Antonio Dambrosio Ensemble con Nichi Vendola
Sempre nuova è l'alba
Omaggio in musica a Rocco Scotellaro
2007, € 16.50
Formato 14x19, pp. 92
In offerta con il 5% di sconto
Per archi, fiati, percussioni, piano e voci e con la partecipazione straordinaria di Nichi Vendola, una coinvolgente partitura musicale, in cui sonorità jazz si intrecciano con echi del mondo popolare, rende omaggio a una delle figure più emblematiche di un'irripetibile stagione di impegno meridionalistico dove l'attesa di un riscatto collettivo scaturiva anche da una personale smania di vita.
Facendo tesoro delle sue precedenti esperienze, che l'hanno visto impegnato come percussionista in due album della Dolmen Orchestra o con l'Alma Dançante Sextet, Dambrosio lascia che la musica porti la parola poetica, la accompagni, la valorizzi. Utilizzando gli strumenti a disposizione con grande finezza, facendo ricorso al "totale" e scomponendo l'ensemble in geometrie variabili (dal quintetto d'archi al duo clarinetto basso/violoncello) crea così "songs senza canto" dove la parola letta e declamata dà vita a raffinati melologhi, accostata a una musica che insegue la melodia larga e cantabile.
L'Ensemble è composto da Matilde Bonaccia e Francesco Tammacco (voci recitanti), Achille Succi (clarinetto/sax alto), Vittorino Curci (sax alto), Nicola Pisani (sax soprano/baritono), Giuseppe Amatulli (violino), Vanessa Castellano (violino), Domenico Mastro (viola), Vito Amatulli (violoncello), Camillo Pace (contrabbasso), Pasquale Mega (pianoforte), Pino Basile (tamburi a cornice, cupa cupa), Antonio Dambrosio (batteria e percussioni)
Con le foto realizzate da Arturo Zavattini a Tricarico nel 1952 e scritti di Franco Vitelli, Fabrizio Versienti e Raffaele Nigro "attorno a Scotellaro".
Ascolta il brano Lucania
Leggi l'introduzione di Franco Vitelli
Scotellaro ritorna. In verità, la sua fortuna non si è mai interrotta, anche quando la parola d’ordine che partiva dalle centrali del Potere voleva mettere a tacere una voce e un’esperienza di libertà. Si è registrata una singolare divaricazione tra le pretese di stabilire dall’alto il movimento della storia con annessi indirizzi nel campo letterario e la richiesta spontanea del popolo dei lettori attestato in sintonia con il ragazzo di Tricarico. Un’affinità elettiva che ha visto in prima fila soprattutto i giovani sensibili per virtù di uno slancio che anela all’azione e al riscontro di comportamenti coerenti.
Mi piacerebbe ricostruire gli anni della resistenza alla macchia, quando, a dispetto di discutibili politiche editoriali, poesie e racconti passavano da una mano all’altra in ciclostile; e non era faccenda che albergava solo nei covi della sinistra intellettuale. Né il fenomeno si restringeva all’area meridionale, ché nella sua pervasività toccava il Nord e il Sud, l’Italia e i paesi stranieri. Di sicuro c’è però da riconoscere che un formidabile canale di diffusione era/è rappresentato dalla folta schiera dei meridionali migranti che ritrovano in Scotellaro lo spazio-tempo della loro identità messa a dura prova dalle continue traversie. Quanto più incombe la dispersione, tanto più suona di conforto e torna d’aiuto la parola del sindaco-poeta. Proveniva da una civiltà arcaica ormai aperta alla storia e la sua morte prematura è apparsa come la metafora di un processo spezzato, le cui conseguenze s’avvertono ancora. E chissà se la persistenza del “primitivo” che è in noi non agisca da calmante alla cinica arroganza della ragione calcolatrice e sprezzante dell’umano. Nessuna nostalgia passatista, solo un invito alla coscienza del limite che deve governare la società del postmoderno, pena lo scivolamento verso un’apocalisse senza escaton.
Scotellaro ritorna, dunque. E questa volta con le sembianze di un audiolibro, in cui molta parte ha la musica. Ricordo come fosse ieri, ma è passato qualche decennio, quando Linuccia Saba alla mia tesi di una perfetta musicabilità di Scotellaro rispose con la consueta generosità, donandomi lo spartito di Mauro Bortolotti intitolato “Tre poesie di Rocco Scotellaro per Voce, Clarinetto, Pianoforte”. Il lavoro risaliva al 1957 e portava la dedica a Carlo Levi; la scelta del Maestro era caduta su Desiderio, O Fons Bandusiae e Due eroi.
Credo che questo materiale sia stato pubblicato e in ogni caso non toccherebbe a me entrare nel merito; vorrei piuttosto riprendere il discorso sul rapporto tra Scotellaro e la musica. Può configurarsi nella duplice accezione della tecnica interna alla versificazione e del rispecchiamento di una civiltà. L’andamento ritmico del verso riflette quasi una musicalità congenita che discende dalla sua originaria matrice popolare e da una risentita forza di oralità; ciò non vuol dire il misconoscimento dell’elemento colto, semplicemente l’indicazione di una priorità che s’intreccia in fase elaborativa con i modi e le forme della tradizione letteraria. È l’originale impasto poetico che caratterizza la cifra scotellariana e ne determina la significatività storica. La poesia diviene il respiro antropologico di una civiltà e perciò consustanziale alla vita del mondo contadino.
Scotellaro prospetta una lontana origine mitica, una specie di predisposizione al canto -insieme poesia e musica-, che sarebbe costitutiva della tradizione lucana; e ciò si trasforma addirittura in centro d’attrazione per il viaggiatore: “Venite a scoprire i sacri altari/ ove è sommersa l’anima d’un arabo/ del greco che si mise/ la prima volta a cantare”. Questa duplice componente appare visibile nella “canzone araba” che diventa patrimonio degli zingari e, soprattutto, nella celebrazione dei “padri” che “vennero a stare ai lidi, sui monti/ e si misero a cantare”; e dal mare Jonio “a Olimpia chiamavano il loro Dio”. Qui si fonda un archetipo, che in Omero ha il cantore nomade nella miseria, progenitore ideale per chi si faccia poeta del riscatto dalle servitù. La canzone accompagna la lotta contadina, rappresentando il momento liberatorio e gioioso, di aggregazione vitale; tant’è che la triste epopea dell’esodo non può che avvenire in un silenzio assorto, pensoso dell’avvenire incerto: “Il paese mio si va spopolando, imbarcano senza canzoni/ con i nuovi corredi di camicie e mutande i miei paesani”.
“La musica è la cinica risata/ della civetta spia d’ogni casa”: siamo in una dimensione più propriamente antropologica, che comporta la valorizzazione di strumenti e canti tradizionali. È senz’altro l’aspetto più perspicuo e caratterizzante:“antiche zampogne”, raganelle, “assonnate tiritere con zampogna e tamburino”, clarini e suoni di bande alle feste del paese, fisarmoniche. Si unisce un visibile tormento del paesaggio funestato dal suono delle campane che, anziché trasmettere messaggi di pace, rendono gli uomini “più lupi di prima”; ma non manca l’accenno di un idillio turbato in cui vibrano “lo zirlio dei grilli” e “il suono del campano”.
Fa un certo effetto notare che in questo specifico campo Scotellaro esibisce una certa resistenza alla modernità; il jazz ha tramato dapprincipio la vicenda d’amore, ma poi quelle note “han segnato un destino di noia […] con musica ossessa”; e, ugualmente, “la canzone del disco non li tocca/ che li reclama ai posti del caffè”: i muratori nella siesta sono diffidenti, non si riconoscono nei valori di un mondo a loro sconosciuto; o, su un piano più intellettuale e morale, per i giovani facilmente bohémien ed esistenzialisti “una canzone è per covare insano amore/ contro le ragazze cioccolato”. Si potrebbe dire che queste posizioni sono l’altra faccia di un atteggiamento di conservazione e difesa che paventa i rischi del consumismo e perciò si scaglia contro le “lucide vetrine” dei negozi, la pubblicità, i templi della moda.
L’idea di proporre un’antologia di poesie “dette”, in complementare accordo musicale, è stata felice anche nei criteri di scelta. Non tanto per la spettacolarizzazione dell’evento, che pure c’è ed è coinvolgente, quanto per l’indubbio risultato interpretativo. Recitare un testo significa interpretarlo, a volte in forma anche più produttiva del commento. Inutile nascondere che Scotellaro è autore a rischio di forzature, di retorica che porta dritto al tono gridato. Bisogna dare atto ai lettori di aver saputo cogliere la natura diversa dei testi, imprimendo a ciascuno il giusto significato.
Mi ha colpito in senso positivo la chiave di lettura dei versi famosi in esergo alla leviana edizione di È fatto giorno nonché di Sempre nuova è l’alba: in ambedue i casi è stata bandita la tentazione rivoluzionaria per privilegiare rispettivamente la gioia pensosa dell’entrata in gioco dei contadini meridionali e la dolce elegia della tregua che non vieta un’esatta comprensione storica.
Matilde Bonaccia e Francesco Tammacco, due bravi attori professionisti, conoscevano le insidie del mestiere e vi hanno per tempo trovato rimedio. Il più esposto, invece, era lui, il Governatore di Puglia Nichi Vendola, che naturaliter poteva sovrapporre la sua esperienza pigiando oltre misura sul tasto del politico; forse per contrappasso è venuta in soccorso la natura del poeta. In questo si è distinta la sua interpretazione: l’equilibrato candore dell’innocenza.
il CD
Suite per Rocco (CD) 40:11
1. Lucania 2:58
2. È fatto giorno 1:14
3. Sempre nuova è l’alba 2:30
4. Noi che facciamo? 3:27
5. Campagna 2:39
6. Passaggio alla città 2:28
7. La città mi uccide 6:03
8. Ricordi 0:40
9. Ti rubarono a noi come una spiga 4:32
10. Pozzanghera nera il diciotto aprile 1:35
11. Casa 3:07
12. Appunti per una litania 7:16
13. Sempre nuova è l’alba 1:37
Le fotografie di Arturo Zavattini
Un momento dello spettacolo dalla prima di Tricarico
Antonio Dambrosio, musicista impegnato da anni nel jazz ma sensibile anche ad altri linguaggi espressivi ed artistici, svolge la sua attività in campo concertistico e didattico.
Nichi Vendola come Kerouac e Ginsberg. Nella mente i reading della «beat generation», ma nel cuore i versi di Rocco Scotellaro, consegnati al jazz identitario del percussionista e compositore di Altamura Antonio Dambrosio (...) pezzi di un puzzle della memoria che riconsegna all'ascoltatore il mondo contadino di un protagonista assoluto della cultura e della tradizione meridionale. Francesco Mazzotta, Il corriere della sera
La voce - inconfondibile, per via della esse sibilante - ha un sapore antico. Come quei versi che scandisce con un filo di tristezza. Nichi Vendola, il poeta governatore, legge Rocco Scotellaro, il poeta sindaco scoperto da Primo Levi (...) Un progetto che porta la firma di un altro poeta della politica: Vittorino Curci, assessore alla Cultura nella giunta provinciale di Bari, il padre dell´iniziativa insieme con Antonio Dambrosio, musicista di Altamura. Dambrosio ha composto tutti i brani del disco ("tranne una melodia popolare lucana che ho riarrangiato"), in cui suona la batteria e le percussioni con lo stesso Curci (sax alto) e gli altri componenti del Dambrosio Ensemble. Gianni Messa, La repubblica
Testi, riflessioni ma anche una sorta di sorprendente "oratorio laico" aperto concepito dal jazzista Antonio Dambrosio con quintentto d'archi, le voci degli attori Matilde Bonaccia e Francesco Tammaco, e quella, inaspettatata, di un altro "amministratore poeta", Nichi Vendola. Il filo rosso della storia è in mani salde. Guido Festinese, Alias