Per archi
Rivista di storia e cultura degli strumenti ad arco
2006, € 14
Formato 15x21, pp. 150
In offerta con il 5% di sconto
Per archi nasce da esperienze, curiosità e interessi molteplici, convergenti nel riferimento al mondo degli strumenti ad arco, dalla tradizione colta euro-americana alle più recenti modulazioni “world”, dal grande gesto paganiniano ai furori coreutica dei lautari.
In questo primo numero un’analisi della scrittura per viola, violino e archi nell’opera di Luciano Berio e György Kurtàg (Candida Felici, Cecilia Vendrasco e Luisa Bassetto),una ricognizione su alcune produzioni “interculturali” di artisti prestigiosi come Yeuhdi Menuhin e Ravi Shankar, Nigel Kennedy e Kronos Quartet (Maurizio Busia, Nicola Pesenti e Giovanni Fornaro) e la trascrizione musicale, pronta “da sonar”, di un lungo solo di Stéphane Grappelli (Vincenzo Caporaletti).
Leggi l'Editoriale di Maurizio Agamennone
Quando si intraprende un nuovo viaggio, e una nuova avventura, si è usi intrattenersi a pensare, e interrogarsi, sugli intendimenti e le attese che orientano l’impresa. Dunque, alcune dichiarazioni “programmatiche” sono doverose. Questo è il primo numero di per archi, nuova rivista con periodicità annuale. Nasce da esperienze, interessi e curiosità diverse che, crediamo, possano convergere in un percorso comune: la ricerca scientifica in musicologia, la scrittura musicale e la composizione nel mondo contemporaneo, le tradizioni e pratiche artigianali di costruzione, la didattica degli strumenti nei Conservatori di musica e nelle Scuole musicali, la critica militante, l’organizzazione di imprese ed eventi culturali e di spettacolo, l’attenzione per le procedure e i modelli formativi. Lo scenario verso cui possono convergere interessi così diversi è costituito dal mondo degli strumenti ad arco. Con questo intendiamo un’area assai ampia ed estesa di oggetti, attività, espressioni e testi musicali, ivi compresi i saperi relativi, nonché le pratiche sociali e le costruzioni culturali che su questi oggetti, espressioni e testi agiscono, si addensano e trasformano.
Lo scenario è assai vasto, anche nelle prospettive culturali: gli archi – nonché i saperi e repertori musicali relativi – su cui intendiamo ragionare e riflettere non saranno soltanto quelli della tradizione cólta euro-americana; ci occuperemo anche degli strumenti ad arco rilevabili nelle numerose, altre, musiche del mondo, fino alle più recenti produzioni “popular” e “world”. Siamo persuasi, infatti, che le tradizioni culturali siano oggi assi più vicine, e tendano a confrontarsi, non raramente a integrarsi, soprattutto nell’azione diretta e nel fare dei musicisti. Così è, per esempio, nella prassi di numerosi strumentisti di oggi – non necessariamente giovanissimi – che risultano attratti dal grande gesto di Paganini o di Bottesini, e dalla severità delle sonate e suites bachiane, ma, pure, si lasciano sedurre dai moti visionari klezmer, dai furori coreutici dei lautari, dai repertori della lira cretese, dai violini e viole della nouba arabo-andalusa, dai modi violinistici nella meloterapia del tarantismo, dalle vielle d’Asia centrale, insomma da pratiche culturali multiformi e dai più disparati oggetti musicali “a corde strofinate”. Così è, altresì, nell’opera di non pochi compositori contemporanei, che adottano grammatiche, gesti, modi di attacco, emissioni sonore, timbriche, raccolti diffusamente, nel mondo. E questa curiosità trasversale e multiforme, a nostro giudizio, appartiene anche a molti appassionati e amateurs, non necessariamente professionisti della musica.
I destinatari – che auspichiamo risulteranno numerosi e sensibili alle nostre proposte – li cercheremo, in via privilegiata, tra gli strumentisti, insegnanti, musicologi, compositori, organizzatori e operatori culturali, artigiani e liutai, ma anche tra i musicisti impegnati con altri mezzi espressivi e interessati alle problematiche dell’interpretazione, all’analisi di testi, repertori, e prassi performative, nonché fra tutti coloro che nutrono e coltivano interessi e curiosità musicali molteplici. Siamo convinti, inoltre, che le recenti procedure di riforma dell’istruzione universitaria e artistico-musicale, introdotte nell’ordinamento italiano negli ultimi anni, possano produrre esiti virtuosi: nella formazione musicale superiore sono numerosi i docenti e strumentisti assai interessati alle implicazioni culturali e sociali della loro azione (come insegnanti e come esecutori); così, pure, in ambito universitario, appaiono sempre più attivi gli studiosi sensibili alle pratiche performative, al fare concreto dei musicisti impegnati direttamente con i loro strumenti. Alcuni percorsi convergenti, con un’interessante integrazione di competenze, sono già in atto: cerchiamo di renderne conto, puntualmente.
E questo è quanto proponiamo nel primo numero:
1. Una articolata riflessione su due opere di Luciano Berio, giusto a tre anni dalla scomparsa del Maestro: Voci e Naturale, entrambe dedicate alla viola solista e al medesimo esecutore (Aldo Bennici), tributarie della musica tradizionale siciliana. L’analisi che si presenta tende a mettere in evidenza come agisce il compositore nella sua “fucina”, dove cerca e trova le sue fonti, dove estrae le sue “materie prime”, come le plasma e adatta nel corso della sua azione creativa. Comparativamente, i due saggi proposti consentono altresì di esplorare le procedure con cui lo stesso Berio – onnivoro e curiosissimo manipolatore di materiali i più diversi, come è largamente riconosciuto – sia stato felicemente impegnato anche nel trattamento multiforme di materiali propri, creando mirabili auto-contrafacta moderni.
2. La scrittura di György Kurtág – tra i massimi compositori del nostro tempo – per il violino e gli archi, nelle singolari combinazioni sperimentate (oltre il quartetto, il violino insieme con il cimbalom ungherese e con la voce sola) in alcune delle sue opere più significative, viene esaminata in un saggio di schietto carattere analitico. Si tratta di una riflessione dalla gittata panoramica, che mette in evidenza le singolarissime opzioni performative proposte da Kurtág: particolarmente utile, crediamo, anche in relazione alla non frequente presenza, nel Belpaese, dell’opera di un compositore assolutamente centrale nella cultura musicale contemporanea.
3. Ancora, alcune riflessioni su recenti e più remote esperienze “interculturali”: una ricognizione intorno a tre lavori del Kronos Quartet,dislocati all’incrocio tra influenze africane dirette, campionamenti messicani e l’invenzione di un compositore cinese; una possibile valutazione comparativa concernente un ormai remoto “incontro tra Oriente e Occidente” – mediato dalle personalità carismatiche di Yeuhdi Menuhin e Ravi Shankar – e una più recente infatuazione “orientalista” di Nigel Kennedy.
4. Infine, una rubrica permanente, “Soli” d’autore”: accoglierà la trascrizione di “soli” eseguiti da strumentisti particolarmente rappresentativi di tradizioni e pratiche musicali che affidano alla registrazione sonora e successiva riproduzione – non alla partitura scritta, quindi – le speranze di una circolazione più ampia, non limitata alle sole circostanze della performance; perciò, violinisti, violisti, violoncellisti, contrabbassisti e altri esecutori – dal jazz, al “pop”, alla “world-music”, fino alle musiche tradizionali extra-europee – “scolpiti” in disco, nel corso di azioni prevalentemente estemporanee; alcune di queste azioni, saranno riportate sul pentagramma e rese disponibili all’esecuzione, pronte “da sonar”, per il lettore che voglia disporre sul proprio leggìo le pagine che proponiamo: la nostra prima offerta – destinata soprattutto ai violinisti che ci leggeranno – è la trascrizione di un grande “solo” di Stéphane Grappelli, centrale nella discografia del Quintette guidato dal celebre chitarrista manouche Django Reinhardt.
È una nuova rivista, per archi, ma non una rivista di musica contemporanea, anche se in questo primo numero prevalgono espressioni, produzioni, fatti a noi assai vicini nel tempo: nei prossimi numeri ci occuperemo anche di repertori, pratiche, testi e oggetti appartenenti a processi culturali più remoti, di cui si alimentano, ancora, il pensiero e l’agire musicale di oggi.
Ci sembra che cada contro tendenza una rivista del tutto nuova "Per archi", promossa e diretta da Maurizio Agamennone che è musicologo assai bene armato(...) Questo primo numero merita di essere valutato per il suo livello di ricerca e di riflessione anche filosofica e sociologica (non certo soltanto organologica) e per la coerenza di fondo che muovono il comitato scientifico (Vincenzo Caporaletti, Serena facci, Giovanni Morelli). Quirino Principe, Il Sole-24 ore
A fronte di un crescente disinteresse generale per i percorsi di approfondimento critico sulla musica, continuano a nascere ed organizzarsi esperienze editoriali notevoli. E’ il caso di questa neonata rivista in forma di libro, diretta dall’etnomusicologo Maurizio Agamennone che si avvale di ottimi collaboratori tra cui Vincenzo Caporaletti. Guido Festinese, World Music
Il direttore responsabile, Maurizio Agamennone, è affiancato da specialisti quali Vincenzo Caporaletti, Serena Facci e Giovanni Morelli: nomi che possono già di per sé orientare sul taglio della rivista, aperta al mondo della musica contemporanea e a quello delle culture extraeuropee. Amadeus