Otello Profazio
L'Italia cantata dal Sud
L'Italia cantata dal Sud
2011, € 18
Formato 14x19, 22 disegni e foto in b/n, pp. 120
In offerta con il 5% di sconto
A quarant'anni dalla prima edizione, l'opera più ambiziosa di Otello Profazio che, con brani ispirati ai repertori popolari e composizioni originali, anima un racconto in musica dei moti di unificazione nazionale, ripercorsi secondo gli stati d'animo e i sentimenti delle genti meridionali.
Tra ironia ed epica, si delinea così una dolente "controstoria" dell'Unità d'Italia che, con la rappresentazione di un Meridione precipitato in un'immobilità quasi metafisica, sopravanza le ricorrenti quanto strumentali rivisitazioni delle vicende risorgimentali.
Con la presentazione originaria di Carlo Levi, scritti di Domenico Ferraro e Giancarlo Governi, un apparato d'immagini tratto da un popolare periodico di fine ‘800 e nel CD, in aggiunta aL'Italia cantata dal Sud, un brano del 1967, Parlamento, parlamento, e una versione di Guvernu ‘talianu con Daniele Sepe e l'Art Ensemble of Soccavo.
Ascolta il brano Guvernu 'talianu
Leggi l'introduzione di Carlo Levi
Dal patrimonio sterminato della poesia e della canzone popolare delle terre del Sud, Otello Profazio, che vi ha raccolto, con intelligente amore, una grande quantità di documenti preziosi, solo in parte pubblicati, interpretati e fissati nei suoi dischi ben conosciuti, ha voluto questa volta trarre una scelta organica, che comprende più di un secolo di tempo, a esprimere e raccontare, nel breve spazio di un disco, le vicende del Mezzogiorno diventato Italia e messo a confronto non solo con i suoi antichi problemi, ma con quella nuova condizione.
Condizione che appare ancora, come dice lo stornello con cui si apre e si chiude la raccolta, un “fatto strano”. E un fatto strano, un avvenimento, come tutti gli altri, estraneo, non può non essere anche l'Italia, veduta non tanto dal Sud quanto da quel particolare punto di vista da cui partono questi canti. E' il punto di vista, in sé immodificabile e indifferente, di una classe popolare subalterna, di un popolo, più che sottoproletario, preproletario: per il quale perciò questa sintesi storica di un secolo, dai Borboni agli ultimi fatti modernissimi di governo e di mafia, non può essere veramente storia, ma un seguirsi, identico attraverso il tempo, di fatti, dolori, sventure, oppressioni, ribellioni, attese, speranze, momenti del destino, tutti ugualmente esterni, dove la storia passa altissima e remota, come una nuvola in un cielo mitologico.
Questa comune, e autentica, base prestorica da cui nascono le canzoni, permette giustamente a Otello Profazio di mettere insieme canti anonimi raccolti dalla tradizione orale, tramandati da più generazioni, e poesie recenti, come quelle di Ignazio Buttitta, che pure i cantastorie cantano sulle piazze dei villaggi di Sicilia come cronache antiche di moderni paladini e dell'eterna lotta del Bene e del Male; o quelle dello stesso Profazio. Questa atmosfera di cronaca eterna permette all’Autore di scegliere liberamente tra le varie versioni secondo i modi naturali della sua voce e del suo canto pieno di grazia e di misura, e di cercare, senza offesa alla filologia, di rendere il canto chiaro e comprensibile al di là della stretta ferocia dialettale.
In questa immobilità secolare i modi dell'immaginazione, e i moduli del canto, non possono non restare sostanzialmente identici: la sofferenza ha sempre la stessa voce, e anche l'eroismo ha la stessa voce. La "palumbeddha janca" soffrì, cosi come soffre con la "carogna re" di allora come "cu' 'nfami e carognuni" della "bella Sicilia" di oggi.
I felici momenti di liberazione confinano con quelli della tragedia e della morte. Garibaldi è un Arcangelo, un Gesù Cristo: e anche Turiddu Carnevale, il giovane sindacalista contadino ucciso dalla mafia sotto il castello di Sciara, è un Angelo e un Cristo. Garibaldi è anche un paladino, con cui, come coi paladini, ci si può permettere perfino una qualche comica familiarità. Ma, passato Garibaldi, rimane la leva, rimangono le tasse del governo italiano: cambiata la bandiera, ritorna lo stesso peso del destino: e non rimane altro che la rivolta del brigante, o la fuga dell'emigrante.
Ma il brigante qui cantato, Nino Martino, non è neppure un vero brigante. E' il brigante mitologico calabrese, il Santo Martino, il santo dell'abbondanza contadina, che, dietro la botte della cantina materna dov'era seppellito, versava per sempre, con un sarmento che teneva in bocca, il vino, fino dai tempi del principe d'Acri e della principessa di Bisignano. La parte della leggenda scelta da Profazio è la prima: quella del brigante generoso coi poveri e feroce coi malvagi. E cosi l'emigrante, che pure è quello della grande emigrazione in America del primo decennio del secolo (non quello di oggi, che ha preso coscienza di sé e delle possibilità della sua forza nuova), è ancora l'eterno marinaio della poesia calabrese antica, che, mentre “'a varca de lu puorto si prepara”, saluta la sua bella “pe' fari sa partenza amara e crura”, adattata a una nuova condizione umana di esilio.
In questa realtà permanente, dove anche l'eterna vicenda dei poveri e dei ricchi si dissolve nella saggezza ironica e amara di una trascinante cantilena, escono come lampi momenti lirici e tragici, come l’attesa del giorno del Giudizio nel paese degli zappatori senza terra e senza pane, che non hanno né oggi né domani; e momenti di protesta desolata, come i canti della scuola fatta soltanto per duchi e baroni, e il lamento dello zappatore che non era stato mandato a scuola; e la splendida, violenta satira della misera burocrazia meridionale che prolifica da ogni parte, col mestiere della penna e del calamaio cui l’ha spinta la “mamma illusa” nella sua casa di fango; fino all’asciutta, tremenda fanfara denunciante e sconsolata della mafia, col suo agghiacciante ritornello, dalla dolcezza di serpente: "Mamma cumanna: picciotto, va' e fa'!...”. Così, a contatto con il "fatto strano" della storia, nel suo tempo senza tempo, la colomba bianca continua a soffrire, e a cantare.
il CD
1. Fatto strano 0:38
2. La Palumbeddha janca 3:07
3. Ballatella contro i Borboni 2:32
4. Garibaldi popolare 2:25
5. Giuseppe Emanuele 2:09
6. La leva 1:43
7. Guvernu ‘talianu 2:32
8. Ballata campestre
per Nino Martino, brigante 4:05
9. Lu me’ paisi 2:03
10. La mamma illusa 1:21
11. La scuola 0:56
12. Lamento di zappatore 1:06
13. Poveri e ricchi 3:54
14. La canzone dell’emigrante 3:15
15. La mafia 2:56
16. Lamentu pi la morti
di Turiddu Carnivali 4:48
17. Addio bella Sicilia 1:26
18. Fatto strano 0:38
Bonus track
Parlamento, Parlamento 1:41
Guvernu ‘talianu 4:32
(con Daniele Sepe e l’Art Ensemble of Soccavo)
Durata totale: 47:57
Il fondale del Teatro dei Pupi di Casa Museo Uccello
Da L'iLlustrazione italiana
Otello Profazio è uno dei più noti esponenti del folk revival italiano, autore di brani divenuti ormai dei classici nei repertori della "nuova" musica popolare.
L'opera più ambiziosa di Otello Profazio e certo tra le più riuscite, entrata di diritto nella storia della discografia popolare italiana, torna disponibile in un'affascinante e assolutamente riuscita nuova edizione libro/CD grazie all'intraprendenza di Squi[libri], casa editrice romana che negli ultimi anni si è imposta per le ottime pubblicazioni e per la sensibilità nel recupero di materiali folclorici di prim'ordine. (...) disco importante e originale, documento di un'epoca in cui il folk tentava, spesso riuscendovi, di raccontare l'Italia delle classi subalterne senza l'urgenza di dover inseguire le nefaste logiche di mercato. Con i diciotto pezzi dell'album, Profazio decise di leggere a suo modo l'epopea risorgimentale, dalla parte del sud, appunto, oltre le retoriche di rito che anche di recente hanno investito il nostro Paese lasciandoci, al solito, alquanto sconcertati. Luca Ferrari, Folk geneticamente modificato
Profazio ripercorre le vicende risorgimentali – in un viaggio musicale per voce e chitarra ricco di contenuti ma comunque di grande gradevolezza - dal punto di vista delle genti meridionali (e siciliane in particolare), di cui cerca di rappresentare gli stati d’animo e i sentimenti di fronte a questo decisivo avvenimento storico, che suscita enormi aspettative ma che produce presto, soprattutto nella fasce più disagiate della popolazione, grandi delusioni, a partire dagli inasprimenti fiscali, a cui è dedicata Guvernu ‘talianu, celeberrimo e sempre attuale inno contro le tasse dall’irresistibile ritornello. Vincenzo Santoro, Il Paese Nuovo
Profazio racconta di un Meridione che non trova spazio sui libri di storia e di un popolo che esprime attraverso il canto i sentimenti più veri e profondi , senza mediazioni e sconti per nessuno, compreso quel Giuseppe Garibaldi che tante speranze aveva suscitato tra i contadini e il sottoproletariato. Non è quindi un "istant book" che sfrutta un particolare momento storico, ma è il risultato di una lunga e meditata ricerca, selezione e riproposizione di canti della tradizione e d'autore, che raccontano con disincanto e senza retorica come hanno vissuto quegli eventi le popolazioni del Sud. Il cantastorie
malessere e rabbia popolare sull'Italia unita vissuta con la disillusione delle classi povere e tradite del Meridione, da un sud vissuto. Stefano Miliani, L'unità
una pietra miliare della nostra storia cantata, il famoso lavoro di questo poeta e cantastorie "laureato in poseisa popolare calabrese con accompagnamento di chitarra". La dolente controstoria dell'Unità d'Italia si sposa con le rivisitazioni delle vicende risorgimentali in brani diventati dei classici Viva Verdi
Una manciata di canti scarnificati, dolenti ed epici, imprevedibili e caustici, sfilano come grani di un rosario rendendo conto del radicato sentimento popolare di disincanto nei confronti di un potere autoritarioed estraneo e ridefiniscono i contorni della storia d'Italia rispetto alla versione agiografica cristalizzata nei libri di testo (...) e offre un chiaro esempio di come la cultura e la storiografia popolare siano in grado di superare in profondità e verità le loro pallide e distorte versioni ufficiali. Alessandro Hellmann, Rockerilla
un iter doloroso di speranze perdute, senza rimpianto però per i signori di un tempo, un iter di canti duri resi più duri dalla pregnanza di un dialetto che rende però tutto il fascino della cultura popolare del Sud Sergio Leone Il corriere della sera