessandro Portelli è uno dei principali esponenti della storia orale con opere diventate ormai dei classici come L'ordine è stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria.
Figura centrale di questo gruppo di cantori era senza dubbio, Dante Bartolini, militante comunista e partigiano, del quale si ricorda la grande abilità nell'improvvisare poesie e racconti in ottava rima, ma tutti i componenti del gruppo si contraddistinguevano per un alto livello della coscienza politica e per grandi doti creative e comunicative come nel caso di Amerigo Matteucci, operaio edile e sindaco comunista di Polino, i cui stornelli, "hanno la stessa vena satirica delle contemporanee vignette (allora) di Forattini e poi di Vauro” (…) un collegamento tra antico e moderno, in una contaminazione che vedeva la chitarra di Piero Brega ed il Canzoniere del Lazio affiancarsi alla voce di Amerigo Matteucci o la voce di Giovanna Marini confrontarsi con quella di Dante Bartolini, fino al Brecht messo in musica dagli opera delle Acciaierie. Salvatore Esposito, BlogFolk
La Valnerina ternana non è solo un'espressione geografica (...) ma molto di più. E' il luogo dove nasce l'idea dell'industria e la grande rivoluzione sociale di un territorio ai margini dell'Umbria e del Lazio che pesa nella storia italiana e segna il Novecento con i suoi grandi manufatti d'acciaio per l'industria bellica e e poi per quella degli anni della pace. (...) ripensare il lungo sogno di una città nel corso del Novecento, le vicende di così tante persone che in un secolo fanno un salto di mille anni, dagli altipiani dell'Appennino alla Valle del Nera portandosi dietro questi canti improvvisati che tutto spiegano e tutto rimescolano, storia e leggende, amore e violenza e soprattutto speranza, la speranza infinita e senza ombre dei giovani del secolo dal quale ci stiamo allontanando. Renzo Massarelli, Corriere dell'Umbria
È un vero e proprio viaggio questo volume-cd. Che illustra come i canti della questua tipici della tradizione contadina si sono piegati ai motivi della vita operaia nel momento in cui la fabbrica prendeva a sé le braccia che fino a poco prima avevano lavorato la terra. E prendeva così vita quell'impasto di fatica, voglia di riscatto e lotta che solo questi canti sanno spiegare fino in fondo. Quelle braccia erano anche cervelli, individualità che, grazie alla ricerca-intervento di Paparelli e Portelli, hanno acquisito una maggiore coscienza di sé, del fatto che erano portatori di concetti universali, altro che subalternità. Fabrizio Marcucci, Il giornale dell'Umbria
ci si interroga, anche, sulla possibilità di dare contezza e «parole per dirlo» con un affondo diretto nella contemporaneità. Il che significa, in pratica, vedere come reagisce il presente della musica, della cultura, della resistenza al pensiero unico nell'affrontare materiali apparentemente sepolti nel tempo e nello spazio. (...) da un lato la riproposta del disco pubblicato in origine da I Dischi del Sole nei primi anni Settanta, quando operai e contadini umbri andarono anche sui palchi d'Europa a raccontare un reticolo di storie chiuse nella forbice spietata di un territorio al contempo contadino e industriale, accompagnati dagli allora assai giovani esponenti del folk revival italiano, dall'altro un cd che ripercorre trent'anni dopo quelle tracce sedimentate. Guido Festinese, Alias
Un'esperienza esemplare, fondata sul principio che la ricerca sul campo in tema di musica e tradizioni popolari non dovesse restare confinata all'ambito dello studio ma avesse il dovere di porsi come fine anche quello di esercitare un'influenza sul contesto sociale attraverso l'acquisizione di una nuova consapevolezza da parte dei depositari della cultura esplorata. Così un gruppo di cantori uso ad esibirsi in osteria si ritrovò proiettato nei teatri d'Europa, facendosi portatore di un repertorio e di forme espressive che avrebbero lasciato un segno nella storia del folk revival (...). Un pezzo di storia Alessandro Hellmann Rockerilla