N. Scaldaferri, S. Vaja
Nel paese dei cupa-cupa
Suoni e immagini della tradizione lucana
2021, II ed. rivista e aumentata, con materiali video inediti, € 35
Formato 21x21, 146 foto in b/n, pp. 280
In offerta con il 5% di sconto
"Il paese del cupa cupa" è l’espressione utilizzata da Diego Carpitella per indicare la Basilicata nei resoconti delle ricerche svolte negli anni ’50 con Ernesto De Martino e Franco Pinna: ricerche che hanno portato alla definizione di un quadro della musica tradizionale lucana divenuto poi canonico, con un ruolo centrale assegnato alla componente agro-pastorale e alle sue forme di canto, in particolare il canto a cupa cupa e le ballate narrative, accanto a strumenti come la zampogna e il suo sostituto moderno, l’organetto.
A cinquant’anni di distanza da quella pioneristica ricognizione, nel 2005 è stata avviata una capillare ricerca sul campo condotta in tandem da un etnomusicologo lucano, già autore di importanti lavori sui patrimoni musicali locali, e da un fotografo con una forte predilezione per le rilevazioni sociali e di carattere collettivo. Nicola Scaldaferri e Stefano Vaja hanno così battuto in lungo e largo tutto il territorio regionale in una ricerca sfociata poi nel volume con cd allegato che, configurandosi come la più estesa ricostruzione mai realizzata sulla musica tradizionale lucana, ha evidenziato anche le profonde mutazioni nel frattempo sopraggiunte rispetto alla visione consacrata nelle indagini di De Martino e Carpitella. Lamenti funebri, giochi di mietitura, canti di lavoro e ninne nanne sono risultate manifestazioni sonore pressoché scomparse dalla prassi ordinaria, così come in gran parte è scomparsa la Lucania delle foto di Franco Pinna. Gli ambienti domestici, allora come oggi, sono saturi di suoni di altro genere che provengono principalmente dai mass media: le ninne nanne sono sostituite da forme di musica riprodotta, le attività lavorative sono scandite da ritmi e suoni ben diversi dai canti per la raccolta delle olive e canti alla pisatura, le feste da ballo e i pranzi di nozze sono allietate da musiche da discoteca o da gruppi che suonano il liscio.
A fronte di fenomeni che si presentavano in una fase terminale, i due ricercatori hanno potuto però documentare tenaci forme di resistenza di alcune modalità espressive e l’avvio di significativi processi di rivitalizzazione di altri aspetti della cultura musicale tradizionale, talvolta anche con vere re-invenzioni attorno alle quali si ritrovavano soprattutto le ultime generazioni. Dinamiche tutt’altro che lineari all’interno delle quali un ruolo fondamentale era svolto dagli strumenti musicali, in particolare tamburello, zampogna e organetto, meno legati, rispetto alle forme di canto, a specifici momenti occasionali o rituali. Strumenti e musiche dei “nonni”, spesso trascurati o negati dai “padri”, sono stati così ripresi dai più giovani, grazie anche ai numerosi corsi di formazione sorti in regione e, soprattutto, alla ripresa di attività costruttive artigianali che hanno rimesso in circolazione zampogne e surduline, che negli anni Ottanta del secolo scorso sembravano destinate a scomparire. E, pur guardando agli ultimi anziani depositari della tradizione come autentici maestri sulle cui orme incamminarsi, questi giovani cultori di particolari forme espressive non erano certo pastori o contadini ma musicisti e costruttori, formatisi spesso nei conservatori e con trascorsi anche universitari.
Evitando il fascino di facili esotismi e discostandosi da raffigurazioni canoniche che appartengono ormai alla sfera della memoria, gli autori si sono così soffermati in concreto su pratiche musicali che rivestivano un ruolo di fondamentale importanza nelle comunità locali, pur intrecciandosi con forti elementi di contaminazione. Grazie anche all’ampia documentazione fotografica e alla vasta antologia sonora del CD, nel volume si è così animata una rappresentazione in presa diretta di una realtà culturale vivacissima di cui si sono passati in rassegna repertori musicali, contesti e modalità d’esecuzione, musicisti e costruttori di strumenti, testimonianze storiche e iconografiche.
Un quadro d’insieme che anche successivi ritorni sul campo hanno confermato ancora valido e del tutto corrispondente alla realtà concreta del “fare musica” oggi in Basilicata. La nuova edizione, a quindici anni di distanza dalla prima, si presenta pertanto immutata nella sua struttura fondamentale ma arricchita da una articolata sezione di video e da una conversazione tra i due autori che riflettono su quella loro esperienza caratterizzata dall'abbinamento tra musica e fotografia che, da Arturo Zavattini a Franco Pinna, aveva caratterizzato le rilevazioni sul campo degli anni Cinquanta del secolo scorso. Questi nuovi materiali, consultabili online e accessibili tramite il QR-Code apposto sul volume, integrano il quadro complessivo di quella ricerca anche con significative aperture su sviluppi successivi, documentati in particolare da Scaldaferri nella sua ininterrotta attività di studio e di rilevazioni nell’ambito delle musiche di tradizione orale della Basilicata.
Ascolta il brano Cupa Cupa materana
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Questo lavoro presenta i materiali di una ricerca sulla musica tradizionale della Basilicata, i suoi protagonisti e le occasioni esecutive. Il fenomeno viene illustrato attraverso due prospettive: quella della documentazione sonora e quella della documentazione fotografica.
L'abbinamento della fotografia con la ricerca etnomusicologica, che negli ultimi tempi sta conoscendo un rinnovato interesse da parte degli studiosi[1], affonda le radici in una tradizione che ha fortemente connotato la ricerca in Italia meridionale e in Basilicata in particolare, alla quale volutamente si fa riferimento già nel titolo di questo libro[2]. Il paese del cupa cupa è infatti l'espressione utilizzata per definire la Basilicata (o meglio, la Lucania) da Diego Carpitella in uno dei primissimi resoconti della ricerca che, nell'ottobre del 1952, aveva svolto in questa regione con Ernesto De Martino, il fotografo Franco Pinna, Vittoria De Palma e Marcello Venturoli[3]. (…) Queste ricerche hanno stabilito un quadro della musica tradizionale lucana diventato canonico in cui un ruolo centrale è conferito alla tradizione agro-pastorale della regione e alle sue forme di canto, principalmente quelle monodiche quali il canto a cupa cupa e le ballate narrative, accanto a strumenti come la zampogna e il suo sostituto moderno, l’organetto. (…) In una regione costituta da numerosi piccoli comuni, in costante calo demografico, segnata da una forte emigrazione (che mette in pericolo la sopravvivenza stessa dei centri più piccoli), l'economia e i sistemi di vita tradizionali appaiono oggi in netta fase di declino e laddove esistono, essi costituiscono più una "componente affettiva" che non una risorsa economica[4]. Lamenti funebri, giochi di mietitura, canti di lavoro e ninne nanne sono manifestazioni sonore pressoché scomparse dalla prassi ordinaria, così come in gran parte è scomparsa la Lucania delle foto di Pinna e Zavattini. Questi repertori sopravvivono in modo decontestualizzato nella memoria delle persone più anziane, mentre la mancanza di occasioni esecutive fa sì che non vi sia più passaggio alle giovani generazioni. Figure eccezionali come Anna Arcieri di Stigliano (foto 118), Domenica Lisanti di Ferrandina (foto 114, brano 15), ancora li possono eseguire e su richiesta mettono in atto (talvolta con una certa ironia) delle autentiche sceneggiate che li ripropongono alla perfezione. Paolina Luisi (foto 111, brano 28) di Tricarico, recentemente scomparsa, straordinaria esecutrice registrata già nell'ottobre del '52, durante l'ultima seduta di registrazione, effettuata nel 2003 (quando aveva 95 anni), ha rieseguito varie cose, tra cui il lamento funebre fatto ascoltare a suo tempo a Carpitella e De Martino. Quello che si può ritrovare oggi di questi repertori, tirato fuori dai depositi della memoria e solo in rarissimi casi ancora funzionale, è soprattutto di valore documentario e con uno sguardo retrospettivo ci fa immaginare come potevano essere le cose "di una volta": si tratta di reliquie che non fanno più parte delle manifestazioni condivise e sentite come attuali dalla popolazione del luogo[5]. Gli ambienti domestici sono saturi di suoni di altro genere che provengono principalmente dai mass media; le ninne nanne sono sostituite da forme di musica riprodotta, le attività lavorative sono scandite da ritmi e suoni ben diversi dai canti per la raccolta delle olive e canti alla pisatura, le feste da ballo e i pranzi di nozze sono allietate da musiche da discoteca o da gruppi che suonano il liscio.
Tuttavia, se alcuni fenomeni si presentano in fase terminale, si assiste anche a una forte resistenza e rivitalizzazione di altri, talvolta con vere re-invenzioni attorno alle quali si ricompattano, in una sorta di ricerca di un'identità musicale, le ultime generazioni. In questo processo un ruolo fondamentale è svolto dagli strumenti musicali, in particolare da tamburello, zampogna e organetto, meno legati, rispetto alle forme di canto, a specifici momenti occasionali o rituali. I loro repertori, rimasti strutturalmente in gran parte invariati, dopo aver conosciuto un certo disinteresse, negli ultimi anni sono oggetto di una forte attenzione da parte di giovani esecutori. Strumenti e musiche dei "nonni" (che erano stati talvolta tralasciati dai "padri"), vengono rispolverati sia in momenti di intrattenimento ma assai più spesso in manifestazioni di coloratura etnica (e "mediterranea"), che nel corso dell’ultimo decennio hanno visto una forte crescita. Le dinamiche in cui sono coinvolti si incrociano con fenomeni di sincretismo e di deterritorializzazione, e spesso si offrono a un consumo (non sempre critico e consapevole, ma comunque in grado di scatenare nuovi processi) che trova una sponda importante nel circuito della world music.
Nella regione stanno sorgendo numerose scuole di organetto; giovani virtuosi di questo strumento (come Rocco Errichetti di Ruoti) tengono lezioni in diversi centri e organizzano raduni di suonatori. Le zampogne, e perfino le surduline, che negli anni '80 sembravano destinate a una sparizione imminente (ricordiamo per inciso come Norman Douglas dava come prossima la scomparsa della zampogna a chiave già ai primi del '900)[6], vengono nuovamente costruite per cui è più facile trovare in circolazione questi strumenti oggi che non una decina di anni fa. Gli strumenti dei costruttori scomparsi, come Giuseppe Bellusci di Trebisacce e Nicola Mazzillo di Auletta, vengono recuperati e restaurati, mentre anziani costruttori ancora attivi, come Antonio Forastiero, sono considerati autentici maestri anche da parte dei più giovani, e talvolta vengono coinvolti in progetti di formazione artigianale per la creazione di laboratori. I suonatori di zampogna non sono più i pastori - oramai rimasti in pochissimi - ma cultori e giovani che provengono talvolta da studi musicali classici nei conservatori[7].
Tutto questo, se da un lato si va rivelando come un quadro musicale composito e sincretico - e d'altronde Nattiez ci ricorda che va accettata l’impurità dei fenomeni di cui si occupa l'etnomusicologia[8]-, dall'altro lato mostra comunque una rivitalizzazione e una riappropriazione di alcuni fenomeni in funzione della costruzione di pratiche identitarie locali.
[1]Mi limito a menzionare in questa sede le ricerche di Antonello Ricci e Roberta Tucci sulla Calabria, che hanno trovato diffusione in un precedente volume di questa stessa casa editrice: A. Ricci - R. Tucci, La capra che suona. Immagini e suoni della musica popolare in Calabria, Squilibri, Roma, 2001.
[2]Per un quadro generale del fenomeno vedi A. Ricci, Fotografia a ricerca etnomusicologica nel Mezzogiorno d'Italia (1950-1995), in F. Faeta - A. Ricci (a cura), Lo specchio infedele. Materiali per lo studio della fotografia etnografica in Italia, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma,1997, pp. 189-215. Sempre nello stesso volume cfr. anche il saggio di M. Miraglia, La documentazione etnofotografica sul Mezzogiorno italiano, pp. 155-187. Si rinvia ovviamente anche al testo di Stefano Vaja Appunti per un "lungo viaggio" nella fotografia del Sud che compare nelle prossime pagine.
[3]D. Carpitella, In Lucania: il paese del cupa-cupa. I sistemi di raccolta dei canti popolari, «Santa Cecilia», II, 1953, pp. 37-41, ristampato in E. de Martino, L'opera a cui lavoro, a cura di C. Gallini, Argo, Lecce, 1996, pp. 134-139.
[4]L'espressione compare in P. Grimaldi, Fatti inattuali, esiti attuali, prefazione all'edizione italiana di J. Cuisenier, Manuale di tradizioni popolari, Meltemi, Roma 1999, p. 9.
[5]Nel cd si possono ascoltare alcuni esempi di questi canti non più in uso e inseriti con un valore di documentazione; ad esempio il brano 15 (Domenica Lisanti esegue i canti della raccolta delle olive 'di una volta', descrivendo anche la modalità esecutiva), il brano 18 (Giuseppe Verzica esegue la più celebre ballata lucana, Fronni d'alia) e il 28 (due frammenti di uno stesso canto eseguito da Paolina Luisi nel 1952 e nel 2003).
[6]Vedi più avanti il passo di Douglas.
[7]Solo per citare due casi assai significativi: Alberico Larato, di Matera, uno dei suonatori di zampogna a chiave più attivi nella regione, è arrivato a questo strumento dopo gli studi di chitarra classica; Vincenzo Corraro, di Viggianello, si sta dedicando alla zampogna dopo una laurea in musicologia.
[8]J.J. Nattiez, Invito al viaggio, Enciclopedia della musica, vol 3, Einaudi, Torino 2003, p. XXIV.
il CD
1. Sfilata di suonatori di campanacci (2’20’’)
2. “Cupa cupa materana” (4’13’’)
3. Squilli del corno della Settimana Santa (0’37’’)
4. Canto della Passione (2’50’’)
5. “Sˇ casciatammorr” e tarantella (1’43’’).
6. Canti a zampogna (2’25’’)
7. Canto alla Madonna del Pergamo (1’55’’)
8. Musiche “a devozione” sfilando davanti alla Madonna (2’57’’)
9. Marcetta (2’35’’)
10. Canto a S. Rocco (1’55’’)
11. Suonata della processione (2’15’’)
12. “Cheruvicón” (Inno cherubico),
dalla liturgia di S. Giovanni Crisostomo (1’57’’)
13. Lodi dall’Ufficio della Beata Vergine Maria (2’42’’)
14. Tarantella (2’59’’)
15. Canti per la raccolta delle olive (3’04’’)
16. “La castellana” (2’43’’)
17. Tarantella (1’43’’)
18. “Frunni d’alia”, ballata (6’15’’)
19. “La Passeggera” (1’42’’)
20. Polca (2’04’’)
21. Pastorale (3’25’’)
22. Ninna nanna (2’39’’)
23. Canti “a vasˇ a vasˇ” (ad accordo) (3’03’’)
24. “Sonata a pie’ di polca” (2’41’’)
25. “Jëma Shën Mitrit” (la mamma di ottobre) (3’10’’)
26. “Vallja” (2’26’’)
27. Sonata in la minore (2’07’’)
28. Tarantella cantata (1’51’’)
Fotogallery
I paesi toccati nella ricerca
Acerenza, Accettura, Aliano, Anzi, Avigliano, Barile, Brienza, Cersosimo, Corleto Perticara, Ferrandina, Gorgoglione, Grassano, Grottole, Irsina, Matera, Moliterno, Montescaglioso, Pisticci, Rapone, Ripacandida, Rotonda, Ruoti, S. Arcangelo, S. Chirico Nuovo, S. Costantino Albanese, S. Fele, S. Giorgio Lucano, S. Mauro Forte, S. Paolo Albanese, S. Severino Lucano, Sasso di Castalda, Stigliano, Terranova di Pollino, Tolve, Tricarico e Viaggiano
Nel paese dei cupa cupa alla Casa della Musica di Parma
Nicola Scaldaferri insegna Etnomusicologia all’Università di Milano e si occupa di musica elettroacustica, di pratiche musicali dell’Italia meridionale, dei Balcani e dell’Africa occidentale. Per Squilibri ha pubblicato diversi volumi tra i quali Due ritratti dal Ghana, Le zampogne a Terranova di Pollino e, con Mikaela Minga, Spanja Pipa
Fotografo e videomaker, Stefano Vaja si occupa principalmente di teatro e reportage sociale. Aspettando la cura. La vita con la fibrosi cistica (2017) è il primo documentario in Italia dedicato a questa malattia.
Una spedizione antropologica in Basilicata a cinquant’anni dal viaggio di de Martino e Carpitella, tre anni di lavoro guardando ad un’ampia parte della Basilicata, con particolare attenzione al ciclo dell’anno. Atmosfere di grande suggestione accompagnate da echi di suoni antichi ma ancora vivi. Luigia Ierace, La gazzetta del mezzogiorno
Un originale viaggio, con il consolidato metodo dell’innesto di fotografia e musica, dentro le tradizioni popolari che permangono nell’anima profonda del sud d’Italia. …Allargando la ricerca anche a paesi non toccati dalle antiche perlustrazioni, con risultati del tutto nuovi. Michele Fumagallo, Il manifesto
Una panoramica ampia, esaminata ad un tempo con partecipazione umana e distacco scientifico, una documentazione fotografica di eccellente qualità e una vasta antologia sonora fanno di questo libro uno strumento di conoscenza di alto livello. Tito Saffioti, Folk Bullettin
si tratta di un lavoro di grande spessore scientifico (...) il rigore della presentazione e dell'analisi non impedisce una piena fruibilità, ravvivata dal profondo legame fra gli autori e il mondo e le persone di cui il libro tratta. Le registrazioni allegate in CD sono di grande interesse e di eccellente livello tecnico (...) il lavoro assume anche un significato di esemplarità sul piano teorico e metodologico. Non va neanche trascurata l'eccellente presentazione editoriale, che fa del lavoro un oggetto gradevole anche dal punto di vista dell'aspetto e della forma tipografica. Giuria Premio 2007 ANCI- Memorie e Musiche Comuni
Elementi insoliti di comprensione della nostra realtà: rileggere la storia di un popolo attraverso la musica che ha prodotto e produce non è compito facile. Il lungo e preciso lavoro di Scaldaferri- illustrato dalle immagini di Vaja- ne è una dimostrazione. (...) Cosa resta del cupa cupa al tempo dell'ipod? Potenzialmente tutto, almeno secondo gli autori. Damiano Laterza, Il quotidiano della Basilicata
Così ascoltare il metallico rimbombo dei campanacci o le ballate con flauto e tamburello o le sequenze ritmiche puramente percussive dette scasciatammorr nel cd di 72 minuti di durata ci trasporta immediatamente in quel mondo misterioso dove le pratiche musicali rivestivano un ruolo di fondamentale importanza nelle comunità locali. Aiutati dalle immagini, in bianco e nero, di momenti pubblici e collettivi (i riti del carnevale, i pellegrinaggi, i culti mariani) in cui musicisti e figuranti sono parte integrante di un cerimoniale spesso assai complesso. E anche di momenti privati come la lavorazione artigianale di strumenti musicali, le preparazioni di importanti pratiche devozionali. E le indimenticabili performance dal vivo di suonatori di zampogna, organetto, tamburello e flauto che riportano in auge ancestrali sonorità collettive. Flaviano De Luca, Il manifesto
Un altro volume fondamentale per la cultura e la memoria Francesco Coniglio, Vinile
Non si tratta di una semplice ristampa, perché è un’edizione rivista e aumentata, pur restando immutato l’impianto ricognitivo, data la conferma dell’osservazione della fertilità dei fenomeni musicali e culturali regionali e della validità di un approccio che mette in dialogo testo scritto, fonti sonore e documentazione iconografica. (...) Nondimeno, la seconda edizione è stata potenziata da un’articolata sezione di video preparati ad hoc, che consentono non soltanto di arricchire e allargare lo sguardo sulle ricerche, ma pure di cogliere persistenze e cambiamenti incorsi negli anni più recenti. Un altro elemento che concorre ad approfondire la ricerca sotto il profilo scientifico e culturale è la conversazione tra i due autori, i quali ripercorrono le fasi e le motivazioni della ricerca, si interrogano su nuove problematiche e riflettono sul rapporto tra musica e fotografia che, a partire dal lavoro di Arturo Zavattini a Franco Pinna, è stato una sorta di costante nelle rilevazioni sul campo nel secolo scorso Ciro De Rosa, Blogfoolk