Vincenzo Santoro
(a cura di)
Memorie della terra
Racconti e canti di lavoro e di lotta del Salento
2010, € 16
Formato 14x19, 13 foto in b/n, pp. 80
In offerta con il 5% di sconto
Nell'intreccio di musica tradizionale e racconto orale, un viaggio nella memoria del lavoro nel Salento della prima metà del Novecento, dalla "rivolta di Tricase" del 15 maggio 1935, con la feroce repressione di una manifestazione di piazza delle tabacchine dello stabilimento "Acait", all'occupazione del feudo d'Arneo nel 1949-51, la più eclatante delle azioni intraprese dal movimento sindacale e contadino.
Attraverso la viva voce dei protagonisti e un ricco apparato di immagini, si delinea così un vivido spaccato su un'indimenticabile stagione di lotte sociali che, nel cd allegato, restituisce all'ascolto anche la ruvida materialità di canti e musiche di straordinaria bellezza ma ricolmi di aneliti di riscatto, di cui si è perso persino il ricordo nelle levigate operazioni di riproposta dei repertori popolari salentini.
Nel cd
Vincenzo Santoro, Anna Cinzia Villani: voci narranti
Anna Cinzia Villani: voce, organetto diatonico, tamburello
Daniele Girasoli: voce, tamburelo, cucchiai, cupa-cupa
Maria Mazzotta: voce, tamburello
Enrico Noviello: voce, chitarra, chitarra battente, tamburello
Ascolta il brano Le tabbacchine di Aradeo
Leggi l'introduzione
L’idea di Memorie della terra nasce fondamentalmente da due esigenze. Da una parte si voleva tradurre in una forma “spettacolare” il materiale narrativo frutto di due distinte ricerche sul campo, che hanno documentato, utilizzando la metodologia della “storia orale”, la stagione delle lotte contadine e del tabacco nel Salento[1]. In particolare, di queste vicende, lo spettacolo seleziona un “percorso della memoria” che parte dalla “rivolta di Tricase” del 15 maggio 1935 - in cui una manifestazione di piazza delle tabacchine del locale stabilimento “Acait” venne repressa nel sangue dal regime, lasciando sul terreno cinque morti e diverse decine di feriti - prosegue con la ripresa delle lotte sindacali nel dopoguerra, che ebbero come indiscusse protagoniste le operaie tabacchine, e si conclude con l’occupazione del feudo d’Arneo nel 1949-50, la più ardita tra le azioni intraprese dal movimento contadino salentino. Il testo dello spettacolo è quindi il risultato di un “montaggio” di frammenti narrativi ripresi dalla viva voce dei protagonisti, che nella loro articolazione dispiegano un “racconto corale” delle lotte della terra nel Salento.
L’altra esigenza era quella di rivolgere uno sguardo anche a una forma specifica della tradizione musicale di questo territorio: quella attinente al “lavoro”, dai canti eseguiti durante i lavori agricoli, fino ai veri e propri canti di tema politico e sociale, che spesso furono “composti” proprio in occasione delle manifestazioni contadine, di cui costituirono una sorta di colonna sonora.
Come è noto, in questi ultimi anni il Salento è stato l’epicentro di un tumultuoso fenomeno di ritorno di interesse per le tradizioni coreutiche e musicali. Al di là degli innegabili risvolti positivi di questa vicenda, di cui chi scrive si è estesamente occupato in un’altra pubblicazione[2], la turbinosa “rinascita” della musica popolare salentina ha prodotto diffuse mistificazioni sui caratteri propri della “cultura contadina” che è stata oggetto dell’operazione di “recupero”. In estrema sintesi, ha prevalso l’immagine di un mondo contadino bucolico e pacificato, pervaso di pratiche e significati magici, dimenticando le accezioni negative che tali usanze avevano per i suoi protagonisti concreti (emblematico è proprio il caso del fenomeno culturale del tarantismo, trasformato da simbolo di dolore e sofferenza sociale in una sorta di feticcio new-age funzionale allo “sballo”), e rimuovendo anche la memoria delle condizioni reali in cui si trovavano a vivere i contadini, che nella maggior parte dei casi conducevano una vita di stenti e di fatica, sottoposti a sfruttamento e umiliazioni continue da parte dei pochi proprietari terrieri e notabili locali che avevano saldamente in mano le redini del potere economico e politico. In conseguenza di questa “ignoranza” delle condizioni reali di vita dei contadini, e dunque dell’endemico conflitto sociale che questa situazione drammatica ha provocato per decenni nelle campagne, il revival musicale salentino degli ultimi due decenni ha rivolto la sua attenzione soprattutto alle parte della tradizione musicale più legata alle occasioni ludiche, dando pochissima attenzione al repertorio dei canti di lavoro e di lotta. In questo la generazione della pizzica si è distaccata profondamente dalla lezione dei “padri” degli anni Sessanta e Settanta, in cui invece era proprio una forte lettura politica del rapporto tra cultura contadina e cultura borghese a dare le motivazioni più profonde all’operazione di recupero e riproposta del patrimonio musicale tradizionale.
Questa rimozione è ancora più singolare perché si parla della Puglia, terra di epiche (e spesso sanguinose) lotte per la terra, dove nacque e operò per molti anni una figura di assoluto rilievo come quella di Giuseppe Di Vittorio[3]. Ma anche il Salento è stato teatro certo non periferico dello scontro di classe nelle campagne, soprattutto nel dopoguerra, con la lotta delle tabacchine e l’occupazione delle terre, che coinvolse moltissimi contadini, anche non direttamente politicizzati[4].
In Memorie della terra abbiamo cercato di recuperare e riutilizzare, alternandoli ai frammenti di racconto, alcuni dei canti di questo repertorio “politico e sociale”, adattandoli alle esigenze dello spettacolo. Troviamo quindi una serie di canti che esprimono il disagio per le condizioni di lavoro nelle campagne (Lu sule calau calau, Fimmene fimmene, La tabbaccara); altri che si riferiscono direttamente alle lotte politiche e sindacali (La Ceserina, nella versione “modificata” negli anni Settanta, Madonna mia ce sta succede, che verosimilmente veniva usato nel corso delle campagne elettorali, Le tabbacchine di Aradeo, Malidettu lu Cinquanta, e il bellissimo Canto dell’Arneo, composto dai contadini durante i giorni dell’occupazione di quel feudo); due canti sull’emigrazione stagionale che vedeva coinvolti tantissimi contadini che si recavano in luoghi anche molto lontani per coltivare il tabacco (La cupa cupa vene de Pasticcia e Masseria Stanese); un canto del carcere (Canaja canaja) e un canto funebre, che abbiamo inserito come collegamento alle vicende narrate.
Infine, nell’ultima parte dello spettacolo, abbiamo utilizzato anche degli stralci degli articoli che furono scritti ai tempi dell’occupazione dell’Arneo da Vittorio Bodini, sommo poeta salentino, che rappresentano tra l’altro degli straordinari esempi di scrittura civile[5].
Con questo lavoro si vuole offrire un piccolo contributo al ricordo di questi avvenimenti e ringraziare, in qualche modo, i loro protagonisti, che ci hanno consegnato un mondo migliore, più civile e progredito, nella speranza, forse mal riposta, che le generazioni successive riuscissero ulteriormente a migliorarlo.
[1] In particolare Grazia Prontera, Una memoria interrotta. Lotte contadine e nascita della democrazia. Il Salento 1944 -1951, Aramirè, Lecce, 2004 e Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, Il Salento levantino. Memoria e racconto del tabacco a Tricase e in Terra d’Otranto, Aramirè, Lecce, 2005
[2] Vincenzo Santoro, Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, Squilibri, Roma 2009.
[3] Sulla memoria delle lotte bracciantili nel Nord Puglia e dell’attività politico-sindacale di Giuseppe Di Vittorio Cf. Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero, La memoria che resta. Vita quotidiana, mito e storia dei braccianti nel Tavoliere di Puglia, libro con due CD, Edizioni Aramirè, Lecce 2004
[4] Emblematico è il racconto del grande “eroe della pizzica”, Uccio Aloisi, che in giovane età partecipò all’occupazione delle terre nel feudo di Cutrofiano, contenuto in Uccio Aloisi, I colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare, a cura di Roberto Raheli, Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, libro con due CD, Edizioni Aramirè 2004, p. 99-102.
[5] I due articoli contenenti la cronaca dell’occupazione dell’Arneo, “L’aeroplano fa la guerra ai contadini” e “L’Arneide, ultimo atto”, scritti per la rivista Omnibus, sono stati ripubblicati in Barocco del sud, Besa editore, Nardò 2004.
il CD
1. Lu sule calau calau 2:04
2. Il tabacco nella nostra famiglia 3:57
3. Fimmene fimmene 1:40
4. Come si coltivava
questo tabacco? 2:47
5. Masseria Stanese 3:25
6. È statu subitu dopu a guerra 1:28
7. La cupa cupa vene de Pasticcia 2:47
8. Mio padre è stato direttore
dell’Acait 2:44
9. La tabbaccara 3:55
10. Era il 15 maggio del 1935 5:40
11. De ddhu se partìu stu lepure 1:27
12. Qua venivano tutti a medicarsi 5:23
13. La Ceserina 4:20
14. Allora quando è caduto
il fascismo 1:37
15. Madonna mia ce sta succede 1:39
16. L’undici aprile 1948 1:12
17. Le tabbacchine di Aradeo 3:58
18. L’Arneo è un grosso bubbone 2:41
19. Canaja Canaja 2:52
20. L’usciere getta un’occhiata 2:41
21. Canto dell’Arneo 2:02
Durata totale 60:19
Fotogallery
Un momento dello spettacolo
Responsabile dell'Ufficio Cultura dell'A.N.C.I., impegnato da anni nell'organizzazione di iniziative ed eventi sulle musiche e culture popolari del Mezzogiorno, Vincenzo Santoro ha pubblicato numerosi saggi e volumi sulle tradizioni musicali del Salento.
un racconto a più voci di esperienze e vissuti che hanno come comune denominatore storie intrecciate alle foglie di tabacco, alle campagne, ai braccianti, alla fatica, ai soprusi, per un percorso che si articola tra lettura e canto, tra parola e musica. I testi, elaborati da interviste rilasciate da protagonisti di prima mano, narrano vari momenti di una storia sociale (...) con uno sguardo anche ad una particolare frangia della tradizione salentina, quella dei canti di lavoro e di lotta che si tingono dei colori della contestazione politica e sociale. Viviana Leo, Qui Salento
Si tratta pertanto di un'indagine antropologica storica dove tutto concorre a ridisegnare il clima e i contorni di questi tragici accadimenti: i canti di lotta e di lavoro, le inflessioni in vernacolo degli intervistati, i dettagli che quasi sempre sfuggono alla storiografia ufficiale, gli stralci delle cronache dell'«Arneide» scritte da Vittorio Bodini, i risvolti delle udienze processuali che videro alla sbarra figli del popolo che lottavano per sottrarsi all'indigenza. (...) un possente affresco sociale e politico (...) Così, nel contrappunto di canti e di racconti (splendide, tra le altre, le melodie interpretate da Anna Cinzia Villani che fanno da struggente pendant alla narrazione dei vecchi scioperanti), è la viva voce dei protagonisti a nutrire di memoria la storia e a ricordarci come ci sia stato un tempo di lotte giuste e di speranze impellenti prima dell'opaco presente della sinistra italiana. Gino Di Mitri, La gazzetta del mezzogiorno
Le 77 pagine del libro, allora, basate sulle memorie dirette di alcuni dei protagonisti di quell'epoca (tratte da interviste originali o da raccolte/saggi preesistenti), diventano la sceneggiatura di un affascinante percorso di riscoperta - che si fa spettacolo, appunto, rappresentato nei teatri - delle storie 'minori' collegate all'economia povera della regione: la coltivazione del tabacco (evento choc la rivolta delle tabacchine dell'Acait di Tricase soffocata con il sangue nel 1935...), la dura repressione degli scioperi, l'occupazione delle terre, gli attentati di piazza, la caduta del Fascismo diventano la nobile tessitura di questa storia non ufficiale, ma autentica, profondamente segnata nell'anima e nei corpi della gente, affidata ai testi dei canti, alle musiche e alle voci narranti del CD allegato. (... con riletture assolutamente godibili di 'classici' del repertorio salentino quali "Fimmene fimmene", "La tabaccara" e "La Ceserina", restituendoli a una più aderente dimensione della memoria, liberati dalla fastidiosa patina del merchandising culturale che, purtroppo, li ha resi famosi nel mondo sotto ben altre vesti. Luca Ferrari, Folk geneticamente modificato
una rivisitazione che è quanto mai utile in un periodo in cui non si riesce ad imboccare la strada della critica radicale a rivisitazioni del passato che hanno il solo scopo di integrare, in una logica superficiale e di consumo, tradizioni che meriterebbero ben altro ascolto e studio. Michele Fumagallo, Alias/Il manifesto
ci si interroga, anche, sulla possibilità di dare contezza e «parole per dirlo» con un affondo diretto nella contemporaneità. Il che significa, in pratica, vedere come reagisce il presente della musica, della cultura, della resistenza al pensiero unico nell'affrontare materiali apparentemente sepolti nel tempo e nello spazio. (...) n ogni caso, siamo lontani dal patinato «revivalismo» della Taranta e dalla sottesa dimensione puramente magico-ludica della musica di culture contadine profondamente marcate, invece, dalla miseria, dalle umiliazioni dei proprietari, e da una storia sottotraccia di fiera resistenza. Guido Festinese, Alias