Vincenzo Santoro
Odino nelle terre del rimorso
Eugenio Barba e l'Odin Teatret in Salento e Sardegna (1973-1975)
2017, € 18
Formato 14x19, pp. 144. 53 foto in b/n e a colori
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Dal 1973 al 1975 Eugenio Barba e l’Odin Teatret dalla Danimarca si trasferiscono, a più riprese e per lunghi periodi, in Sardegna e nel Salento, con l’intento di portare il teatro in “luoghi senza teatro”, a contatto con popolazioni che abitualmente non ne fruivano. Nel corso di queste permanenze, l’Odin definisce, come modalità di relazione con gli abitanti dei paesi salentini e sardi, in prevalenza contadini e pastori, il cosiddetto “baratto culturale” per cui al dono della loro arte i locali rispondevano con una canzone tradizionale, un ballo o una festa. Un’esperienza destinata a lasciare un segno profondo nei territori interessati, soprattutto nel Salento dove l’Odin aveva come referenti un gruppo di intellettuali, tra i quali Gino Santoro e Rina Durante, impegnati nella ricerca e riproposta della musica tradizionale.
Il libro ricostruisce questa singolare e appassionante vicenda attingendo principalmente a fonti dell’epoca e privilegiando il punto di vista dei protagonisti, individuando anche nessi e relazioni con l’incendio che, da lì a poco, sarebbe divampato attorno al “rinascimento della pizzica”.
Con prefazione di Eugenio Barba, le fotografie di Tony D’Urso e scritti di Antonio D’Ostuni e Antonello Zanda.
Nel DVD allegato al volume, il documentario di Ludovica Ripa Di Meana, In cerca di teatro, girato alla fine della residenza salentina del 1974 (con una rappresentazione in presa diretta dell’incontro tra le due culture, una strepitosa performance di Uccio Aloisi e Uccio Bandello e le prime immagini in movimento della pizzica pizzica) e il film di finzione di Torgeir Wethal, Vestita di bianco, girato sempre nel corso dell’esperienza salentina dell’Odin.
Iniziativa editoriale realizzata d'intesa con la Cineteca Sarda-Società Umanitaria di Cagliari e, per il dvd, grazie a Odin Teatret, RAI e Ludovica Ripa di Meana
L'introduzione di Eugenio Barba
Caro Vincenzo
pensavo che tu fossi un ghost writer, uno scrittore fantasma, invece esisti. Antonio D’Ostuni mi aveva mandato il tuo testo nel novembre del 2016. Ne ero rimasto impressionato. Due i motivi: l’accuratezza della ricostruzione nei fatti che presentavi; il fatto di non avermi mai contattato lasciando che parlasse la testimonianza dei documenti al posto della voce soggettiva dei protagonisti. Ho ammirato la tua discrezione. Soprattutto non ho potuto fare a meno di pensare all’immenso e scrupoloso lavoro per rintracciare persone e ripristinare fatti per farli tornare alla vita in un libro il cui stile scarno e incisivo ricorda una saga islandese.
A nome di tutti i compagni che vissero l’esperienza di Carpignano, e anche di quelli che ne hanno usufruito indirettamente, vorrei ringraziarti per l’impegno, il tempo e le energie che ci hai dedicato ricostruendo l’esperienza salentina. Per noi “danesi” fu un vero giro di boa. Lasciammo incerti la fortezza e il prestigio del teatro e ci inoltrammo indifesi nella piazza della vita.
Il tuo libro descrive le conseguenze del soggiorno dell’Odin Teatret in Salento e in Barbagia per le popolazioni che ci accolsero. È impossibile immaginare quante conseguenze questa esperienza abbia generato nel nostro gruppo, quante trasformazioni abbia nutrito, quante nuove iniziative, progetti e imprese ci ha dato la forza di realizzare, come abbia profondamente cambiato la consapevolezza e il senso di responsabilità nel vedere e vivere il nostro mestiere. In noi tutti che attraversammo quel periodo rimane un ricordo che ha un sapore di gratitudine verso le circostanze e verso gli uomini e le donne che incontrammo e che ne costituiscono l’essenza.
Nel Salento sono nato due volte. Quando i miei genitori mi diedero la luce, e quando professionalmente vidi venire alla luce un nuovo senso e possibilità del fare teatro insieme ai miei attori. Ti sono grato per avermelo ricordato.
Ti abbraccio con affetto sperando un giorno di conoscerti e farci una bella chiacchierata sorseggiando del mieru delle parti nostre.
Holstebro 25 gennaio 2017 Eugenio Barba
Le fotografie di Tony D'Urso
Il DVD
Ludovica Ripa di Meana, In cerca di teatro. L'Odin Teatret di Eugenio Barba in Salento (1974), Colore, 60’
Realizzato con la collaborazione di Claudio Barbati, Mario Raimondo e Ferdinando Taviani, la fotografia di U. Piccone e L. Piccinelli e le musiche a cura di Benedetto Ghiglia, rappresenta una testimonianza di grande interesse del lavoro dell’Odin e dello svolgimento dei “baratti” culturali. Nel raccontare i momenti festivi di scambio dell’Odin con i contadini locali, vengono anche mostrate delle straordinarie immagini di cantori salentini (e in particolare Uccio Aloisi e Uccio Bandello, due dei grandi eroi della musica popolare salentina) e quelle che costituiscono in assoluto le prime riprese in movimento del ballo della “pizzica-pizzica”, un’espressione culturale che allora appariva un retaggio del passato ineluttabilmente condannato alla scomparsa,
Torgeir Wethal, Dressed in white/Vestita di bianco (1976), B/N, 42'
Un cortometraggio di finizione, con la fotografia di Toni D’Urso, Iben Nagel Rasmussen, Jan Torp e Odd Ström come interpreti, prodotto dall’Odin Teatret e dal Nordisk Laboratorium, girato sempre nel corso dell’esperienza salentina dell’Odin.
Responsabile dell'Ufficio Cultura dell'A.N.C.I., impegnato da anni nell'organizzazione di iniziative ed eventi sulle musiche e culture popolari del Mezzogiorno, Vincenzo Santoro pere Squilibri ha pubblicato Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina e Memorie della terra. Racconti e canti di lavoro e di lotta del Salento.
In una ricostruzione che unisce cronaca, testimonianze scritte e orali, l’autore introduce il lettore in una trama fittissima di relazioni che letteralmente investirà non solo Barba e l’Odin, ma il sapere di un’intera generazione che non tarderà a comprendere il valore profetico di quella residenza temporanea, ma quanto carica di futuro Fabio Francione, Alias
Molte tensioni spontanee trovarono l’opportunità di strutturarsi, di declinarsi, di oggettivarsi. Ci si accorse che i canti, le danze, l’assetto drammaturgico dei riti religiosi e di quelli popolari erano ancora materia viva, “dormiente”, da risvegliare, da muovere in favore di una affermazione dell’identità e della particolarità territoriale. Un’identità sino ad allora storicamente sconfitta, povera e dannata, presa dalla soggezione “sottoculturale”, buona solo a motivare ricerca antropologica, ma poco altro Mauro Marino, La Gazzetta del mezzogiorno
Come sempre nei volumi di Squi[libri] il corredo iconografico (53 foto in b/n e a colori di Tony D’Urso) è complementare alla parte saggistica, contribuendo ad arricchire la narrazione. (...) Il lavoro di Santoro contribuisce non solo a fare luce su una singolare esperienza teatrale, ma va inquadrato nella più ampia ricostruzione di tasselli significativi della storia culturale del Sud Italia Ciro De Rosa, Blogfoolk