Giulia De Florio
Bulat Okudžava
Vita e destino di un poeta con la chitarra
2019, € 22
Formato 15x21, con fotografie di Roberto Coggiola e un CD allegato, pp. 128
In offerta con il 5% di sconto
Poeta, scrittore e autore di testi per il cinema e il teatro, Bulat Šalvovič Okudžava è conosciuto e amato in patria soprattutto come il padre della canzone d’autore russa, colui che per primo, in quella sterminata nazione di poeti, ha riportato la poesia alla sua originaria forma musicale, con esiti straordinariamente felici.
Le sue liriche si snodano lungo trame sottili che, alla semplicità di temi universali come l’amore e la guerra, annodano una fitta rete di rimandi e allusioni, stemperando in una dolente e malinconica ironia una materia biografica altrimenti incandescente perché lacerata da ferite e disillusioni patite innanzi tutto sulla propria pelle. Storie minime, a volte persino banali, affidate a melodie altrettanto semplici ma irresistibili, conferiscono alle sue canzoni un’eccezionale forza espressiva, elevandole al rango di capolavori da collocare di diritto nel pantheon mondiale della canzone d’autore, accanto a quelle di autori come Brassens, Ferré o Atahualpa Yupanqui.
La prima monografia italiana su un’icona della cultura russa e tra le espressioni artistiche più originali del Novecento, con scritti di Sergio Secondiano Sacchi e Alessio Lega, le fotografie di Roberto Coggiola e, nel cd allegato, l’inedito concerto che Okudžava tenne al Teatro Ariston di Sanremo nel 1985, quando per la caparbietà e lungimiranza di Amilcare Rambaldi gli venne assegnato il Premio Tenco.
Il volume nasce in contemporanea al cd-book di Alessio Lega, Nella corte dell’Arbat. Le canzoni di Bulat Okudžava
Ascolta Il soldatino di carta
Dall'introduzione
Ogni poeta non fa che parlare di sé. Ogni grande poeta, parlando di sé, racconta chi siamo. La parola di Bulat Okudžava si muove nell’impossibile equilibrio tra la storia individuale di un tempo e luogo preciso e le tragedie epocali del suo “secolo breve” (secondo la vulgata, e come lui stesso si compiace di chiamarlo), scorre libera tra passato e futuro, dice quel che abbiamo vissuto ieri e ciò che potrebbe accaderci domani. Da anni riconosciuto come padre della canzone d’autore russa, Okudžava non dà mai grande peso a ruoli ed etichette, preferendo definirsi semmai un “letterato”, un uomo che per l’arte e la cultura nutre un’ostinata venerazione. La parola di Okudžava che qui racconteremo è quella più viva, più urgente e assoluta, quella delle canzoni, della loro poesia precisa e assieme indiretta, ironica e nel contempo fortemente lirica. Quella che si adagia in melodie costruite su giri di accordi elementari, ma usati con estrema sapienza, che portano altrove l’ascoltatore, lo sommergono di una strana nostalgia del non provato.
(...) Entrare nell’universo poetico di Okudžava significa quindi esplorare pianeti molto diversi tra loro dove tutto è attraversato da una profonda coerenza e da un’urgenza espressiva che in mille rifrazioni non abbandona mai il poeta. La sua biografia, esistenziale e artistica, permette di raccontare una storia complessa: l’Unione Sovietica post-staliniana, quel groviglio di speranze, delusioni, cataclismi e rinascite esploso il 5 marzo 1953, alla morte di Stalin, il capo supremo che aveva segnato a sangue i trent’anni precedenti. “Disgelo”, “stagnazione”, “perestrojka” sono termini ormai noti per identificare processi multiformi, movimenti fluidi, assetti socio-politici in continua ridefinizione; di tutto questo Okudžava è testimone e profeta, antenna puntata sulla sofferenza, ma anche sulla speranza dei più. (...)
Dopo il 1953 Okudžava vede una realtà diversa da quella impregnata di ideologia bolscevica e di sincero amore per la causa che aveva onorato nei primi diciassette anni di vita, trascorsi tra Mosca e Tbilisi. Nato e cresciuto in una famiglia di alti funzionari del Partito, il suo mondo riceve il primo, violento scossone con gli eventi del 1937-38, gli anni del cosiddetto Grande Terrore. Il padre, georgiano purosangue, amico-maestro e figura di riferimento assoluto per Bulat, firma la propria condanna a morte nel 1931, quando insieme al fratello Michail si dichiara contrario alla nomina di Lavrentij Berija a segretario del Comitato centrale georgiano. I fratelli Okudžava non amano nemmeno Stalin, troppo rozzo e brutale, e ne pagano presto le conseguenze (...) Tutto questo ovviamente Okudžava non lo può sospettare, ma l’arresto della madre e la fucilazione del padre e degli zii lo hanno già strappato all’adolescenza e lo hanno spinto ad arruolarsi per il fronte, nemmeno diciottenne, con una duplice folle speranza: salvare suo padre, di cui verrà a sapere soltanto molto tempo dopo che era stato ucciso a pochi mesi di distanza dall’arresto, e togliersi di dosso l’onta di “figlio dei nemici del popolo”. Questi primi traumi marchiano il carattere già schivo e ombroso del giovane Bulat: rielaborare quel lutto privato – e al contempo nazionale – in una forma poetica dolce e disincantata, tornare dalla morte alla speranza, è il senso della sua vita e, forse, dell’arte in generale.
(...) Non è mai un dissidente tout court, anche se è amico di molti di loro; dal 1956 è iscritto al Partito e quando si accorge dell’errore è troppo tardi per tornare indietro. Tuttavia è costantemente sotto l’occhio vigile del KGB e, anche se inizia a cantare dagli anni Cinquanta, il primo disco “ufficiale” esce due decenni dopo. I concerti sono organizzati sempre al limite del consentito, in sale chiuse di Istituti (Università di Mosca, Istituto “Bauman”, Ministero delle telecomunicazioni e molti altri), ma stracolme di giovani e meno giovani che smaniano dalla voglia di sentirsi dire che cosa devono fare, come devono comportarsi. (...) Da subito il “georgiano con i baffetti” crea problemi: dice che la guerra è meschina, racconta storie piccole, comuni e insignificanti, nessuno capisce a nome di quale eroe sovietico parli quell’ometto secco con gli occhiali e la chitarra che è di solito molto tranquillo e posato, ma che al primo sentore di vigliaccheria e miseria morale sa essere cattivo quanto basta.
Le tensioni con le autorità raggiungono l’apice nel 1972, quando Okudžava sfiora l’espulsione dal Partito, in un momento molto difficile per lui e per l’intelligencija sovietica in generale: lo stato di fibrillazione ha esaurito la propria spinta propulsiva e le grandi speranze del disgelo cruščëviano sono svaporate; i ranghi si serrano e dalla repressione della primavera di Praga (1968) all’avvio della perestrojka (1986) scorrono i “lunghissimi anni Settanta”, passati alla storia come periodo della stagnazione (...)
Soltanto verso la fine della vita – che coincide con il crollo dell’Unione Sovietica e l’avvio della perestrojka, il momento più caotico del Novecento russo dopo la Rivoluzione – la bilancia che ha oscillato per anni tra speranza e disperazione, tra odio e pietà, sembra pendere verso il segno negativo. La salute cagionevole, le morti della prima moglie e del figlio maggiore, di cui si assume in parte la colpa, la dipartita di molti amici cari, emigrati all’estero o all’altra metà del cielo, sono ferite che non si rimarginano. Ma la dignità donchisciottesca con cui Okudžava affronta ogni prova resta inalterata fino all’ultimo, anche quando viene pesantemente criticato per non aver preso posizioni nette contro il presidente Eltsin, anche quando entra a far parte della Commissione per la grazia ed è tacciato di collaborazionismo con il governo, anche nella bufera della post-perestrojka il poeta non sceglie mai, frostianamente, la strada più facile. Curva un po’ la schiena, ma negli occhi il guizzo è sempre lo stesso, come il mezzo sorriso di chi ha perso l’età ma non la voglia di vivere.
Come Ivan Ivanvč rese felice un paese intero (Kak Ivan Ivanyč oščastlivil celuju stranu) è un racconto tardo di Okudžava in cui l’alter ego dello scrittore racconta il suo viaggio in Giappone; il protagonista nel tempo libero costruisce cornici di legno, oggetti semplici, all’apparenza inutili, che egli regala agli amici, ai conoscenti e ai conoscenti dei conoscenti e che donano una piccola felicità a chi le possiede. Le canzoni di Bulat Okudžava assomigliano a queste povere cornici di legno, sono un magnete che attira e crea i più disparati disegni con la polvere di ferro delle parole. Come guardando le nuvole, ognuno ci indovina quello che sente e non smette di sperare che dietro di loro si nasconda il sereno.
Il CD
Il concerto al Premio Tenco 1985
1 Presentazione (Antonio Silva) (0:02)
2 traduzione (Duilio Del Prete) (1:12)
3 Il soldatino di carta (1959) (1:32)
4 traduzione (Duilio Del Prete) (0:56)
5 Il palloncino azzurro (1958) (1:36)
6 traduzione (Duilio Del Prete) (0:59)
7 L’indizio (1983) (2:01)
8 traduzione (Duilio Del Prete) (1:28)
9 Canzone georgiana (1968) (2:35)
10 traduzione (Duilio Del Prete) (1:32)
11 Canzone della Mosca di notte (1962) (2:26)
12 traduzione (Duilio Del Prete) (2:45)
13 Anton Pavlovič Čechov (1982) (2:17)
14 discorso di ringraziamento di Bulat (0:51)
15 traduzione (Duilio Del Prete) (1:01)
16 Augurio agli amici (1975) (2:04)
17 traduzione (Duilio Del Prete) (2:15)
18 La preghiera di François Villon (1964) (3:37)
19 traduzione (Duilio Del Prete) (1:19)
20 Il Sole splende (1979) (2:26)
Un nastro da Mosca
(presumibilmente anni Sessanta, pubblicato in Italia nel 1965)
21 La vita del soldato (1960) (1:18)
22 Il gatto nero (1962) (0:56)
23 Canzone dell’Arbat (1958) (2:24)
24 Il soldatino di carta (1959) (0:59)
25 Il palloncino azzurro (1958) (1:00)
26 Tutta la notte hanno gridato i galli (1957) (1:14)
27 Canzone degli scarponi militari (1957) (1:42)
28 L’ultimo filobus (1957) (2:49)
29 Per la strada di Smolènsk (1960) (1:55)
30 La canzone degli stupidi (1960) (1:0
Indice del volume
7 Sergio Secondiano Sacchi, La lunga strada che portò a Bulat
15 Alessio Lega, Il primo dei bardi russi
29 Introduzione
38 Né georgiano, né armeno: dell’Arbat (1924-1940)
47 Guerra (1941-1945)
54 Mosca. La nascita del canta-poeta (1956-1965)
60 La prosa, la storia e i lunghissimi anni Settanta (1968-1983)
70 “Da dove comincia la patria…” (1983-1991)
76 Perestrojka (1991-1997)
84 EpIlogo. “A singular genius”
91 Riferimenti bibliografici
95 Il cd
113 Le fotografIe
Alcune foto di Roberto Coggiola
Docente di Lingua e Letteratura russa e traduttrice, Giulia De Florio si occupa di letteratura russa per l'infanzia, di canzone d'autore e di teoria e pratica della traduzione. E’ membro di Memorial Italia.
Quello che ci offre Giulia De Florio non è soltanto il racconto dell’avventura biografica del cantore dell’Arbat e nemmeno un’analisi – che pure non manca e che, nel fornirci un quadro d’insieme, non perde in accuratezza – dei suoi testi tanto narrativi quanto poetici e cantautorali. L’autrice ci guida invece attraverso un itinerario più ricco, che ha la sua ragion d’essere nel continuo dialogo con la cultura, la letteratura e la musica russe del Novecento Nike Gagliardi, Succede oggi
Il volume di Giulia De Florio è una buona occasione per avvicinarci ad una delle apicali voci del novecento, ad un artista che è - come scrive Alessio Lega- essenziale più alla nostra che alla sua epoca Mimmo Mastrangelo, Avvenire
una snella e documentata monografia che ripercorre la vita e l’arte del poeta-cantante, la prima in italiano. Il volume è completato dalla rimasterizzazione del citato Un nastro da Mosca 1960/1967 curato da Straniero e dalle registrazioni inedite del Premio Tenco 1985 (che sono senza dubbio la parte più emozionante di tutto il pacchetto) (...) Come pochi altri prodotti editoriali di questo genere, c'è da dire, si rimane rapidamente affascinati dalle vicende di Okudžava. L’anedottica spicciola rimane sullo sfondo, a vantaggio di una trattazione scientifica, per quanto condotta in tono divulgativo Jacopo Tomatis, Il giornale della musica
Un libro dialettico, abilmente attestato sui crinali della vita, del pensiero, delle espressioni e delle passioni artistiche, politiche, sociali, che segnano il percorso okudžaviano.(...) Che il dio della cultura possa rendere merito a tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno contribuito alla pubblicazione di questo volume Mario Bonanno, Solo libri
A Giulia il compito della narrazione poetica, la vita compressa, le intuizioni e le speranze mai sopite di questo cantore osteggiato e spiato dal KGB, censurato nei concerti per i brani antimilitaristi, per quelli che hanno al centro non un’ideologia ma l’essere umano con le sue debolezze e gli inevitabili errori, la supremazia della stupidità, l’assurdità del reale Alberto Marchetti, Vinile
Con la pubblicazione di questo volume si ripercorre la vita e la produzione di Okudzava, riportando fuori dall'oblio una figura importante della cultura del Novecento Riccardo Santangelo, Amadeus
La vita e il percorso artistico di uno dei primi cantautori russi, tra i massimi esponenti della canzone d’autore nel mondo, che ha scritto e cantato di vita, di morte e politica ai tempi dell’Unione Sovietica post-stalinista Internazionale
Un ottimo libro, veramente necessario, che ci aiuta a capire questo piccolo grande uomo russo. Una narrazione avvincente dove si mescola la storia politica di un paese, dagli anni del terrore alla Perestrojka, con le vicende pubbliche e private del cantautore, mescolate ai testi delle canzoni e a brevi racconti Marco Sonaglia, Il popolo del blues
A raccontare questo straordinario artista, oggi icona della cultura russa, è l’ottimo volume della slavista Giulia De Florio, (…) Una monografia che parla di letteratura e di storia dell’URSS, ma che dà conto pure di come qui in Italia abbiamo conosciuto (tra ingenuità, ignoranza e distorsioni) la carriera di questo poeta e cantautore (…). Con una scrittura qualificata, accorta e puntuale ma anche piacevolmente divulgativa, restituisce pienamente la figura di Bulat tra biografia, testi delle canzoni, storia politica e culturale sovietica Ciro De Rosa, Blogfooolk